V, 2022/2

Péter Techet

Umkämpfte Kirche

Review by: Ivan Portelli

Authors: Péter Techet
Title: Umkämpfte Kirche. Innerkatholische Konflikte im österreichisch-ungarischen Küstenland 1890–1914
Place: Göttingen
Publisher: Vandenhoeck & Ruprecht
Year: 2021
ISBN: 9783666356964
URL: link to the title

Reviewer Ivan Portelli - Istituto di Storia Sociale e Religiosa di Gorizia

Citation
I. Portelli, review of Péter Techet, Umkämpfte Kirche. Innerkatholische Konflikte im österreichisch-ungarischen Küstenland 1890–1914, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2021, in: ARO, V, 2022, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2022/2/umkampfte-kirche-ivan-portelli/

PDF

Negli ultimi anni si è registrato un rinnovato interesse verso i temi legati alle nazionalità e alle tensioni nazionali all’interno dell’Impero austro-ungarico. Lavori come ad esempio quelli di Pieter Judson hanno ricalibrato le categorie interpretative di questi contenziosi, mettendoli in relazione con dinamiche sociali, economiche e politico-culturali da declinare nei diversi contesti locali in cui maturano e che, al tempo stesso, si legano a fenomeni da collocarsi nel più ampio contesto europeo, all'interno di dinamiche che vanno ben oltre lo specifico quadro asburgico. Si rende necessario porre l’attenzione, affrontando le infinite complessità interne alla Duplice monarchia, su molteplici sfumature che portano a cogliere prospettive che solo una lettura superficiale appiattirebbe su una scala ricondotta esclusivamente a gradi di lotta o appartenenza nazionale.

Proprio nella capacità di cogliere le diverse declinazioni di fenomeni e fatti apparentemente simili o cronologicamente paralleli si colloca l’analisi proposta da Techet. Lo storico ungherese, nell’analizzare alcuni casi di studio riconducibili al tema dei conflitti nazionali, è partito da un problema di fondo: come si concilia la dimensione universale della Chiesa cattolica – intesa come confessione maggioritaria nel contesto considerato – con lo stretto legame che questa ha avuto con i diversi nazionalismi, tanto che l’identità cattolica è patrimonio comune e specifico dei diversi nazionalismi presi in esame e che vanno contrapponendosi, anche duramente, nei contenziosi che caratterizzano la dialettica politica e culturale dell’ultima Austria? In che modo e in che misura, quindi, si può parlare dei conflitti nazionali che si sviluppano all’interno dell’orizzonte unitario (o apparentemente tale) offerto dalla Chiesa cattolica? Si tratta sempre di conflitti riconducibili al mero paradigma dello scontro nazionale o che vengono forzatamente ricondotti a questo?

L’analisi di Techet si orienta verso un angolo particolare della Duplice monarchia, dove questi interrogativi risultano particolarmente evidenti, ovvero l’area litoranea alto-adriatica. Qui sono protagonisti i gruppi nazionali italiano, sloveno, croato ma troviamo altresì componenti (significative anche per vicinanza territoriale) serbe e ungheresi oltre che l’elemento tedesco. Identità slava (slovena e croata) e identità latina, che riconoscono nel cattolicesimo un tratto di distinzione rispetto all’identità serba (ortodossa), pur con distinzioni non secondarie, ma anche rispetto all’identità laica (spesso associata alla dimensione italiana, che è pur sempre sostanzialmente cattolica). Su questo incidono differenze territoriali e amministrative, essendo parte di quest’area compresa nella zona austriaca della Monarchia e parte in quella ungherese (a sua volta conta la differenza tra la città immediata di Fiume e la Croazia); i diversi gruppi nazionali si intrecciano sul territorio creando situazioni altamente complesse e peculiari, mentre i confini amministrativi, esito di una mescolanza di diritti storici ed esigenze pratiche di aggregazione, non tengono granché conto di queste differenze, che a fine Ottocento risultano notevolmente amplificate. Sono tanti gli ‘spazi’ diversi che si sovrappongono in maniera irregolare: spazio istituzionale, spazio nazionale, spazio economico, spazio religioso. Su questi incidono inoltre differenze sociali, nelle quali riconosciamo elementi di appartenenza che divengono a questo punto anche nazionali e sono legati al ruolo svolto nella società o che si riscontrano nelle dinamiche tra città e campagna, tra centro e periferia, dinamiche a loro volta non sempre riconducibili a schemi prefissati. Contenziosi politici o tensioni proprie di comunità locali, alle quali è stato facile assegnare valenze nazionali. Si vengono così a creare insiemi e situazioni che vanno colti nelle loro specificità, che in molti casi trascendono la cornice dei conflitti nazionali; ed è evidente come questa generica categoria interpretativa debba essere di volta in volta verificata e riconsiderata.

Il vorticoso gioco delle identità/contrapposizioni ha portato a sviluppare sentimenti di appartenenza come anche di distinzione particolarmente vivaci tra fine Ottocento e inizio Novecento. Techet analizza alcune situazioni e casi circoscritti (non esita a parlare di microstoria), che hanno però avuto strascichi polemici di grande risonanza anche al di fuori del contesto locale, sia nel dibattito politico-culturale dell’epoca sia, almeno in parte, nelle ricostruzioni storiografiche. L’arco cronologico si limita al periodo che va dal 1890 al 1914 – come viene dichiarato fin dal titolo del volume. Si tratta del momento, che precede la Prima guerra mondiale all’interno del contesto asburgico, in cui queste tensioni raggiungono il loro apice, e che coincide non a caso con l’ultimo scorcio dell’Impero asburgico. Periodo, tra l’altro, nel quale la dialettica politica tra i diversi gruppi e partiti assume toni alquanto duri.

Nell’area litoranea austro-ungarica si possono riconoscere tratti di contrapposizione/identità particolarmente forti. Ad esempio risulta complessa la declinazione del rapporto tra identità slava e ortodossia; emerge inoltre come il recupero o la valorizzazione di un elemento come la liturgia glagolitica (paleoslava), tradizionale in alcune zone, abbia un connotato diverso a seconda della specificità locale. 

Quando una località dei sobborghi sloveni di Trieste, Ricmanje/S. Giuseppe della Chiusa, sceglie provocatoriamente di passare sotto la giurisdizione del vescovo greco-cattolico di Crisio/Križevci, tra lo scandalo dei liberali italiani triestini ma anche di molti cattolici sloveni, questa decisione diventa un moto di protesta identitario – se non politico e legato in particolare alla scelta di un sacerdote – per ribadire una differenza e ritrovare un’ipotetica originarietà; la ribellione viene sedata dall’Ordinario triestino con provvedimenti disciplinari (trasferimento del curato e sua sostituzione, inviando a mettere a posto le cose un sacerdote che sarebbe stato uno dei maggiori esponenti del clero sloveno triestino del Novecento), mentre la comunità mette in pratica azioni religiose per molti versi alternative a quelle proposte dalla Chiesa istituzionale.

Altra cosa è invece l'introduzione di formule liturgiche o ritualità che occhieggiano alla liturgia paleoslava o a usi linguistici che suonano serbi e ortodossi dove invece, come nella Croazia interna, viene vissuta come decisiva la distinzione dei croati (cattolici) rispetto alla componente serba (ortodossa). Qui la proposta paleoslava, che per certi versi e a certi occhi poteva assumere una valenza originaria, nel ritrovare una radice vagamente panslavista, andava a toccare la sensibilità di una comunità croata (e cattolica) che non riesce ad accettare l’uso di termini che ricordano da vicino l’ortodossia e quindi, dal punto di vista nazionale, l’essere serbi.

Nei paesi dell'Istria interna la tensione tra croati e italiani si determina sui temi delle prediche e dei canti, in luoghi nei quali le due comunità si intrecciano e maturano tradizioni diverse – dove magari è proprio l’elemento italiano a essere maggioritario, e non ha intenzione di scendere a patti quando il parroco inizia a usare anche il croato nelle prediche e nei canti. Ma in questi contenziosi vediamo vacillare o intricarsi il paradigma città italiana/campagna slava.

La posizione dell’episcopato – che, ricordiamo, era di nomina imperiale – tende sempre a cogliere la proposta di un messaggio cristiano nella sua comprensibilità per la popolazione. Questo diventa oggetto di polemica e di attacchi: il friulano Flapp, vescovo di Parenzo-Pola, diocesi istriana con una popolazione in parte italiana e in parte croata, ha il suo bel daffare davanti alle divergenti richieste che finiscono inevitabilmente a scontentare sempre una parte dei fedeli. A questo si aggiunge il problema della carenza di clero (specie slavo), che al quale si rimedia con l’accettazione – già in seminario – di personale di origine ceca. Ma si tratta solo di contenziosi nazionali? Il caso di Drenova, ad esempio, nei pressi di Fiume, è significativo: a protestare contro un parroco croato sono i contadini croati, ma la stampa cittadina (di diversa lingua) cerca di affibbiare a queste tensioni etichette nazionali.

Su tutto, come nota Techet, sembra incombere l’utilizzo di un vocabolario nazionale per nascondere conflitti che hanno anche altre motivazioni: dal rapporto tra clero e gerarchia, tra gruppi sociali, tra centro e periferia, oltre che nel delimitare aree identitarie cui non si vuole rinunciare. Techet cerca quindi di spiegare come i conflitti esaminati abbiano radici più profonde della semplice affermazione nazionale. In molti casi gli attori di questi conflitti non sono diversi per nazionalità, ma questi conflitti sono stati letti come ‘nazionali’. Ecco quindi che decostruendo i percorsi emergono altre conflittualità che vanno facendo proprio il vocabolario nazionale. Semmai in ambito cattolico l’esigenza di costruire dei percorsi nazionali si intreccia con il pericolo della secolarizzazione e dell’indifferentismo religioso, ma anche pratiche religiose compiute senza un sacerdote divengono esempi di un non-conformismo che si contrappone all’ordine esistente.

La sistematica e necessaria pluralità di situazioni che incidono sullo stesso territorio e sulle stesse istituzioni rendo la lettura di questi fenomeni particolarmente complessa e stratificata. L’istituzione ecclesiastica è una, una la sua dimensione territoriale, a livello sia diocesano sia parrocchiale; più d’una sono invece dal punto di vista etnico le comunità che vi sono comprese; comunità che però vivono le proprie dimensioni sociali, anche in contrapposizione a diversi centri di potere o a élite economiche e politiche. I contenziosi interni al cattolicesimo qui esaminati fanno emergere una complessità religiosa che ricade sotto l’ampio cappello della cattolicità, che pur nella sua universalità può comprendere anche significative varietà liturgiche. Appare riduttivo e fuorviante ricondurre tutto questo a una schematicità o a un paradigma univoco. E quello nazionale lo è stato a lungo.

Subscribe to our newsletter

Partners