V, 2022/2

John Christopoulos

Abortion in Early Modern Italy

Review by: Alessandra Gissi

Authors: John Christopoulos
Title: Abortion in Early Modern Italy
Place: Cambridge, Massachusetts
Publisher: Harvard University Press
Year: 2021
ISBN: 9780674248090
URL: link to the title

Reviewer Alessandra Gissi - Università di Napoli "L'Orientale"

Citation
A. Gissi, review of John Christopoulos, Abortion in Early Modern Italy, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 2021, in: ARO, V, 2022, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2022/2/abortion-in-early-modern-italy-alessandra-gissi/

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In questo volume – uscito nella collana I Tatti Studies in Italian Renaissance History – John Christopoulos affronta con rigore e una buona dose di originalità le molteplici questioni legate all’aborto procurato nell'Italia del XVI e XVII secolo, contribuendo in maniera decisiva ad arricchire uno sguardo di lunga durata su un tema storiograficamente complesso.

A fronte di un approccio spesso astorico al tema, intorno all’aborto procurato ruota un dibattito secolare che si farà più intenso a partire dal Settecento, in coincidenza con il rilievo assunto dal parere del chirurgo ostetricante in tema di riproduzione. È un processo niente affatto lineare, in cui mutano pratiche, diffusione, interpretazioni, liceità/illiceità, pene, (auto)percezione di gravità e colpa. Aborto è, infatti, una ‘categoria mobile’, la cui definizione e identificazione dipendono da elementi diversi e connessi al contesto, qui articolato a dovere dall’autore che segnala questa scelta assegnando all’introduzione un titolo particolarmente evocativo: The meanings of abortion.

La ricerca, infatti, tiene insieme prospettive religiose, legali, mediche e una storia sociale e culturale della sessualità, della riproduzione e della famiglia per arrivare, infine, a dimostrare che diversi erano i punti di vista sull'aborto e che le risposte alla sua pratica potevano essere mutevoli. Esistevano, dunque, convinzioni prevalenti ma non univoche sull'aborto e sul corpo delle donne, pratiche diverse che figure esperte o meno esperte e le donne stesse impiegavano per interrompere le gravidanze. Ma come si incontravano o scontravano queste idee e queste pratiche con la teologia, la legge, la medicina? Christopoulos esamina questo incontro/scontro e affronta le modalità con le quali le autorità ecclesiastiche, secolari e mediche tentavano di regolare l'aborto procurato e come i tribunali indagavano e, non sempre, punivano i protagonisti.

Il primo capitolo ripercorre il discorso medico che circonda l'aborto, i corpi femminili e la gravidanza. Mentre i medici si ponevano il problema etico di indurre l'aborto in una donna incinta in caso di pericolo di vita, la salute riproduttiva restava un argomento opaco ed era avvolta da un’assoluta indeterminatezza in cui scorgiamo fluidità tra pratiche abortive e cura. Ricette, erbe, purganti destinati a ripristinare il normale funzionamento mestruale potevano rivelarsi strumenti potenziali per interrompere una gravidanza.

Al cuore del secondo capitolo c’è la bolla Contra Procurantes, Consulentes, & Consentientes quocumque modo abortum emessa da Papa Sisto V nel 1588 in una fase di intensa riforma post-tridentina. La bolla definiva l'aborto, in ogni momento della gestazione, come un omicidio. Potrebbe sembrare coerente con le posizioni correnti ma all'epoca la bolla di Sisto V era controversa perché stravolgeva una lettura di lunga data dell'aborto legata al momento dell'animazione del feto. Vi era accordo che, prima dell'animazione, l'aborto fosse peccato ma non omicidio poiché il feto non possedeva un'anima e non era «persona». Soltanto dopo pochi anni, Gregorio XIV, successore di Sisto V, doveva pronunciarsi di nuovo sul tema per andare incontro alle complicazioni dell’esistente che i confessori affrontavano costantemente. Al tempo stesso, come dimostra il terzo capitolo, anche le autorità laiche si dimostravano più tolleranti delle attese. Una delle ragioni di ciò risiedeva nel sempiterno problema di rinvenire le prove. Levatrici esperte potevano essere in grado di determinare se una donna avesse partorito di recente, ma anche la loro esperienza spesso non era in grado di distinguere tra aborto procurato, spontaneo o neonaticidio. Al di là di queste sfide probatorie, i casi legali che coinvolgevano l'aborto spesso si trasformavano in dispute basate sulla vociferazione. Le considerazioni, anche nei tribunali, erano articolate. Le fonti dimostrano che tanto le comunità quanto le autorità accettavano che donne e uomini, in momenti difficili, potessero ricorrere a pratiche abortive. Le prescrizioni venivano spesso piegate alle valutazioni che rendevano 'scusabile' l’interruzione della gravidanza in talune circostanze. La tolleranza e i suoi stessi limiti dipendevano da quanto le pratiche abortive mettessero a repentaglio l’ordine sociale e le norme morali.

I casi giunti in tribunale vengono, opportunamente, esaminati dall’autore attraverso una lente che tiene in considerazione le relazioni sociali tra querelanti, accusate e accusatori, testimoni, nelle comunità più ampie e con le autorità istituzionali. L’approccio interpretativo complica, dunque, una visione meramente top-down, articola profondamente la visione di un disciplinamento unidirezionale – dall'alto verso il basso – della sessualità e del corpo delle donne. I tribunali ecclesiastici e secolari non sempre giudicavano l'aborto come un omicidio né condannavano imputati e imputate alla pena capitale. A seconda dei particolari del caso, multe, lavori forzati, punizioni corporali o l'esilio erano considerati più appropriate e talvolta accusate e accusati riuscivano a evitare punizioni.

Nel volume, i capitoli e i temi si dipanano anche attraverso tre specifiche storie di aborto, ricostruite grazie a fonti processuali. È un andamento che procede per «giochi di scala»; incrocia, infatti, un’analisi degli aspetti medici, religiosi e legali dell'aborto con l’osservazione microstorica di tre casi. Le protagoniste sono tre donne – Rosana Ansaloni di Roma, Femia de Andreozza di Trevignano e Maria de Vecchis di Sezze. L’autore prova a ricostruire come le tre abbiano affrontato l’esperienza di un aborto procurato, per quali ragioni lo abbiano scelto, che cosa abbia significato nel contesto delle loro relazioni sessuali, delle loro famiglie, dei loro quartieri e delle comunità. L’autore complica, opportunamente, il quadro delle domande indagando anche come le configurazioni politiche locali abbiano condizionato le loro opzioni e con quali conseguenze. Ogni storia rappresenta una lente attraverso la quale scomporre e osservare le relazioni sociali, sessuali e affettive, le economie morali e le politiche istituzionali. Si delinea, infatti, un’attivazione consapevole da parte delle imputate del paternalismo dei giudici di fronte alla presunta debolezza fisica e morale delle donne che finiva, spesso, per prevalere su qualsiasi prescrizione. La dimostrazione di un’agency delle donne coinvolte, che spesso si ritagliano un ruolo di vittima del potere maschile e dell'abuso sessuale con profonda consapevolezza delle procedure legali, costituisce uno dei contributi più preziosi del volume.

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