IV, 2021/3

Luca Andreoni

Una nazione in commercio

Review by: Enrico Valseriati

Authors: Luca Andreoni
Title: Una nazione in commercio. Ebrei di Ancona, traffici adriatici e pratiche mercantili in età moderna
Place: Milano
Publisher: FrancoAngeli
Year: 2020
ISBN: 9788891779663
URL: link to the title

Reviewer Enrico Valseriati - Istituto storico italo-germanico, FBK

Citation
E. Valseriati, review of Luca Andreoni, Una nazione in commercio. Ebrei di Ancona, traffici adriatici e pratiche mercantili in età moderna, Milano, FrancoAngeli, 2020, in: ARO, IV, 2021, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2021/3/una-nazione-in-commercio-enrico-valseriati/

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Solo in tempi piuttosto recenti la storia delle comunità ebraiche in Italia durante l’età moderna ha superato un orizzonte localistico e vincolato ai singoli casi di studio, a favore di una prospettiva storiografica di più ampio respiro, anche in un’ottica di comparazione con l’ebraismo europeo. Gli studi di Francesca Bregoli e Francesca Trivellato su Livorno, quelli di Lois Dubin su Trieste o ancora gli approfondimenti di Marina Caffiero e Serena Di Nepi sugli ebrei di Roma – solo per citare alcuni degli esempi più significativi – hanno radicalmente mutato il panorama dei Jewish Studies per ciò che concerne la realtà italiana [1]. Pur adottando il paradigma comparativo, il volume di Luca Andreoni sugli ebrei di Ancona tiene conto dell’eccezionalità del caso anconitano rispetto ad altre comunità sefardite o levantine, in ragione peraltro di una ricchezza documentaria ora pienamente valorizzata.

Scopo del libro – di cui alcune parti sono state anticipate dall’autore in varie sedi editoriali negli ultimi anni – non è tanto ricostruire la storia del ghetto di Ancona, né limitarsi al celebre editto del 1733 con cui gli ebrei della Marca, come nelle altre aree dello Stato della Chiesa, subirono un «clamoroso episodio persecutorio», per usare le parole di Ercole Sori nella Prefazione (p. 11). Andreoni, distanziandosi dalla storiografia precedente, ha inteso piuttosto indagare la complessità delle relazioni all’interno e all’esterno della comunità ebraica di Ancona e al contempo comprendere le modalità di interazione tra i gruppi, entro un quadro giuridico, sociale e persino antropologico qui ben identificato. Due chiavi di lettura, da questo punto di vista, vengono utilizzate dall’autore per vincere paradigmi duri a morire, specie in relazione alla storia culturale ed economica degli ebrei italiani: il primo è la natura portuale della città di Ancona, che ebbe dei riverberi sulle caratteristiche dell’insediamento ebraico locale, anche rispetto ad altri Port Jews italiani (una definizione introdotta da David Sorkin nel 1999 [2]); il secondo è costituito dall’analisi del nesso tra le varie anime che composero la comunità ebraica, nonché tra queste e l’élite sociale anconitana. Grazie a tale approccio, il risultato che ne scaturisce è quello di «un affresco meno essenzialista del mondo ebraico» (p. 44).

Date queste premesse di metodo, il libro affronta in primo luogo la storia economica del porto di Ancona, letto attraverso il prisma dei mercanti forestieri e soprattutto ebraici, dalla crisi del 1591 fino alla prima metà del XVIII secolo. La città, mai assurta al rango di vera e propria repubblica marittima, visse in tale periodo una fase di profonda difficoltà economica e sociale, in cui tuttavia gli ebrei di Ancona seppero ritagliarsi spazi e fette di mercato importanti, grazie anche ad alcuni privilegi concessi dalle autorità locali e romane. Al 1532 risale il primo salvacondotto rilasciato dal cardinale Accolti, con cui egli invitò greci, ottomani e levantini a operare nel porto dorico. A godere di particolari vantaggi furono due gruppi in particolare, spesso dai contorni non definiti, ovvero i levantini e i portoghesi (provenienti sia dalla penisola iberica sia da Anversa, a seguito della repressione voluta da Carlo V nella città fiamminga). La vicenda degli ebrei portoghesi si concluse tristemente nel 1556 con la messa al rogo di alcuni di loro, un episodio già noto e indagato, tra gli altri, da Ariel Toaff, Shlomo Simonsohn e Renata Segre. Il quadro tracciato da Andreoni, forte anche di un meritorio lavoro di tipo quantitativo, è quello di «un’ampia gamma di deroghe e privilegi concessi ai levantini di Ancona» dal papato (p. 87), che pure si scontrò con la presenza ingombrante dell’Inquisizione e di norme repressive, che probabilmente contribuirono a non creare le più fortunate condizioni di cui godettero gli operatori ebraici di Venezia e Livorno. Ciò nonostante, davvero notevole e pervasiva fu la presenza levantina nella vita e nell’economia anconitana: basti pensare che nel 1675, ad Ancona, ben l’11,4% della popolazione censita era di origine ebraica, a fronte di una percentuale del 13,5% registrata a Livorno a pochi anni di distanza (1693). Una differenza, tutto sommato, di poco conto.

Una sezione molto importante e innovativa del libro è dedicata all’organizzazione interna, alle origini storiche e alle istituzioni della comunità ebraica di Ancona. Di grande interesse, ad esempio, è il paragrafo sui rabbini della città: benché nello Stato della Chiesa fosse proibita la presenza di tribunali rabbinici, da un punto di vista informale la voce dei rabbini fu determinante per sostenere le cause contro i consigli civici e per difendere le prerogative della comunità ebraica, anche in veste di depositari della propria cultura millenaria. Nel corso del Settecento, a fronte in parte di un inasprimento delle posizioni dell’Inquisizione nei confronti degli ebrei dorici, la figura del rabbino perse di centralità, mentre una maggior definizione fu ottenuta dall’ Università degli ebrei, all’interno della quale non mancarono forti tensioni interne. L’aver individuato nelle istituzioni propriamente ebraiche tale grado di conflittualità ha permesso all’autore di decostruire, almeno parzialmente, la stereotipa immagine di compattezza all’interno del ghetto spesso trasmessa dalla storiografia.

La comunità ebraica di Ancona non dovette fare i conti esclusivamente con dissidi intestini. Nella prima metà del XVIII secolo, infatti, l’ostilità verso gli ebrei si fece sempre crescente in città. Tra gli interventi repressivi del Sant’Uffizio, ad esempio, vi furono la requisizione e la censura dei libri proibiti, fenomeni che conobbero un’accelerazione a partire dagli anni Venti, specie nei confronti dell’odiato Talmud. L’enorme e dispendioso lavoro di perquisizione, voluto dallo Stato della Chiesa, continuò fino alle grandi operazioni di controllo del 1753. Spesso affidati a personalità prive di adeguate competenze linguistiche, i lavori di schedatura libraria e i sequestri misero in luce la complessità della vita culturale delle comunità ebraiche marchigiane, tema che meriterà in futuro ulteriori approfondimenti critici.

Le accuse di eresia e l’attività repressiva dell’Inquisizione non furono gli unici ostacoli con i quali si dovettero confrontare gli ebrei di Ancona agli inizi del Settecento. Oltre a una rigorosa ricostruzione del tessuto economico all’interno delle famiglie ebraiche, basata principalmente sul sistema dotale, Andreoni analizza l’impatto della franchigia portuale di Ancona (1732) sui commerci della città e sulla vita del ghetto. In questo frangente, gli operatori ebraici seppero ritagliarsi uno spazio rilevante nell’economia cittadina, benché fossero a capo «di una parte numericamente minoritaria dei traffici del porto» (p. 221). Nello specifico, i mercanti del ghetto si specializzarono nel commercio di tabacco, lana, cuoio, cera e canapa (in misura inferiore anche dello zolfo). Gli ebrei, in ultima istanza, furono una componente decisiva all’interno dei traffici portuali, ma non ricoprirono un ruolo realmente predominante. La tenuta complessiva del mondo economico ebraico si dovette, semmai, alla forza trainante di un piccolo gruppo di famiglie e di agenti commerciali, tra i quali spiccarono per intraprendenza e capacità organizzative i Morpurgo e i Coen di Ragusa (oggetto di un capitolo ad essi specificamente dedicato).

Il libro di Andreoni, in conclusione, non solo restituisce la complessità delle relazioni interne ed esterne alla comunità ebraica di Ancona, grazie a una capillare ricerca archivistica, ma aiuta anche a superare paradigmi spesso enfatizzati dalla storiografia, come la solidarietà interna al ghetto, l’uniformità degli atteggiamenti delle autorità ecclesiastiche nei confronti degli ebrei o ancora la distanza tra i vertici della comunità levantina e il governo centrale. Di grande rilevanza, da questo punto di vista, è l’aver dimostrato il (pur altalenante) rapporto di fiducia tra istituzioni cittadine e istituzioni degli ebrei, documentato specialmente prima delle riforme e delle norme vessatorie settecentesche. Nell’analisi di tali rapporti fra minoranza ebraica e ceto dirigente anconitano risiede, in estrema sintesi, il valore aggiunto e forse più incisivo del volume.

 

[1] Per una sintesi recente sul caso italiano si veda: M. Caffiero, Storia degli ebrei nell’Italia moderna. Dal Rinascimento alla Restaurazione, Roma, Carocci, 2014.

[2] D. Sorkin, The Port Jew: Notes toward a Social Type, in  «Journal of Jewish Studies», 50, 1999, 1, pp. 87-97.

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