IV, 2021/3

Maria N. Todorova

Scaling the Balkans

Review by: Massimo Scandola

Authors: Maria N. Todorova
Title: Scaling the Balkans. Essays on Eastern European Entanglements
Place: Leiden
Publisher: Brill
Year: 2019
ISBN: 9789004358898
URL: link to the title

Reviewer Massimo Scandola - Université de Tours

Citation
M. Scandola, review of Maria N. Todorova, Scaling the Balkans. Essays on Eastern European Entanglements, Leiden, Brill, 2019, in: ARO, IV, 2021, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2021/3/scaling-the-balkans-massimo-scandola/

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Negli ultimi vent’anni, numerosi istituti in Europa come negli Stati Uniti hanno dato un nuovo vigore alle ricerche di balcanistica. Questo segmento multidisciplinare è riemerso dall’oscurità degli «studi di area» dopo il 1989, quando studiosi europei e americani riscoprirono l’attualità di alcuni nodi storiografici: scandagliarono i rapporti fra centro e periferie, le dinamiche culturali di diffusione delle idee nei Balcani dai primi anni dell’Ottocento fino ai grandi stravolgimenti che hanno chiuso il XX secolo, le dinamiche di costruzione della memoria collettiva, la demografia storica e la storia delle idee.

Tutte queste tematiche hanno puntellato gli studi di Maria Todorova che, nella sua lunga carriera di storica dei Balcani, le ha osservate in una prospettiva sempre controcorrente rispetto alla narrazione storiografica più consueta (le «metanarrazioni», così le ha definite in una famosa intervista alla rivista «Europe Now») sull’Impero Ottomano e sugli Stati sorti in Europa orientale dalla metà dell’Ottocento ai Trattati di Versailles (1919).

Nelle sue numerose indagini, la studiosa ha manifestato una certa diffidenza verso le impostazioni storiografiche «preconfezionate» e, a partire dalla metà degli anni Novanta, nei suoi numerosi contributi ha lamentato spesso un abuso del modello centro-periferia da parte della storiografia statunitense ed europea, soprattutto laddove il modello dell’analisi economica aveva avuto la meglio sui cultural studies e, conseguentemente, la categoria di «periferia» diventava sinonimo di «arretratezza». Questa critica, come vedremo a breve, ritorna anche nell’opera che qui prendiamo in considerazione.

Già nel libro uscito nel 1997, Imagining the Balkans, Maria Todorova aveva invitato gli studiosi a prendere in esame una prospettiva storiografica innovativa, per studiare più criticamente da vicino la storia culturale dei Balcani e dell’immaginario occidentale sull’Europa Orientale, dall’Ottocento alla fine del Novecento. Le intuizioni raccolte in quel volume, che è stato ripubblicato nel 2009, rappresentano ancora oggi un riferimento importante negli studi sui Balcani. Maria Todorova legava le proprie ricerche anche ai lavori di poco precedenti condotti da Larry Wolff (Inventing Eastern Europe. The Map of Civilization on the Mind of the Enlightenment, 1994) che aveva iniziato a indagare come l’Illuminismo avesse raggiunto le «periferie» d’Europa e soprattutto aveva gettato molta luce sull’immaginario che popolava gli scritti di viaggiatori, filosofi e storici occidentali del Settecento.

Come ha ricordato recentemente anche Karl Kaser nella sua recensione a Scaling the Balkans: sin dal 1997, Maria Todorova ha voluto decostruire alcune categorie storiografiche «classiche», consolidate e ricorrenti nella critica europea e statunitense che tendevano a considerare i Balcani come la «polveriera d’Europa». Questa lettura poggiava sul parallelismo proposto da alcuni studiosi fra le guerre balcaniche dei primi anni del Novecento e la disintegrazione della Jugoslavia alla fine del secolo. In quel frangente, Maria Todorova spiegò come questi conflitti che ebbero luogo a quattro lustri di distanza l’uno dall’altro evocassero categorie storico-politiche molto distanti fra loro.

Proprio anche grazie al consolidarsi di queste interpretazioni, in una pubblicazione successiva, Balkan Identities. Nations and Memories (2004) la studiosa ha fatto luce sulle prassi di costruzione delle memorie storiche, nella loro dimensione ideale e materiale e sulla trasmissione delle memorie come mezzo di consolidamento delle identità nazionali.

Abituata alle sfide e al dibattito storiografico, Maria Todorova sceglie per questo libro un titolo provocatorio: «Scaling the Balkans» significa banalmente «scalare», ma al tempo stesso «prendere le misure», «inquadrare» o, figurativamente, «muovere rapidamente lo sguardo», come quando l’obiettivo di una macchina da presa punta verso un oggetto per avvicinarlo e allontanarlo.

Quest’antologia raccoglie trenta saggi fra editi e inediti ed è costruita su due grandi sezioni: «Concepts», la prima, è per lo più consacrata a questioni metodologiche e storiografiche; «Structures, Processes and Events», la seconda, propone una serie di casi di studio.

Anche se idealmente divisi lungo queste due direttrici, che restano molto generiche, i saggi passano in rassegna numerosissime questioni storiografiche, diverse le une dalle altre. Sicuramente la studiosa propone un approccio multidisciplinare ricco di spunti analitici: le sue indagini prendono le mosse dalla Bulgaria per estendersi ai Balcani e all’Europa orientale, dall’epoca ottomana a quella post-comunista.

Più nel dettaglio, Maria Todorova scandaglia i limiti di concetti euristici come «modernità» e «arretratezza» (Backwardness) nello studio della storia culturale dei Balcani. La studiosa approfondisce il confronto dialettico fra identità regionali ed eredità storiche nazionali. Sottopone a un’attenta valutazione le incongruenze dell’approccio degli studi post-coloniali alle indagini sui Balcani. Vaglia i significati delle categorie socio-politiche di nazionalismo, identità e alterità; ricerca le dinamiche di formazione della società civile e quelle di costruzione della nazione politica in Bulgaria; propone un focus dedicato alla demografia storica e struttura sociale nelle regioni europee dell’Impero ottomano. Dedica un capitolo agli indirizzi degli East European Studies negli Stati Uniti, volti a indagare alcune aree dell’Impero ottomano e le regioni più orientali della Monarchia asburgica. Infine, studia come il comunismo e il socialismo reale facciano parte della memoria della società civile bulgara, evocati tanto da film, serie tv, commemorazioni, quanto dalla storiografia che li sta passando in rassegna.

Tra queste pagine densissime di riflessioni, un lettore rischierebbe di perdersi? O, al contrario, potrebbe trovare un filo conduttore per seguire le analisi della storica nel loro dipanarsi? Evidentemente, questi saggi affrontano tematiche molto diverse fra loro, al tempo stesso però abbracciano le questioni multidisciplinari più consuete degli area studies o dei cultural studies (storia politica, sociale, demografia, storia delle idee e della storiografia, cinema e produzioni culturali, antropologia storica) e ne perseguono le metodologie. Ma il dato che accomuna molti contributi raccolti nel volume è la critica al modello centro-periferia. Questo aspetto pone in rilievo la continuità di quest’antologia con Imagining the Balkans del 1997 e del 2009. 

In particolare, Maria Todorova evidenzia velatamente anche i limiti della teoria dei transfers culturali e dell’histoire croisée, soprattutto laddove contesta che idee e capisaldi considerati «moderni» appartenuti alla società passata e a quella contemporanea, come il nazionalismo, fossero «esportati» in Europa orientale dall’Occidente. Passando in rassegna queste euristiche, Maria Todorova pone in evidenza lo sviluppo concomitante di numerosi fenomeni simili, che si presentano in diversi contesti geopolitici dell’Europa orientale, quali la burocratizzazione, lo sviluppo di un’opinione pubblica organizzata che partecipa al dibattito politico, lo spopolamento delle campagne e l’industrializzazione, l’urbanizzazione a volte forzata di aree sempre più grandi. Nella prospettiva di Maria Todorova, questi fenomeni di lungo periodo verificatisi all’inizio dell’Ottocento sono comparsi sincronicamente in numerose regioni e avrebbero consolidato il formarsi dei nazionalismi negli Stati dell’Europa occidentale come nelle monarchie sovranazionali dell’Europa orientale, comunemente considerate «arretrate» rispetto ad un Occidente «moderno» e «avanzato».

Sebbene le analisi di Maria Todorova si concentrino soprattutto sulla Bulgaria dall’epoca ottomana a quella contemporanea, non perdono mai di vista i Balcani e l’Europa orientale. Nella sua presa di posizione, la ricercatrice critica anche l’impostazione storiografica degli studi postcoloniali, che ritiene inadeguata alle indagini sulla storia dei Balcani e dell’Impero Ottomano. In questo lavoro, come anche in varie interviste rilasciate a riviste specialistiche di storia o di geopolitica, Maria Todorova ribadisce come l’Impero ottomano non possa essere trattato come una potenza coloniale di epoca moderna. Ritiene valida una simile considerazione anche per l’Impero austro-ungarico, mentre esprime le proprie perplessità relativamente alla Russia zarista. Si tratta senza alcun dubbio di tematiche che oggi dividono gli storici. Maria Todorova invita indirettamente gli studiosi a lavorare sugli esiti socio-culturali che fecero seguito alle grandi cesure e ai grandi cambiamenti politici, quali la caduta dell’Impero ottomano, di quello zarista, di quello austro-ungarico, come al tempo stesso la fine del comunismo negli Stati dell’Europa orientale. 

Tuttavia le riflessioni metodologiche dell'autrice possono rivelarsi interessanti anche per gli studiosi che si occupano del Settecento per riconsiderare criticamente la circolazione delle idee e le rispettive ricadute letterarie, artistiche e culturali che accompagnarono alcuni mutamenti politici – forse oggi poco studiati – che cambiarono la carta dell’Europa orientale: penso alla Pace di Passarowitz (1718) fra la Repubblica di Venezia e l’Impero ottomano e al Trattato di Belgrado (1739), che ha ridisegnato la frontiera austro-turca, ma anche al Trattato di Pietroburgo (1772) che spartì la Polonia o al Trattato di Schönbrunn (1809) quando, dopo la battaglia di Wagram, furono istituite le Province illiriche. Certamente, la lettura proposta da Maria Todorova risulta originale e utile anche per la sua presa di distanze dagli indirizzi più tradizionali della ricerca.

Alla luce di queste considerazioni, la presente raccolta rappresenta una risorsa importante per rinnovare la critica storiografica, che si confronta quotidianamente con «intrecci/nodi» nuovi, come recita anche il titolo dell’antologia, che attendono di essere sciolti.

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