III, 2020/1

Paolo Magaudda - Gabriele Balbi (ed.)

Fallimenti digitali

Review by: Camilla Tenaglia

Editors: Paolo Magaudda - Gabriele Balbi
Title: Fallimenti digitali. Un’archeologia dei ‘nuovi’ media
Place: Milano
Publisher: Unicopli
Year: 2018
ISBN: 9788840019765
URL: link to the title

Reviewer Camilla Tenaglia - Isig- FBK

Citation
C. Tenaglia, review of Paolo Magaudda - Gabriele Balbi (ed.), Fallimenti digitali. Un’archeologia dei ‘nuovi’ media, Milano, Unicopli, 2018, in: ARO, III, 2020, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/1/fallimenti-digitali-camilla-tenaglia/

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Il libro a cura di Paolo Magaudda e Gabriele Balbi propone un punto di vista insolito nello studio della storia dei media digitali, i cosiddetti “Nuovi media” che hanno cominciato a farsi strada nel sistema mediatico mondiale intorno agli anni Novanta, concentrandosi su esempi di esperimenti fallimentari. L’intento principale è quello di decostruire la narrativa predominante che ha finora approfondito quasi esclusivamente le storie di successo. I fallimenti non sarebbero quindi semplicemente da intendersi come propedeutici al successo finale, ma anzi offrirebbero una nuova prospettiva nello studio del rapporto tra media e società.

La parte più interessante del volume è senz’altro la lunga introduzione, nella quale i curatori teorizzano la categoria di fallimento e la inseriscono nel contesto storiografico di riferimento, impiegando approcci scientifici diversi che si intersecano in una prospettiva interdisciplinare. L’importanza dei fallimenti deriva quindi in primo luogo dai Science & Technologies Studies, che propongono un metodo simmetrico, che mantenga sullo stesso piano le teorie scientifiche di “successo” e quelle che invece si sono rivelate errate. Balbi e Magaudda fanno poi riferimento al recente trend che mira alla denaturalizzazione della storia dei media, ossia all’abbandono di una visione “biologica” dello sviluppo dei sistemi mediatici e delle tecnologie mediatiche, dove a prevalere sarebbe il mezzo di comunicazione più forte a discapito di quelli più deboli. In ultimo i curatori si appellano all’archeologia dei media, per una riscoperta della dimensione materiale della storia dei media, spesso troppo trascurata.

Vengono inoltre presentate dai curatori “quattro tesi eclettiche sul fallimento digitale” (p. 15), sviluppate sulla base dei casi di studio presenti nel volume. Il fallimento è temporaneo e transitorio (1), in quanto dipende spesso da indirizzi politici e gruppi sociali, che possono cambiare e decretare un nuovo successo per esperimenti in un primo momento accantonati. Allo stesso tempo però anche il successo è transitorio (2), perché può essere parte di un più grande processo di evoluzione o perché può contenere un tradimento dell’idea originaria che lo aveva ispirato. Il fallimento è produttivo (3) e può contenere al suo interno potenzialità generative. Esso è poi spiegabile (4), cioè dipendente da fattori identificabili e quindi, di per sé, non inevitabile.

Nel volume sono poi raccolti brevi contributi che affrontano una vasta gamma di media digitali, corredati da specifiche bibliografie. Nonostante gli argomenti trattati e i motivi dei fallimenti esposti siano tra loro molto diversi, rimane evidente il filo rosso tracciato dai curatori, cosicché ogni esempio riesce a inserirsi perfettamente nel discorso generale e ad arricchirlo con nuove sfumature. I saggi sono divisi in tre sezioni, che ripercorrono temi o modalità di fallimento diversi.

La prima sezione è dedicata al rapporto tra analogico e digitale e in particolare alle sovrapposizioni e alle resilienze che hanno contraddistinto l’avvento del digitale. Nel suo contributo sulla fotografia, Minniti si concentra sugli esperimenti per una tecnologia ibrida e sui meccanismi che ne costituirono il fondamento e quelli che ne decretarono l’insuccesso, portando alla luce la centralità della componente sociale nell’utilizzo dei media. Centralità che è ribadita sia dall’esempio del “The daily” di Valentini, che analizza l’importanza di superare una visione generalista dell’informazione nell’era di internet, sia in quello della radio digitale presentato da Bonini, che si interroga sulla natura dei pubblici radiofonici. Parlando della televisione ad alta definizione, Richeri introduce un altro importante attore nello sviluppo delle tecnologie mediatiche: lo Stato, che, come le imprese private, deve prendere decisioni in un contesto imprevedibile e in rapido mutamento.

La seconda parte tratta invece di reti, in particolare di internet. In un contributo sull’introduzione della banda larga in Italia, Bory affronta le questioni materiali, sia economiche sia infrastrutturali, che hanno decretato il fallimento di quell’esperimento, collegato, forse, all’attuale annoso problema dell’alfabetizzazione digitale nel Bel Paese. Gli altri due contributi della sezione sono invece più orientati a indagare i meccanismi sociali innescati dall’uso massiccio di internet. Parlando del fallimento del peer to peer, Musiani mostra come il concetto di condivisione sia al contempo fondamentale e controverso nella rete, il superamento del baratto come distribuzione di governance può essere infatti da un lato interpretato come una semplice evoluzione dei rapporti di potere e dall’altro come il tradimento di un esperimento sociale “giusto”. Locatelli e Vittadini espongono invece il caso degli epic fails nei social media e come siano strettamente legati alle norme culturali che ne disciplinano l’uso.

L’ultima sezione si confronta invece con la transitorietà dei fallimenti in campo digitale. Ballatore e Natale parlano del mito tecnologico dell’intelligenza artificiale e di come questa mitizzazione non sia dovuta tanto a un giudizio riguardo a una sua non attuabilità, quanto alla pervasività nell’immaginario collettivo, che ne determina momenti alterni di fortuna. Miconi e Pentecoste affrontano invece il tema del declino dell’idea di una convergenza su un unico medium, nel caso dei videogames, evidenziando la permanenza di devices diversi in rapporto non solo all’utilizzo che ne viene fatto (ludico o lavorativo), ma anche allo spazio fisico che occupano all’interno delle abitazioni. In ultimo Arcagni, indagando il fenomeno del digital video, tenta di mettere a confronto piattaforme che in questo campo hanno avuto successo, come Youtube e Netflix, e altre che, per diverse ragioni, legate soprattutto a questioni di tempo, non ne hanno ottenuto.

Il libro si chiude con una breve appendice dove sono raccolte citazioni che trattano il tema del fallimento e che, dopo la carrellata di esempi concreti di esperimenti fallimentari, riportano l’attenzione del lettore sull’opportunità, o meglio, sulla necessità di complicare lo studio della storia dei media affrontando non solo le storie di successo, ma anche quelle che, per molti motivi, non ce l’hanno fatta.

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