I, 2018/2

Sandro Landi

Lo sguardo di Machiavelli

Review by: Michele Lodone

Authors: Sandro Landi
Title: Lo sguardo di Machiavelli. Una nuova storia intellettuale
Place: Bologna
Publisher: Il Mulino
Year: 2017
ISBN: 9788815273901
URL: link to the title

Reviewer Michele Lodone - Scuola Normale di Pisa

Citation
M. Lodone, review of Sandro Landi, Lo sguardo di Machiavelli. Una nuova storia intellettuale, Bologna, Il Mulino, 2017, in: ARO, I, 2018, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2018/2/sguardo-macchiavelli-michele-lodone/

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Negli studi di Sandro Landi sulla comunicazione politica e religiosa della prima età moderna, Machiavelli compariva – insieme a Castiglione e a Guicciardini – tra i protagonisti del processo di costruzione e affermazione dell’opinione pubblica come categoria del discorso politico. Il volume qui recensito si può leggere come uno sviluppo coerente di tali prospettive, e al contempo come una sfida nuova. L’interesse dell’autore si concentra, infatti, non su Machiavelli pensatore, ma su Machiavelli lettore e scrittore, e si rivolge programmaticamente ai testi, prima e più che ai contesti (circoscritti generalmente, dagli storici delle idee, in modo arbitrario). Sulla scia di Carlo Ginzburg, dei testi sono privilegiati gli elementi in apparenza marginali, le anomalie e le eccezioni significative della “forma di cognizione delle cose specifica di Machiavelli” (p. 18), e particolare attenzione è prestata inoltre alle forme materiali della loro pubblicazione e circolazione.

Al fine di indagare le ragioni e le implicazioni del suo vedere le cose “discosto”, Landi propone una sorta di “biografia cognitiva” di Machiavelli (p. 19). In particolare, egli ripercorre le esperienze che hanno contribuito allo sviluppo del suo sguardo, originale e irriverente, sulla dimensione non istituzionale del potere. Dalla giovinezza – per noi quasi del tutto ignota, fatta eccezione per la copia autografa del De rerum natura di Lucrezio e per il Libro di ricordi in cui il padre Bernardo appuntava i libri acquistati o presi in prestito – alle prime esperienze diplomatiche; dagli incarichi rivestiti durante il governo del Gonfaloniere Soderini alla relegatio a Sant’Andrea in Percussina; dalla lettura di autori antichi (non solo Livio, ma anche Lucrezio, Macrobio, Senofonte e Tolomeo) a quella di testi geografici o medici più recenti, il principale filo conduttore che guida l’‘inchiesta’ di Landi attraverso queste esperienze è costituito dalla riflessione antropologica di Machiavelli su natura e caratteristiche del patto di credenza tra governanti e governati. Fin dal primo scritto originale a noi noto, la lettera a Ricciardo Becchi del 9 marzo 1498, Machiavelli – spettatore critico delle prediche di Savonarola – riflette sui fondamenti discorsivi e persuasivi del carisma, sulla loro dimensione immateriale. In seguito, come segretario di una cancelleria definita da Bartolomeo Scala “fogna del popolo”, ovvero ricettacolo di tutte le voci che corrono in città, egli mette a fuoco la necessità di mediare tra palazzo e piazza, serbando i segreti del primo, e conoscendo a fondo quanto si dice nella seconda. In altre parole, Machiavelli identifica la prudentia dell’uomo di governo con la capacità di credere solo a fatti accertati, e far credere ad altri anche senza fondamento, con il duplice obiettivo di rafforzare il vincolo di fiducia che lega il popolo alle istituzioni e fuorviare i nemici. A questo riguardo, una pista interessante da sviluppare è rappresentata proprio dalla produzione di lettere contenenti false notizie da far recapitare al nemico. Anche le voci infondate, dunque, sono importanti, per la loro capacità di incidere sul corso degli eventi; ma, come armi a doppio taglio, possono rivolgersi contro il politico incapace di verificarle – anche in assenza di “riscontri” concreti – e di “conietturare” su fondamenti spesso scivolosi. Così scivolosi, talvolta, da indurre Francesco Vettori, nel febbraio 1507, a scrivere che in certi incarichi diplomatici “nessuno uomo, se non fussi profeta, non si potrebbe apporre” (p. 102).

L’importanza dell’esperienza di segretario e diplomatico non è nuova agli studi su Machiavelli. Meno nota è invece la sua riflessione su realtà politiche o antropologiche diverse, che Landi mette a fuoco non solo attraverso le relazioni sulla Germania e sulla Francia (dove il segretario fiorentino scorge acutamente, nella monarchia di diritto divino, un grande ‘dispositivo’ capace di far credere i sudditi), ma anche ipotizzando una diretta conoscenza da parte di Machiavelli delle lettere dal Nuovo Mondo del mercante Simone Verde e di Amerigo Vespucci. In particolare, nelle proteste di veridicità di quest’ultimo – segno dell’accoglienza negativa ricevuta dalle novità da lui riferite – l’autore vede un possibile ipotesto della rivendicazione di Machiavelli, nel proemio dei Discorsi, di “entrare per una via” nuova; anche se resta l’impressione che possa trattarsi di un luogo comune, non estraneo a finzioni celebri come la Lettera del prete Gianni[1].

La ricchezza del volume di Landi impedisce di seguirne in dettaglio tutte le proposte di lettura, spesso stimolanti anche quando riferite a testi classici come la famosa lettera a Vettori del 10 dicembre 1513. L’apporto principale e più convincente dell’autore consiste, probabilmente, nel profondo ripensamento della problematica categoria di popolo. Per Landi, il popolo di Machiavelli è il “luogo antropologico” in cui si manifesta la dimensione extra-istituzionale della politica (p. 238). Una dimensione tutt’altro che passiva, come mostra il confronto tra l’analisi dei processi di persuasione e credenza in Machiavelli e nel suo contemporaneo Pietro Martire d’Anghiera. Il resoconto di quest’ultimo sui Tainos dell’isola di Hispaniola, presto tradotto e diffuso anche a Firenze, descrive la loro religione come una struttura di credenza unidirezionale, che procede dall’alto verso il basso. Machiavelli guarda invece al fenomeno religioso come a una realtà più complessa, fondata tanto sulla persuasione quanto sulla volontà di credere. Il concorso delle due parti, in altre parole, è decisivo in questo “tacito patto di credenza” (p. 272) che lega chi crede e chi fa credere, e che condizioni e fattori esterni possono in qualsiasi momento rimettere in discussione. In questa direzione, Machiavelli potrebbe aver tratto spunti di riflessione interessanti, secondo Landi, da testi medici e filosofici coevi come le riletture del De anima di Aristotele da parte di Gianfrancesco Pico e soprattutto di Andrea Cattani (che dedicò la sua opera al Gonfaloniere Soderini). Si può aggiungere, a proposito della fragilità di tale patto, che Machiavelli sembra meno pessimista di alcuni suoi contemporanei (ad esempio il cronista Piero Vaglienti[2]), dal momento che nella sua ottica assecondare e prevedere l’”opinione universale”, per quanto difficile, rappresenta una delle principali capacità del buon politico.

Tale prospettiva permette di cogliere a pieno la densità delle considerazioni di Machiavelli sulla trasformazione antropologica provocata dalla religione cristiana, relativa non solo al sistema di valori, all’”educazione”, ma anche alla percezione stessa del sacro: se nella religione dei Romani dominava l’aspetto istituzionale, rituale e spettacolare, il cristianesimo – religione più “delicata” – ha introdotto la nuova pretesa di un assenso individuale e interiore. All’autore dei Discorsi non sfuggivano le straordinarie potenzialità politiche implicite in tale novità; e a suo modo, con le proprie categorie, egli anticipava il più recente dibattito storico e antropologico sui diversi tipi di credenze come quadro mentale e sociale, come istituzione che “dispense de l’adhésion explicite, et suffit à faire de ces croyances des dispositions à agir” o come atto di adesione personale e mentale[3]. Il nuovo rapporto instaurato dal cristianesimo tra il secondo e il terzo tipo non impediva a Machiavelli di proporre una sorta di antropologia comparata della credenza, intesa al contempo come forma di adesione e disposizione ad agire.

 

[1] Si veda la premessa al volgarizzamento della lettera, forse degli inizi del XVI secolo, Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia, It. XI, 6 (= 7222), f. 175r: “Molte persone ignorante per lor pocho animo et intelecto, oldendo cose che lor non ànno vedute, parli inposibele et dichono a li dicitori non eser vero, inperoché la lor pusilanimità li teneno pegri in le lor abitanze, non credendo sia altro nel mondo che le lor cose vedute. Ma li animosi, per lor ardire dirupando ogni viltà, ànno stimato pocho la lor vita, imaginando le varietate di nacione, sì ne sono venuti a li loro desiderii con solicito afanno, zercando ora qua hora là, non se tenendo sacii del veduto, imaginando sempre del novo poser veder, e del veduto rezitando a li non veduti poseno creder con verità li diti loro per testemonianza, como in parte intenderete in questa epistola dal prete Zani re di India, qual paese è in Levante …”. Su questo volgarizzamento cfr. ora S. De Mari, I manoscritti marciani della Lettera del Prete Gianni, tesi di laurea in filologia e letteratura italiana, rel. E. Burgio, Università Ca’ Foscari di Venezia, 2017, pp. 14-30, 81-88 (con edizione del testo).

[2] Si pensi al diverso utilizzo del motto attribuito da entrambi a Giorgio Scali: per Vaglienti è vero che “chi si fonda in sul popolo, con riverenza, si fonda in sulla merda” (Storia dei suoi tempi. 1492-1514, a cura di G. Berti - M. Luzzati - E. Tongiorgi, Pisa, Nistri-Lischi e Pacini, 1982, p. 174); nel IX capitolo del Principe, invece, Machiavelli teorizza la necessità, da parte del governante, di conquistare il favore del popolo, pur senza fare cieco affidamento su di esso: “e non sia alcuno che repugni a questa mia opinione con quello proverbio trito, che chi fonda in sul popolo fonda in sul fango: perché quello è vero quando uno cittadino privato vi fa su fondamento e dassi a intendere che il populo lo liberi quando fussi oppresso da’ nimici o da’ magistrati. In questo caso si potrebbe trovare spesso ingannato, come a Roma e’ Gracchi e a Firenze messer Giorgio Scali”; L. D’Onghia, Piero Vaglienti, in Machiavelli. Enciclopedia Machiavelliana, a cura di G. Sasso, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2014, II, pp. 641-642.

[3] C. Grellard, Les ambiguïtés de la croyance. À la recherche d’une anthropologie comparée de la croyance, in “Socio-anthropologie”, 36, 2017, pp. 75-89 on-line (URL: <http://journals.openedition.org/socio­anthropologie/3121>), § 15.

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