I, 2018/2

Salvatore Bono

Schiavi

Review by: Federica Morelli

Authors: Salvatore Bono
Title: Schiavi. Una storia mediterranea (XVI-XIX secolo)
Place: Bologna
Publisher: Il Mulino
Year: 2016
ISBN: 9788815260529
URL: link to the title

Reviewer Federica Morelli - Università di Torino

Citation
F. Morelli, review of Salvatore Bono, Schiavi. Una storia mediterranea (XVI-XIX secolo), Bologna, Il Mulino, 2016, in: ARO, I, 2018, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2018/2/schiavi-federica-morelli/

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Il libro di Salvatore Bono offre un pregevole sforzo di sintesi e allo stesso tempo una storia minuziosamente documentata della schiavitù mediterranea in epoca moderna. Frutto di lungo percorso di ricerca personale e allo stesso tempo di una storiografia che in questi ultimi decenni ha conosciuto uno sviluppo senza precedenti, il libro rappresenta un punto di riferimento obbligato per tutti coloro che vogliano avvicinarsi al tema.

A lungo rimasta una storia taciuta, da oltre un ventennio il tema della guerra di corsa e quello del commercio dei captivi nel Mediterraneo di età moderna sono stati oggetto di rinnovato interesse da parte della storiografia. Soprattutto in Italia, Spagna e Francia, ricerche sistematiche hanno permesso di ricostruire diversi aspetti della schiavitù mediterranea: modalità della cattura, condizioni di vita dei prigionieri, riscatti, conversioni. Tale produzione ha innanzitutto mostrato chiaramente come la guerra di corsa e il commercio dei captivi abbiano rappresentato a lungo un elemento cruciale della storia dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dal medioevo all’età moderna, giungendo fino ai primi decenni del XIX secolo. La schiavitù mediterranea sembrerebbe delinearsi come sistema contraddistinto da elementi peculiari e di conseguenza diverso da altri, in particolar modo da quello della schiavitù atlantica. La reciprocità (secondo cui tutte le popolazioni del mondo mediterraneo condividevano potenzialmente la stessa sorte) e la reversibilità (ossia il fatto che la maggioranza degli schiavi usciva prima o poi dalla condizione di schiavitù) ne costituiscono le principali specificità. Tuttavia il libro dimostra chiaramente che la schiavitù mediterranea non è riconducibile a un sistema, ma a una molteplicità di sistemi: al protrarsi residuale della schiavitù medievale, domestica ma anche di piantagione; al sopraggiungere della tratta dall’Africa verso la penisola iberica; all’interruzione della tratta proveniente dal Mar Nero e al conseguente estendersi della guerra corsara di una “schiavitù di prossimità”. Dunque, la distinzione rispetto ad altri tipi di schiavitù, anche in considerazione del fatto che quella mediterranea ha costituto il precedente immediato di quella atlantica, non appare più così netta.

L’impossibilità di ricondurre la schiavitù mediterranea a uno specifico sistema si collega anche al fatto che nello spazio mediterraneo questa non ha costituito un fattore determinante nell’evoluzione economica dell’area; si tratta infatti di società con schiavi più che di vere e proprie società schiaviste. L’impossibilità di ricostruire un vero e proprio sistema schiavista spiega, secondo Bono, non solo la scarsa attenzione che gli storici hanno rivolto per molto tempo a questo fenomeno, ma anche il fatto che i numerosi studi sulla schiavitù mediterranea si presentino come una molteplicità di casi individuali e circoscritti. Una delle sue principali caratteristiche rispetto a quella atlantica è infatti la mancanza di dati e cifre esaustive sul numero degli schiavi, dovuto al fatto che le modalità di cattura, importazione, di riduzione in schiavitù hanno assunto forme molteplici; parte considerevole di questi fenomeni, poi, non ha lasciato tracce scritte.

Da qui l’impostazione del libro di Bono, il quale dichiara, fin dalla prefazione, che si tratta di una storia costituita da innumerevoli vicende individuali, mutevoli e tra loro differenti, e non riconducibili a un numero definito di tipologie. Il volume è infatti organizzato intorno ad alcuni nuclei fondamentali, ognuno dei quali riporta vari casi esemplificativi: il concetto di schiavitù mediterranea e la sua geografia (capp. 1 e 2); i canali di produzione degli schiavi (guerre e pirateria) e della loro distribuzione (capp. 3 e 4); la vita degli individui in condizione servile, le incombenze loro affidate, compresa quella dei galeotti al remo sulle navi (capp. 5, 6 e 7); il ritorno alla libertà, mediante il pagamento di un riscatto, la manomissione o la conversione (capp. 8 e 9). Il risultato è un’analisi estremamente ricca e appassionante che non indugia nel mettere in discussione certi luoghi comuni della schiavitù mediterranea, come ad esempio l’importanza dei riscatti nel determinare la reversibilità della condizione di schiavo e il ruolo giocato dagli ordini religiosi in questi processi. Se i riscatti furono importanti nel determinare il ritorno di molti europei nelle loro società di origine, per gran parte degli schiavi in Europa il destino finale è stato quello di essere integrati nelle società di adozione, attraverso la conversione religiosa e la manomissione. Per gli uni e per gli altri vi erano tuttavia anche altre possibilità di ritorno alla libertà, come l’auto-manomissione o auto-riscatto (l’acquisto della libertà da parte dello schiavo stesso), lo scambio, la liberazione in un evento bellico, la fuga. Sebbene gli ordini religiosi abbiano giocato un ruolo importante nel riscatto degli schiavi europei, ricerche più recenti hanno dimostrato che la maggior parte di tali riscatti avveniva tuttavia tramite canali e mediatori diversi, non necessariamente religiosi.

Il dato più importante che emerge dal libro di Bono è che la schiavitù mediterranea non può essere dissociata da quella atlantica o da altre forme di schiavitù. Più che insistere sugli elementi distintivi, sarebbe necessario che gli storici della schiavitù iniziassero a sottolineare le connessioni e le reciproche influenze tra i vari spazi. Alcuni dei fenomeni più interessanti descritti dal libro, come la possibilità per gli schiavi di svolgere un’attività autonoma dietro corresponsione al padrone di un certo importo giornaliero, la loro locazione a terzi o l’auto-manomissione si ritroviamo anche nelle società coloniali americane, soprattutto in quelle iberiche (che non possiamo certo definire solo atlantiche o mediterranee), ma in anche alcune società inglesi del Seicento, prima dello sviluppo dell’economia di piantagione. Non dobbiamo dimenticare infatti che la schiavitù di piantagione è solo una delle tipologie presenti in America e che nelle società coloniali oltre-atlantico esistevano anche schiavi domestici, artigiani, soldati e miliziani, schiavi che appartenevano allo Stato e che erano utilizzati in lavori e funzioni pubbliche, così come nelle imbarcazioni. Sebbene alcuni storici americanisti abbiano evidenziato l’influenza dei modelli mediterranei sulla schiavitù atlantica e in modo particolare sulle pratiche di manomissione, c’è ancora molto da fare nel senso inverso, ossia studiare come le pratiche atlantiche influenzano a loro volta la schiavitù mediterranea.

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