VII, 2024/1

Bianca Gaudenzi

Fascismi in vetrina

Review by: Ferdinando Fasce

Authors: Bianca Gaudenzi
Title: Fascismi in vetrina. Pubblicità e modelli di consumo nel Ventennio e nel Terzo Reich
Place: Roma
Publisher: Viella
Year: 2023
ISBN: 9791254692967
URL: link to the title

Reviewer Ferdinando Fasce - Università di Genova

Citation
F. Fasce, review of Bianca Gaudenzi, Fascismi in vetrina. Pubblicità e modelli di consumo nel Ventennio e nel Terzo Reich, Roma, Viella, 2023, in: ARO, VII, 2024, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2024/1/fascismi-in-vetrina-ferdinando-fasce/

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La storiografia italiana sulla pubblicità sconta ritardi e limiti inveterati e ben noti. La premessa è doverosa perché consente di inquadrare il lavoro di Gaudenzi e il fatto che esso indubbiamente copre un vuoto nel panorama storiografico nazionale e internazionale. Ma, oltre che coprire un vuoto, Gaudenzi rimedia a un grave limite delle pur esigue ricostruzioni elaborate sul tema durante la Guerra fredda. È la tendenza a narrare la vicenda della pubblicità sotto i fascismi «come una storia di sostanziale immobilismo», di regressione o addirittura «di cieca e totale oppressione» delle dittature nei confronti della professione (p. 13). Una tendenza, questa, che nasceva dalla convergenza fra la necessità di legittimare la pubblicità come parte integrante (e non contaminata dai rispettivi regimi autoritari) delle “repubbliche dei consumi” che sulle ceneri di quei regimi andavano emergendo nelle Repubblica Federale Tedesca e in quella italiana, e la rivendicazione di un ruolo di “fronda” da parte dei pubblicitari stessi sopravvissuti al crollo di detti regimi. Ora, che nel caso italiano fossero finiti a fare pubblicità giornalisti vittime della censura fascista non ci sono dubbi. Basti pensare al caso di Gino Pestelli, già giornalista inviso al duce, e poi a lungo responsabile dell’Ufficio Stampa e Pubblicità Fiat fra le due guerre e nel secondo dopoguerra. Né si può dimenticare la repressione esercitata dal regime mussoliniano nei confronti del Gruppo Amici della Razionalizzazione e degli esperti di organizzazione aziendale, di grafica e di pubblicità (Roberto Tremelloni, Libero Lenti, Dino Villani) o politici (Lelio Basso), di impronta antifascista, che ne facevano parte, molti dei quali ritroveremo poi come esponenti della Resistenza. Ma Gaudenzi dimostra con dovizia di elementi documentali come questo non autorizza a ipotizzare, come è stato fatto, un rapporto sostanzialmente conflittuale tra la professione e i regimi. Oltre a glissare sulla violenta epurazione dei professionisti di origine ebraica dal settore nell’epoca fra le due guerre, questa ricostruzione infatti impedisce di vedere le connivenze o addirittura il sostegno convinto fornito ai fascismi a opera di alcuni dei maggiori autori e realizzatori di pubblicità e propaganda. Che trovarono nelle dittature l’opportunità di trasformarsi da imbonitori da fiera, come spesso ancora fra le due guerre erano considerati un po’ sotto tutte le latitudini, in un corpo di professionisti, legittimati dall’alto, grazie al ruolo di produttori di messaggi di consenso che passavano anche attraverso il consumo o la promessa di consumo.

La base documentaria del libro, frutto di una lunga ricerca condotta in origine a Cambridge sotto la guida di sir Richard J. Evans, comprende un’enorme messe di materiali inediti, conservati in una ventina di archivi sparsi fra Italia, Germania e Stati Uniti. Essi spaziano da innumerevoli annunci pubblicitari, alla corrispondenza che consente di vedere come furono elaborati e consumati. Non meno importante è l’approccio metodologico, interdisciplinare e attento a una ricezione critica delle più recenti tendenze di storiografia e scienze sociali su pubblicità, propaganda e consumi e sulla più ampia cornice dei due regimi totalitari e della circolazione di teorie e pratiche comunicative di massa fra i regimi e il resto del mondo occidentale, con una particolare attenzione alle suggestioni provenienti d’oltre Atlantico. L’obiettivo si muove su tre livelli di indagine: quello statale, con i tentativi delle due dittature di irreggimentare le rispettive industrie pubblicitarie; quello degli addetti ai lavori, incaricati di trasformare in appelli pubblicitari i diktat dei fascismi esaltando l’efficacia di questi canali comunicativi; e quello dei consumatori, mediante l’esame dei modelli di consumo proposti attraverso le campagne pubblicitarie.

In cinque densi, ma scorrevoli, capitoli il libro parte da un quadro generale degli sviluppi teorici e pratici del settore nel primo trentennio del Novecento, con un’opportuna disamina dei diversi contesti, economici e pubblicitari, italiano e tedesco. Sottolinea l’influsso che negli anni Trenta la macchina propagandistica e l’attenzione capillare per la pubblicità, sviluppate dal nazista Goebbels, esercitano sul regime mussoliniano, spingendolo a un controllo sempre più diretto del settore pubblicitario, a un uso delle sue strutture e a una compenetrazione crescente fra la sfera commerciale e quella politica. Ricostruisce da vicino in chiave parallela e comparata l’impatto dei regimi su due soggetti pubblicitari cruciali, quali, rispettivamente, l’Unione Pubblicitaria Italiana, e la versione “germanizzata” della succursale berlinese della grande agenzia statunitense J. Walter Thompson. Illustra convergenze e differenze fra la realtà italiana e quella tedesca mediante uno sguardo ravvicinato sulle dinamiche di razza, genere e classe che popolano gli annunci pubblicitari sotto le due dittature. Insegue intrecci e differenze delle “proiezioni di futuro” con le quali l’industria pubblicitaria contribuisce alla macchina di propaganda nei due paesi durante la guerra.

Proprio il tema della guerra e delle visioni del futuro fornisce una delle tante, suggestive richieste di approfondimento che solo libri di questa portata sono capaci di indurre. Sarebbe interessante infatti riprendere il tema con un’analisi comparata di come la promessa sia stata declinata contemporaneamente dalle liberaldemocrazie britannica e soprattutto statunitense e di come questo dispositivo discorsivo, a sua volta, abbia gettato le basi dell’egemonia culturale americana e delle tensioni che l’hanno attraversata, in Italia, Germania e altrove, nel resto del Novecento e oltre.                                                                                                   

 

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