VI, 2023/3

Simona Boscani Leoni, Sarah Baumgartner, Meike Knittel (eds.)

Connecting Territories

Review by: Giulia Iannuzzi

Editors: Simona Boscani Leoni, Sarah Baumgartner, Meike Knittel
Title: Connecting Territories. Exploring People and Nature, 1700-1850
Place: Leiden
Publisher: Brill
Year: 2022
ISBN: 9789004412460
URL: link to the title

Reviewer Giulia Iannuzzi - Università di Trieste

Citation
G. Iannuzzi, review of Simona Boscani Leoni, Sarah Baumgartner, Meike Knittel (eds.), Connecting Territories. Exploring People and Nature, 1700-1850, Leiden, Brill, 2022, in: ARO, VI, 2023, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2023/3/connecting-territories-giulia-iannuzzi/

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Questa raccolta di saggi offre un ricco contributo alla storia dei processi di esplorazione e di scambio e accumulazione di conoscenze che hanno dato forma al sapere scientifico europeo in epoca moderna, con particolare riguardo alla fine del Settecento, un momento di accelerazione e infittimento di comunicazioni e spostamenti a livello globale. Nell’impostazione comparata che caratterizza il libro si apprezza la consapevolezza con cui la creazione del sapere disciplinare da parte di studiosi e istituzioni europee è inquadrata in senso transazionale, e la particolare valorizzazione della varietà di attori coinvolti nei processi di mappatura e raccolta di esemplari materiali, registrazione e condivisione di informazioni. Protagonisti dei casi di studio presi in esame negli undici capitoli che compongono il volume sono non solo accademie e società colte, pur stante il cruciale ruolo di collettori svolto da simili organismi, e non solo singoli individui con una formazione accademica, ma anche detentori di saperi a livello locale, informatori e informatrici, praticanti, dilettanti, in altre parole, persone di diversa estrazione sociale, da mercanti e diplomatici a funzionari ed ecclesiastici, da artigiani e speziali a giardinieri, cacciatori e contadini.

Pendant di questo interesse per gli attori in gioco è l’attenzione prestata ai diversi lieux de savoir in cui la conoscenza scientifica veniva forgiata: non solo aule e sale dove si tenevano lezioni e conferenze, ma anche società patriottiche, teatri anatomici, orti botanici, collezioni di storia naturale e di antiquariato, e luoghi del mondo naturale. Un’analoga attenzione riguarda i contesti di creazione del sapere intesi in senso ampio, per cui sono presi in considerazione scenari politico-istituzionali e linguistici oltre che materiali. Così ad esempio, l’ottimo saggio di Simona Boscani Leoni che apre la prima sezione, su cui torneremo, è dedicato all’uso dei questionari come strumento di ammassamento e sistematizzazione di conoscenze nei contesti coloniali spagnolo e britannico e mostra la connessione genetica tra ricerca sul mondo naturale e processi di state ed empire building. L’invito a riflettere attentamente sulla stretta relazione che intercorre tra informazione e potere che conclude questo saggio (p. 44) informa perspicuamente lo sfondo problematico dell’intero volume.

Un altro elemento distintivo nell’approccio tematico e metodologico di Connecting Territories è la valorizzazione del punto di vista di istituzioni e studiosi il cui lavoro ha avuto sede in territori come quello svizzero, senza sbocco sul mare e senza colonie, legati però da una fitta rete di intrecci a luoghi invece parte di reti coloniali, secondo un sistema di connessioni che alla fine del diciottesimo secolo tendeva ormai ad essere globale nella sua estensione.

Il periodo preso in considerazione, gli ultimi decenni del diciottesimo secolo, permette di esplorare i legami tra campi diversi, in particolare storia naturale, etnologia e archeologia. Si tratta, come ben noto, di un momento in cui la sistematizzazione del mondo naturale stava subendo un cambiamento paradigmatico, nel quale – come questo volume mette bene in luce – le collezioni e la pratica del collezionismo giocarono un ruolo fondamentale.

Encomiabile è anche la programmaticità con cui molti dei contributi trascendono nelle loro ricerche e riflessioni i confini di singole discipline per mostrare gli addentellati tra l’esplorazione delle diverse "nature locali" da parte della storia naturale e la scoperta degli «abitanti locali e della loro storia» (etnografia e antiquaria) (come sottolinea l’introduzione a p. 3, traduzioni mie), combinando la storia della storia naturale, della medicina, dell’ambiente, dell'etnologia e dell'archeologia, e le loro interconnessioni. I contributi inclusi dialogano dunque, proficuamente, con una moltitudine di tradizioni storiografiche – dalla storia culturale e sociale della conoscenza, allo studio del viaggio e del resoconto di viaggio come strumenti euristici, alla storia della scienza con particolare riguardo all’alba e allo sviluppo di paradigmi e metodi empirici.

La considerazione delle molteplici reti, pratiche di ricerca e lieux de savoir coinvolti nella raccolta, scambio, misurazione e classificazione di informazioni naturalistiche restituisce l’affascinante ritratto di una pratica di ricerca tardo-moderna spiccatamente polifonica, multiforme, non lineare a cui contribuirono diverse «culture della storia naturale» (p. 5), sia colte che popolari. I tipi di fonti che permettono di studiare la creazione della conoscenza come un'impresa collettiva e la cultura collaborativa dei naturalisti nel lungo Settecento includono corrispondenze, elenchi di piante e opere botaniche. Rivelatrici sono anche le dinamiche di circolazione di libri, piante e semi da un continente all'altro. Questa geografia della conoscenza includeva centri cittadini che con le loro università e collegamenti ai porti atlantici fungevano da snodi centrali, ma anche piccoli centri e luoghi più isolati, ad esempio nelle regioni montane.

Diversi saggi nel volume mettono in luce come regioni considerate periferiche e apparentemente sterili come quelle alpine, emergessero, nel diciottesimo secolo, come luoghi di provenienza di elementi naturali e produzioni – aria, latte, piante – a cui erano attribuite speciali qualità terapeutiche, suggerendo una caratterizzazione di queste aree “selvagge” come una controparte intraeuropea dell'esotismo extraeuropeo.

La meditata introduzione firmata da Simona Boscani Leoni, Sarah Baumgartner e Meike Knittel mette in luce le domande centrali che hanno guidato gli studi raccolti nel volume, e propone una ricognizione storiografica che valorizza la recente vivacità di una storia della conoscenza scientifica approcciata come processo plurivoco, nella moltitudine dei livelli disciplinari, istituzionali e geografici coinvolti.

Il libro è successivamente organizzato in tre sezioni. La prima, dedicata ai Naturalists’ Methods, si concentra su imprese di mappatura dei territori, con particolare riguardo agli aspetti empirici della ricerca, agli attori coinvolti, agli elementi studiati, alla scelta dei territori fatti oggetto di indagine. I contributi in questa parte studiano i questionari per la raccolta di informazioni sulle persone, sulla storia naturale e sulle risorse nella costruzione degli imperi coloniali spagnolo e britannico (Boscani Leoni), il rapporto tra conoscenza e potere nell’esplorazione delle regioni "selvagge" dell'Europa alla luce di un manoscritto recentemente riscoperto del primo viaggio scientifico attraverso gli Appennini del geologo Antonio Vallisneri (1661-1730) (Francesco Luzzini); l’influenza che stampe ed esemplari hanno avuto sulla percezione della lontananza delle piante di diversi territori da parte dei naturalisti e come ciò abbia influenzato l'impegno e l’indagine degli studiosi (Meike Knittel).

Il quarto e ultimo saggio di questa sezione si sofferma su affascinanti aspetti della costruzione culturale dell’alterità, riflettendo sul topos del «reluctant Indian informer» (p. 101) (Stefanie Gänger). Quella del conoscitore nativo diffidente e restio a condividere la propria conoscenza è una categoria epistemica sopravvissuta dai primi resoconti di europei giunti sul continente americano fin nella stagione illuministica, che ha influito nelle relazioni tra scienza europea e creola, ed è stata plasmata anche da analogie con altri «inscrutable rustics» (p. 110), conoscitori "illetterati", "imperscrutabili", o il cui sapere era inteso come squisitamente “esperienziale” come i contadini e le donne in Europa. Un affascinante porosità e trasmigrazione di categorie interpretative e luoghi comuni caratterizzava, nel Settecento, i resoconti proto-etnografici prodotti da viaggiatori e naturalisti nel Nuovo e nel Vecchio Mondo.

La seconda sezione approfondisce Authorities’ and Societies’ Strategies. Il primo saggio studia la circolazione del sapere tra l'America spagnola e l'Europa e i suoi legami con la burocrazia e il commercio atlantico negli anni tra la fine del diciottesimo e l'inizio del diciannovesimo secolo (Irina Podgorny). Questo taglio geografico e cronologico rivela una continuità nelle pratiche di ricerca tra prima e dopo la Rivoluzione e l'Indipendenza dell'America spagnola, nonché l'importanza della circolazione dei prodotti provenienti da queste regioni e degli esperti che vi venivano inviati. Il saggio seguente argomenta come le prime indagini demografiche nel territorio regionale di Zurigo svolte dalla Società Fisica (Physikalische Gesellschaft) di Zurigo offrano un esempio dei metodi di un Illuminismo sempre più orientato alla comprensione di aspetti economici del territorio e al miglioramento di ambiti pratici come quello agricolo (Sarah Baumgartner). Sviluppa un tema contiguo nell’ambito di un Illuminismo economico il saggio successivo, mostrando come la Società Economica di Berna, attraverso le sue indagini sugli usi tradizionali delle zone umide, mescolando influenze di diverse scuole teoriche di pensiero statistico e combinando metodi innovativi abbia sviluppato una forma di antropologia sociale all'avanguardia (Martin Stuber).

L’ultima parte del libro, Defining Territories, si concentra sulla definizione e sulla percezione dei paesaggi montani e desertici visti da una prospettiva globale. Attraverso l’opera di Alexander von Humboldt tra 1808 e 1849 si può osservare ad esempio l'emergere di una percezione negativa del deserto sullo sfondo dei dibattiti illuministici sulla deforestazione e sulle regioni aride (Jon Mathieu). La costruzione culturale delle Alpi come luogo salubre per eccellenza (e il caso di studio delle cure a base di siero di latte) permette di riflettere sulla relazione tra conoscenze geografiche e teorie relative allo stile di vita, mettendo in luce la marginalizzazione di forme di conoscenza alternative e usi tradizionali del territorio (Barbara Orland). Infine, il caso della regione himalayana tra il 1784 – anno di fondazione della Asiatick Society – e il 1850, mostra l’influenza di una prospettiva coloniale nell’operato di una società scientifica interessata a territori extraeuropei (Chetan Singh).

Una nota meritano infine alcuni aspetti editoriali, elementi che oggi non meno di ieri hanno il potere di influenzare anche profondamente la circolazione e la ricezione di un lavoro scientifico. Un apparato iconografico arricchisce apprezzabilmente alcuni dei saggi. Per fare solo un esempio, la riproduzione a colori di alcune splendide tavole delle Tabulae phytographicae del botanico zurighese Johannes Gessner, nel saggio di Knittel (terzo della prima sezione) consente di avvicinarsi alle esperienze bibliografiche ed editoriali discusse nel capitolo. Si nota inoltre la messa a disposizione della versione elettronica integrale del volume in accesso aperto (https://doi.org/10.1163/9789004412477) e con attenzione all’interoperabilità dei formati (testi anche in .html oltre che in .pdf, immagini anche in .jpeg e .ppt).

In conclusione, sia nei casi di studio che nelle proposte generali di metodo, questo volume rappresenta un contributo prezioso a una storia sociale della conoscenza scientifica.

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