VI, 2023/2

Heinrich August Winkler

Wie wir wurden, was wir sind

Review by: Fernando D'Aniello

Authors: Heinrich August Winkler
Title: Wie wir wurden, was wir sind. Eine kurze Geschichte der Deutschen
Place: München
Publisher: C.H. Beck
Year: 2022
ISBN: 9783406793400
URL: link to the title

Reviewer Fernando D'Aniello

Citation
F. D'Aniello, review of Heinrich August Winkler, Wie wir wurden, was wir sind. Eine kurze Geschichte der Deutschen, München, C.H. Beck, 2022, in: ARO, VI, 2023, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2023/2/wie-wir-wurden-was-wir-sind-fernando-daniello/

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È un peccato che il libro di Heinrich August Winkler non abbia (ancora) trovato un editore disposto a tradurlo per i lettori italiani, colmando così una mancanza davvero enorme e che si è andata ingrandendo negli ultimi anni. Testi sulla storia della Germania – se si escludono i classici, ormai difficili da trovare persino nelle biblioteche – scarseggiano e questo di Winkler si caratterizza per la sintesi e la capacità di illuminare i momenti più emblematici della storia tedesca che hanno ancora un impatto sul presente e sul futuro. Il lettore italiano, ormai di casa con le critiche alla Germania, troverà questo libro più che interessante proprio per le tante – a parere di chi scrive persino troppe – accuse che Winkler rivolge ai suoi connazionali e in particolare, alla politica tedesca, ancor più nel dettaglio a quella socialdemocratica.

I due fuochi attorno ai quali si svolge l’ellisse di Winkler sono da un lato l’Occidente, der Westen, e dall’altro la dialettica Einheit-Freiheit, unità e libertà. Il primo non richiede particolari spiegazioni, è il tema al quale Winkler ha dedicato una ricerca monumentale. Qui interessa ricordare come la storia tedesca nasca, secondo Winkler, segnata da tre aspetti, che in parte ne sottolineano una certa ambivalenza nel rapporto con il resto dell’Occidente. Vale a dire il Reich, come costruzione istituzionale a sé, diversa dagli Stati nazionali e con una pretesa universalistica; la divisione religiosa della riforma e, infine, la competizione, che in parte deriva anche dalla frattura religiosa, tra Austria e Prussia. È a partire da queste particolarità che, secondo Winkler, si può leggere il Sonderweg tedesco. Sul quale decisivo è l’esito della Guerra dei trent’anni (1618-1648) anche nel produrre le colonne portanti del nascente assolutismo, con la vittoria di poteri locali, in particolare nobiltà, militari e funzionari dello Stato, e la limitazione dell’ascesa di un ceto borghese sul modello di quanto avveniva in altri paesi: qualcosa che avrà conseguenze fino al Novecento.

In secondo luogo, unità e libertà. Qui siamo davvero a un momento decisivo della storia tedesca: al problema del particolarismo e del multi-nazionalismo verrà individuata sempre una soluzione giuridica, vale a dire tramite diversi modelli istituzionali, a volte flessibili e volte meno. Tra unità e libertà si gioca la battaglia politica (inizialmente persa) tanto dei liberali che del nascente movimento dei lavoratori e della socialdemocrazia.

Quasi sempre la codificazione istituzionale dell’unità avviene a spese della libertà: il 1848 è l’esempio principale della disarticolazione tra i due poli. E bisognerà arrivare al 1989-90, alla Riunificazione tedesca, per osservare un processo che, secondo Winkler, riesce a coniugare unità e libertà, facendo della rivoluzione nella Germania Est un evento autenticamente pantedesco, con la consapevolezza che l’unità ripristinata è figlia della Seconda guerra mondiale, vale a dire privata di territori storicamente tedeschi e divenuti dopo il 1945 parte di altri Stati: la Storia non fa mai sconti.

Non è ovviamente il caso di soffermarsi sui singoli momenti analizzati da Winkler, sui quali, ovviamente, potrebbero essere mosse dai lettori domande o obiezioni. Mi limito a segnalare soprattutto le valutazioni dedicate alla Repubblica di Weimar, compromessa, secondo Winkler, che ci restituisce però un’immagine dell’esperimento weimariano libero dal pesante fardello del suo esito, senza trascurarne le contraddizioni interne e gli errori politici delle sinistre. E anche condivisibili giudizi sull’ascesa del nazionalsocialismo, sulla abilità di Hitler nel cogliere le possibilità offerte dal richiamo dell’idea del Reich come pure quelle su una certa disponibilità delle élite politiche, economiche, militari e culturali (si pensi a Schmitt e al suo saggio Der Führer schützt das Recht) a favorirne l’ascesa, che, ripete Winkler, non era affatto scontata, visto che il partito sembrava entrato in crisi, testimoniata anche dalla perdita di consensi (oltre due milioni di voti) alle elezioni del novembre 1932.

Va anche segnalata l’assenza, a mio avviso considerevole, di riflessioni sulla Repubblica democratica: in questo modo la storia dei “tedeschi” resta priva dell’esperienza, durata comunque quarant’anni, dei tedeschi dell’Est, per quanto filtrata dalla prospettiva di uno storico dell’Ovest. Credo sarebbero state utilissime, anche per un contributo allo studio futuro di quegli anni che in Germania è ancora tanto da chiarire. Anche perché è di certo condivisibile il monito di Winkler: chi vuole capire perché la Germania tre decenni dopo la sua Riunificazione sia ancora un Paese, sotto molti aspetti, diviso, non può limitarsi agli anni dopo la Riunificazione ma deve dedicarsi ai decenni di uno sviluppo estremamente differente nella Germania divisa e a un passato pantedesco ancora più antico, che produce effetti sino a oggi. Un necessario equilibrio, dunque, tra gli effetti del passato recente della divisione e delle due diverse socializzazioni dei tedeschi dell’Est e dell’Ovest e la complessa e profonda storia pantedesca, con quest’ultima che offre indubbiamente spunti anche per il futuro.

È interessante il tentativo di Winkler di legare, in particolare, l’eccezionalità tedesca, il suo Sonderweg nell’avvicinarsi all’Occidente e persino l’eredità dell’Historikerstreit degli anni Ottanta con le responsabilità che la Repubblica federale è chiamata ad assumere in Europa e nel mondo di oggi.

In particolare, Winkler rimprovera i tedeschi di pretendere di fare della loro storia nazionale recente un modello valido per il resto del continente. Prendiamo la questione nazionale: in particolar modo il pensiero progressista ritiene superata o in via di superamento la nazione come protagonista della Storia. La democrazia sarebbe ormai compiutamente post-nazionale. Questa è anche la ragione per cui gran parte del mondo progressista tedesco – pensiamo solo ai casi di Jürgen Habermas e Günter Grass – si mostrò particolarmente cauta con la Riunificazione: si temeva una rinascita della questione nazionale in terra tedesca. Rischio peraltro considerato anche dai partner europei, quindi tutt’altro che astratto.

Winkler segnala una difficoltà autentica: se è vero che la Germania può considerarsi una democrazia post-nazionale, questo non vale anche per tutti gli altri Stati. Ad esempio, tutto l’Est Europa che, dopo la fine della Guerra fredda, riscopre un nazionalismo che non è necessariamente sinonimo di fascismo o di autoritarismo. Una simile pretesa potrebbe essere l’inizio di un nuovo Sonderweg. Il problema, allora, è proprio costruire un’Europa dove, chiusa finalmente e felicemente la questione tedesca, si possa trovare un equilibrio tra impostazioni diverse sull’idea di nazione. Questo impone un certo scetticismo sull’Europa come federazione e una maggiore attenzione alle particolarità dei vari Stati nazionali: la proposta di Winkler ai suoi connazionali è sintetizzata nella formula «realismo politico» nel solco della tradizione normativa occidentale.

A questo proposito interessanti sono anche le valutazioni di Winkler sul ruolo del Tribunale costituzionale federale di Karlsruhe, sul quale il giurista Dieter Grimm ha da pochissimo pubblicato un libro che ne illustra il ruolo nella storia della Repubblica federale sin dalle origini. Su questi aspetti credo che il giudizio di Winkler sia per certi aspetti anche troppo critico: sono convinto, infatti che, il costituzionalismo tedesco, in virtù della storia multinazionale prima e federale poi, offra un più ampio set di strumenti per istituzionalizzare la pluralità dell’Unione europea che Winkler vuole salvaguardare e alla quale dedica profonde e utilissime considerazioni nella parte finale del libro.

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