VI, 2023/1

Francesco Benigno

Rivoluzioni

Review by: Paolo Carta

Authors: Francesco Benigno
Title: Rivoluzioni. Tra storia e storiografia
Place: Roma
Publisher: Officina Libraria
Year: 2021
ISBN: 9788833670935
URL: link to the title

Reviewer Paolo Carta - Università di Trento

Citation
P. Carta, review of Francesco Benigno, Rivoluzioni. Tra storia e storiografia, Roma, Officina Libraria, 2021, in: ARO, VI, 2023, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2023/1/rivoluzioni-paolo-carta/

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La collana «Storie» dell’editore Officina Libraria ci ha regalato in questi ultimi anni alcuni preziosi volumi, diventati un appuntamento irrinunciabile per lo storico interessato a nuove prospettive critiche e ripensamenti di consolidate tradizioni. Rivoluzioni di Francesco Benigno è forse il libro che meglio rivela questa finalità. Concepito come silloge di studi, in parte editi, ma integralmente rivisitati, il volume si presenta in realtà come una assoluta novità. La lunga serie di presentazioni e discussioni pubbliche seguite alla sua pubblicazione ha confermato questa impressione, incoraggiata peraltro dall’incisiva introduzione dell’autore. I cinque capitoli che lo compongono (Sul concetto di rivoluzione; Rivoluzioni prima della Rivoluzione; La rivoluzione francese oggi; Patria e libertà; Il tramonto del sol dell’avvenire) sono, per evocare una felice espressione arendtiana, un tentativo di recuperare e ravvivare il «tesoro perduto» della rivoluzione e insieme ad esso anche quello della tradizione storiografica sulla rivoluzione o, meglio, sulle rivoluzioni. Un tesoro, va detto subito, che riporta al centro della questione essenzialmente l’elemento politico, intendendo per «politica», scrive Benigno, «quella modalità specifica di regolazione della vita collettiva operata da individui e gruppi in difesa dei propri valori e del proprio potere secondo le forme ammesse dai regimi esistenti» (p. 14). In tal modo l’autore ricompone la frattura che ha portato al progressivo appannarsi nella storiografia dell’uso del concetto politico di «rivoluzione», il quale aveva consentito per lungo tempo di tenere insieme conflitto e progresso. Sia pure con la consapevolezza di un processo che nel corso degli anni ha portato la rivoluzione a diventare nient’altro che l’espressione di un entusiasmo tutto ideologico, contrapposto a un’idea della politica caratterizzata interamente da una somma di interessi, Benigno tenta di reintegrare le rivoluzioni nel quadro più ampio dei conflitti politici. E in questo senso il volume si ricollega idealmente al suo classico studio del 1999, Specchi della rivoluzione. Conflitto e identità politica nell’Europa moderna, che pure concedeva ampio spazio all' analisi del dibattito storiografico. Ma è anche, ci piace pensare, una tappa intermedia che potrà condurre a una nuova storia ‘politica’ delle rivoluzioni o anche solo della rivoluzione per eccellenza, quella francese. A ciò sembra preludere, ad esempio, il terzo capitolo, che propone una lunga e dettagliata analisi delle tendenze storiografiche più diffuse, con cui è stato di recente indagato il fenomeno rivoluzionario. Il capitolo è, se si vuole, un vero e proprio modello di «literature review» ad uso del giovane storico, interessato ad affinare il proprio personale armamentario tecnico, oltre che teorico. Sono presi in esame i noti studi di Tackett, di Israel e di Burstin, che offrono l’occasione per fare il punto sulla storia delle emozioni e su quello che viene definito un approccio antropologico allo studio della rivoluzione. Delle tre linee interpretative si sottolinea la comune tendenza a evitare di considerare «la struttura della politica rivoluzionaria» (nel quarto capitolo tutto ciò si trasferisce nella analisi critica della «svolta culturalista» che ha animato gli studi recenti sul Risorgimento). Viene da chiedersi con Benigno, se «completate queste letture», non sia anche il caso di fare i conti con il fatto che l’esperienza rivoluzionaria è stata, tra l’altro, «anche la creazione di nuovi e problematici (proprio perché mai prima sperimentati) equilibri politici di democrazia rappresentativa» (p.128). A titolo d’esempio egli presenta efficacemente, in chiusura di capitolo, l’esperienza dell’appello al popolo, con la sua storia controversa e le sue inevitabili conseguenze, quasi a testare l’eccessiva semplificazione proposta dalle ricostruzioni storiche appena evocate. Benigno fondamentalmente ci ricorda che ogni fenomeno politico, richiede, in qualche modo, che ci si sporchi le mani con l’inafferrabile e complesso mondo delle relazioni tra uomini, così come con i complessi rapporti di potere, persino quelli che appaiono più estremi e violenti. Il volume presenta un’ampia casistica e non esita a entrare nel merito dei diversi contesti rivoluzionari, partendo proprio dall’emersione nella sfera pubblica della «inaspettata, affascinante e insieme orribile» radicalità realizzatasi per la prima volta con la rivolta napoletana del 1647-1648. La radicalità è qui intesa come il «carattere straordinario di un processo di esclusione politica che priva un corpo sociale di una porzione rilevante della sua classe dirigente», interrompendo i vecchi rapporti gerarchici di una intera società e ricostruendone dei nuovi (p. 82). Questi elementi sono presentati in un serrato confronto con il dibattito storiografico, che prende le distanze da quei filoni particolarmente fortunati che hanno ridotto l’indagine sulle rivoluzioni unicamente a una dimensione spaziale o discorsiva. Il vero bersaglio è però soprattutto la storia delle emozioni, che pur considerata nei suoi tratti innovativi, viene messa integralmente in discussione alla luce di una prospettiva da un lato, per così dire, filologica e dall’altro tutta politica. È infatti impensabile che una seria ricostruzione storica accetti il ricorso alle emozioni come «dato naturale e tendenzialmente astorico», cioè prescindendo dalle idee che gli attori storici avevano delle emozioni, ci ricorda Benigno: «nell’Europa del Seicento, quelle che noi chiamiamo emozioni erano denominate ‘passioni’, oggetto di imponenti tentativi di teorizzazione di cui è non solo anacronistico ma anche fuorviante non tenere conto» (p. 11). Le passioni erano infatti un tema vitale nella teoria e pratica politica dell’epoca. Ancor più incisivo è il passaggio in cui l’autore sottolinea come già nel Settecento (ma la data è posta a solo titolo d’esempio, per retrodatare ciò che comunemente associamo al pieno Novecento) le battaglie politiche si realizzavano mediante il controllo e, in un certo senso, anche la manipolazione dell’opinione pubblica. L’obiettivo delle forze politiche in campo, non era dunque semplicemente la persuasione, ma il coinvolgimento emotivo, lo stimolo di sensi di appartenenza e l’aspirazione a far emergere paure e a generare odio o amore. Si tende, infatti, troppo spesso a dimenticare che in «politica le emozioni si hanno, ma altrettanto si danno» (p. 95). Questi aspetti sono indagati nei loro risvolti novecenteschi nel capitolo conclusivo del volume, in cui Benigno riprende Furet e la sua ammissione per cui se nel XIX secolo la storia ha preso il posto di Dio «nell’onnipotenza sui destini dell’umanità è però solo nel XX secolo che appaiono le follie politiche nate da questa sostituzione» (p. 177). La rapida analisi si snoda attraverso quella sotterranea storia della libertà, proposta da Riot-Sarcey, nella quale Benigno include anche la tradizione anarchica, per giungere fino alla personale lettura della «malinconia di sinistra» proposta da Enzo Traverso. Questa dimensione emotiva è sottoposta al vaglio del rigore dello storico, che individua l’indeterminatezza di un campo di indagini nel quale si è progressivamente spostata l’attenzione dagli elementi strutturali a quelli emotivi, con una relativa perdita di vista della complessità dei fenomeni studiati (p. 211). Il volume si chiude così con una riflessione sul rapporto tra verità e storici e sul ruolo critico degli intellettuali, che sarà bene lasciare al lettore.

Rivoluzioni di Francesco Benigno spalanca nuovi cantieri di ricerca e non si propone, in alcun modo, di far compiere un salto all’indietro alla storiografia contemporanea. Senza alcuna nostalgia o malinconia, invita lo storico a riappropriarsi della sua scomoda posizione nella comprensione della dimensione politica. E ciò passa necessariamente anche dalla volontà di sottoporre a vaglio critico quelle tendenze storiografiche (di cui il volume non esita peraltro ad acquisire i risultati più originali e innovativi) che hanno scelto consapevolmente di espungere dal proprio ambito d’indagine proprio il dato politico.

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