VI, 2023/1

Enrico Francia

Oggetti risorgimentali

Review by: Laura Di Fiore

Authors: Enrico Francia
Title: Oggetti risorgimentali. Una storia materiale della politica nel primo Ottocento
Place: Roma
Publisher: Carocci
Year: 2021
ISBN: 9788829010684
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Reviewer Laura Di Fiore - Università di Napoli Federico II

Citation
L. Di Fiore, review of Enrico Francia, Oggetti risorgimentali. Una storia materiale della politica nel primo Ottocento, Roma, Carocci, 2021, in: ARO, VI, 2023, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2023/1/oggetti-risorgimentali-laura-di-fiore/

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Il volume di Enrico Francia dedicato agli «oggetti risorgimentali» rappresenta un prezioso contributo al rinnovamento degli studi sul Risorgimento. Inserendosi nell’ampio e variegato filone di ricerca che ha valorizzato la dimensione culturale della vicenda risorgimentale, evidenziandone in particolare l’universo discorsivo e narrativo ma anche la mediatizzazione della politica, l’autore schiude una prospettiva originale sull’Italia ottocentesca, concentrandosi sulla cultura materiale e sul ruolo giocato dagli oggetti politici. La storia di questi ultimi prende avvio nell’età delle rivoluzioni – al centro di un recente volume curato dall’autore insieme a Carlotta Sorba, Political Objects in the Age of Revolutions. Material Culture, National Identities, Political Practices (Viella 2021) –, che inaugura nuove forme di comunicazione e partecipazione politica, in cui gli oggetti giocano un ruolo di primo piano. Cappelli, tabacchiere, cammei raffiguranti Napoleone, ventagli, fazzoletti con le immagini di Pio IX, busti di Garibaldi – esibiti nello spazio pubblico o custoditi in quello domestico – restituiscono la materialità di un modo di vivere la politica molto più partecipato rispetto al passato, grazie anche a decisive innovazioni tecnologiche e produttive che consentirono una più ampia disponibilità e diffusione di oggetti accessibili a larghi settori della società.

Di questi oggetti Francia intende offrire un’analisi che li consideri «sia nella loro dimensione rappresentativa sia in quella performativa» (p. 11). Essi sono indagati quindi, in primo luogo, come strumenti di comunicazione politica, dispiegati in quel circuito mediatico teso a far leva sulla dimensione simbolica nonché emotiva dell’adesione politica. Si tratta di un aspetto indagato, in particolare, in relazione agli oggetti legati alla figura di una delle indiscusse celebrità ottocentesche, ovvero Napoleone Bonaparte. L’autore costruisce infatti il volume intrecciando gli assi tematici con tre momenti peculiari della prima metà dell’Ottocento, sebbene approcci metodologici e nodi tematici attraversino in maniera trasversale e coerente l’intero volume. Il primo di questi momenti viene individuato nell’età napoleonica, con proiezioni però fino agli anni Quaranta dell’Ottocento, visto che immagini, stampe e busti dell’imperatore continuarono a circolare in Europa per decenni, sebbene con significati diversi. Si tratta di una storia cominciata per iniziativa di Napoleone stesso che, dalla Campagna d’Italia al memoriale di Sant’Elena, costruì il proprio mito attraverso un’articolata azione di promozione di sé stesso che si nutriva – al tempo stesso alimentandoli – di due processi interconnessi avviati nella seconda metà del Settecento e destinati a caratterizzare la prima metà del secolo successivo: per un verso l’emergere della «cultura della celebrità», per un altro verso la rivoluzione mediatica, che consentì la diffusione di immagini delle icone politiche attraverso stampe, disegni, miniature e contribuì alla mediatizzazione della leadership politica. Quest’ultima si avvalse anche di un’accelerazione nel campo dei consumi, che vide un significativo ampliamento del mercato non soltanto di lettori ma anche di consumatori di oggetti personali, destinati al piacere di ornare la propria persona o la propria casa. La circolazione di oggetti napoleonici sopravvisse ampiamente all’imperatore visto che, se all’avvio della restaurazione busti, medaglie e stoviglie continuarono ad abitare moltissime case della penisola – spesso come scia inerziale di circuiti commerciali precedentemente attivati – , all’avvio degli anni Venti si assistette all’immissione sul mercato di nuovi prodotti che ebbero un significato più strettamente politico, in quanto il loro uso veicolava forme di nostalgia per l’epoca napoleonica e di contestazione per l’ordine della restaurazione, soprattutto nei circuiti cospirativi. Proprio questo nesso con gli ideali rivoluzionari sottopose gli oggetti ispirati all’immagine di Napoleone a una più decisa repressione poliziesca, che non mancò tuttavia di tenere in considerazione le implicazioni economiche dei sequestri per produttori e venditori che, se talvolta ebbero un coinvolgimento ideale, nella maggior parte dei casi perseguivano finalità di tipo puramente economico. L’importanza di fattori extra-politici, quali la moda e il successo commerciale, emerse in particolare a partire dagli anni Trenta, che conobbero l’esplosione della circolazione di fazzoletti con l’immagine di Napoleone. Se questo da tenere in tasca era «un Napoleone per tutti» (p. 43), divenne però anche ben presto un Napoleone banalizzato e perciò depoliticizzato, senz’altro meno pericoloso agli occhi dell’autorità.

La circolazione degli oggetti napoleonici degli anni Venti testimonia comunque una funzione performativa degli oggetti, dal momento che l’uso che ne veniva fatto definiva e veicolava forme di appartenenza politica. È il 1848 il momento scelto dall’autore per approfondire questa dimensione performativa. Se infatti l’exploit degli oggetti politici quarantotteschi si collocava nel solco dei processi precedentemente avviati, il Quarantotto aprì «un nuovo capitolo di quello stretto intreccio tra spettacolarizzazione e personalizzazione della politica, opinione pubblica e media, materialità e consumi, che caratterizza l’età delle rivoluzioni» (p. 58). In particolare, esso segnò il trionfo degli oggetti nello spazio pubblico, esibiti in segno di sfida e poi ostentati come espressione di appartenenza politica, nel contesto di un’inedita politicizzazione e partecipazione di massa esemplificata dall’immagine del popolo in piazza. È proprio nel quadro della street politics quarantottesca che gli oggetti divennero agenti attivi nella definizione di identità politiche e per questo, se i busti – questa volta di Pio IX o di altri sovrani riformatori come Leopoldo II e Carlo Alberto – mantennero una presenza rilevante, la maggioranza degli oggetti politici dell’epoca furono indossabili e portabili. Dai fazzoletti sventolati come bandiere alle medaglie, questi oggetti erano destinati ad ampie fasce di mercato, comprese quelle popolari. Un oggetto su cui l’autore si sofferma in modo particolare è il cappello, spia di un processo di politicizzazione dell’abbigliamento che caratterizzò anche l’Italia preunitaria. «Alla Ernani», in omaggio all’opera verdiana, o «alla calabrese», il cappello acquistò un potente significato politico e sovversivo. Caratteristico della figura del brigante così come si era sedimentata nell’immaginario culturale a partire dal Settecento, esso si era saldato all’idea di radicalismo politico a seguito del passaggio della figura brigantesca nel campo patriottico, ascrivibile agli anni Trenta. Altro tratto dell’immagine del bandito destinato a caratterizzare l’aspetto esteriore dei rivoluzionari era la barba, distintiva al tempo stesso dell’uomo romantico e soggetta a un processo di politicizzazione già nella Francia degli anni Trenta. Il barbuto Garibaldi avrebbe rappresentato una sintesi perfetta dell’incrocio di queste due tradizioni iconografiche.

Non sorprende dunque che all’indomani del Quarantotto proprio cappelli e barbe si sarebbero trasformati in elementi sovversivi, diventando oggetto di repressione. Estremamente esemplificativo, in questo senso, è il racconto della «guerra ai cappelli e alle barbe» (p. 131) che si dispiegò in particolare nel Regno delle Due Sicilie. Qui copricapi di un certo tipo e barbe divennero tratti identificativi per individuare e schedare i sovversivi, ma anche oggetto di politiche volte a vietare l’esibizione in pubblico di elementi con un potenziale politico eversivo – anche senza arrivare alle rasature coatte legate a sporadiche iniziative repressive di alcune autorità provinciali. La tematizzazione attraverso la satira di questa singolare battaglia schiude un interessante scenario di circolazione di notizie oltre i confini del regno e di intreccio con le vicende diplomatiche internazionali destinate ad avere un impatto notevole sul potere borbonico.

Il libro di Enrico Francia mostra le potenzialità interpretative di una prospettiva ancora poco esplorata in dimensione ottocentesca, nella quale gli oggetti diventano un prisma attraverso il quale guardare, in maniera innovativa, ai processi di politicizzazione e al loro intreccio con altre dimensioni della politica contemporanea. È quanto l’autore riesce a fare in maniera convincente per il Risorgimento italiano, che emerge anche in una forma vissuta e partecipata per molti versi originale. Un Risorgimento indossato, tenuto in tasca, venduto e comprato, sventolato sulla pubblica piazza, custodito gelosamente in casa.

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