VI, 2023/1

Enzo Ciconte

Classi pericolose

Review by: Matteo Banzola

Authors: Enzo Ciconte
Title: Classi pericolose. Una storia sociale della povertà dall'età moderna a oggi
Place: Roma - Bari
Publisher: Laterza
Year: 2022
ISBN: 9788858148310
URL: link to the title

Reviewer Matteo Banzola - Istituto storico della resistenza e dell'età contemporanea di Ravenna e Provincia

Citation
M. Banzola, review of Enzo Ciconte, Classi pericolose. Una storia sociale della povertà dall'età moderna a oggi, Roma - Bari, Laterza, 2022, in: ARO, VI, 2023, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2023/1/classi-pericolose-matteo-banzola/

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La storia della povertà può essere compresa solo con uno studio sul lungo periodo perché l’opinione che la società ha dei poveri muta. Nei secoli XVI-XVII, con la Riforma protestante e la formazione della borghesia, l’immagine del povero della società medievale come elemento stabilizzante e necessario della società si modifica nella colpevolezza del povero: dall’immagine medievale del povero che rimanda in qualche modo alla povertà di Cristo si passa a quella negativa del povero che vive come un parassita sulle spalle della società. E non a caso dapprima si cerca di distinguere tra veri e falsi mendicanti per poi discutere – avviando un dibattito secolare – su chi sia «meritevole» o meno di aiuto e di sostegno.

Problema irrisolto perché la povertà ha molte facce e gradazioni: vi sono poveri permanenti e poveri congiunturali (soggetti cioè che necessitano di aiuto in determinati momenti – carestie, epidemie, infortuni – ma che altrimenti sono in grado di vivere autonomamente); vi sono lavoratori precari e lavoratori poveri. La difficoltà di «incasellare» la povertà, di definirla emerge anche dalle figure di marginali che a vario titolo appartengono al mondo della povertà: lavoratori stagionali, braccianti, saltimbanchi, giocolieri, pizzicagnoli... sono soggetti che pur esercitando un mestiere vengono visti con diffidenza perché alterano i delicati equilibri socio-economici soprattutto delle città.  

Individuare categorie di persone povere ma che lavorando potrebbero non esserlo, e quindi povere per scelta, apre la strada a una marea di pubblicazioni sull’ozio e sulla conseguente immoralità di chi vive di espedienti, con il gioco o prostituendosi: essere poveri diventa qualcosa di immorale e perciò va sanzionato. Ciconte fa largo affidamento sulla legislazione (bandi, espulsioni, divieti ecc.)  e mostra chiaramente la sua evoluzione sempre più repressiva.

La legislazione contro i poveri si inasprisce man mano che la posizione economica e sociale della borghesia si afferma. La rivoluzione industriale segna il passaggio del povero vizioso e immorale al povero pericoloso: il proletariato si organizza in associazioni, sindacati e poi partiti e diventa una «classe pericolosa» per i ceti dirigenti al vertice della scala sociale. È un fenomeno ben visibile anche nel caso di un paese come l’Italia che è arrivato tardi all’appuntamento con l’industrializzazione.

Si prenda ad esempio quanto affermava un deputato toscano alla Camera nel 1871:

«… perché, diciamo la verità, se vi sono persone che si trovano in questa condizione [cioè ad essere 'oziosi e vagabondi'] forse la colpa è più della società che di esse, e perché noi nulla facciamo per riabilitarle, anzi col trascurare l’istruzione, coll’aggravare così enormemente di tasse le popolazioni, coll’accatastare nelle prigioni migliaia e migliaia di cittadini accusate di colpe leggerissime, non facciamo che creare i delitti…» (pp. 189-190).

Dichiarazione sorprendente per la franchezza con la quale il deputato mette a nudo le responsabilità della classe dirigente di fronte al variegato e multiforme problema della «questione sociale». Questa sorta di immobilismo delle classi dirigenti aiuta a comprendere alcuni fenomeni tipici del nostro paese: ad esempio, l’incredibile durata della parabola della pellagra (malattia dovuta alla malnutrizione, medicalizzata nei manicomi ma non sconfitta dalla medicina); il fenomeno abnorme dell’emigrazione (non risolto nemmeno nel corso della Prima Repubblica, puntualizza l’autore) la quale, fungendo da sfiatatoio, ha consentito di mantenere pressoché inalterati gli equilibri economici e sociali.

Nello scorrere le pagine dedicate all’Italia post-unitaria emerge chiaramente come la classe dirigente non solo poco o nulla fece per ridurre la distanza tra governanti e governati, ma si trincerò su una difesa arcigna della posizione e dei privilegi acquisiti nei decenni precedenti. Dai moti del 1848, quando la borghesia si ritrasse spaventata dal soccorso offerto dalle campagne e dai contadini ai moti, alla tassa sul macinato, dall’Inchiesta Agraria Jacini alla quale non fu affiancata quella patrocinata da Bertani che avrebbe mostrato le tragiche condizioni di vita dei contadini (p. 201), alla repressione feroce delle rivendicazioni contadine nella valle padana de «la boje», con gli agrari già organizzati in senso pre-squadrista ben prima della nascita del fascismo, si assiste al progressivo ampliamento della platea dei soggetti pericolosi fino a comprendere anarchici e socialisti: dalla condanna morale si passò alla criminalizzazione e perfino alla medicalizzazione dei poveri.

Lo sfruttamento selvaggio di donne e fanciulli, tanto al Sud quanto al Nord Italia, sottoposti a condizioni di lavoro disumane (con il triste corollario di malattie, abbandono dei figli, mortalità infantile elevatissima ecc.); il ritardo nell’adottare (timide) misure di protezione sociale svela l’ottusità dei gruppi dirigenti che di fatto hanno considerato i ceti subalterni non come cittadini ma come sudditi. Un aspetto quest’ultimo che i governi dell’Italia repubblicana hanno affrontato solo parzialmente. Non è un caso che negli ultimi trent’anni, caso unico tra i paesi più avanzati in Europa, in Italia i salari siano diminuiti e il divario tra ricchi e poveri sia aumentato enormemente.

Classi pericolose di Enzo Ciconte non è solo un ottimo libro sulla storia della povertà (il lavoro si basa su una bibliografia abbondantissima e aggiornata) ma anche un monito per il presente, ora che il problema della povertà si è ripresentato drammaticamente.

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