V, 2022/3

Nicholas Mulder

The Economic Weapon

Review by: Cristiano La Lumia

Authors: Nicholas Mulder
Title: The Economic Weapon. The Rise of Sanctions as a Tool of Modern War
Place: New Haven, Connecticut
Publisher: Yale University Press
Year: 2022
ISBN: 9780300259360
URL: link to the title

Reviewer Cristiano La Lumia - Scuola Superiore Meridionale, Napoli

Citation
C. La Lumia, review of Nicholas Mulder, The Economic Weapon. The Rise of Sanctions as a Tool of Modern War, New Haven, Connecticut, Yale University Press, 2022, in: ARO, V, 2022, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2022/3/the-economic-weapon-the-rise-of-sanctions-as-a-tool-of-modern-war-cristiano-la-lumia/

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Il saggio di Nicholas Mulder arricchisce la ricerca sulla storia del periodo tra le due guerre, ricostruendo la genesi delle sanzioni economiche e il loro sviluppo nel corso dei decenni successivi fino alla Seconda guerra mondiale. L’obiettivo è spiegare le origini della loro fortuna e l’impatto che ebbero tra anni Venti e Quaranta sul piano politico, diplomatico ed economico. L’indagine si concentra sull’aspetto più problematico, e al contempo decisivo, delle sanzioni, ossia il complesso rapporto tra le conseguenze e la loro efficacia.

Uno degli aspetti salienti del saggio è la novità dell’oggetto preso in esame. In linea con i recenti lavori che hanno posto l’attenzione sulla guerra economica durante il primo conflitto mondiale e i suoi effetti nel dopoguerra[1], Mulder analizza la storia dell’uso delle sanzioni economiche spingendosi oltre il frangente del 1918-1919 (già analizzato da Philip Dehne)[2] con l’intento di fare luce sull’importanza che le sanzioni hanno avuto nel plasmare le relazioni internazionali tra le due guerre e forgiare strumenti di governo della globalizzazione economica.

L’opera si divide in tre parti, secondo un ordine cronologico. Nella prima, Mulder ripercorre come la guerra economica condotta dalle potenze dell’Intesa contro gli Imperi centrali abbia costituito l’origine della fortuna delle sanzioni, poi codificate nel Covenant della Società delle Nazioni nel 1919. Nella seconda, l’autore mette in luce come le sanzioni siano state impiegate, con successo, dalla Società delle Nazioni insieme a Gran Bretagna e Francia per prevenire conflitti locali tra potenze medio-piccole (come quelli tra Jugoslavia e Albania nel 1921 o Grecia e Bulgaria nel 1925). Infine, nell’ultima parte, Mulder ricostruisce quali risultati la minaccia delle sanzioni e la loro attuazione negli anni Trenta (come contro l’Italia fascista nel 1935-1936) abbiano provocato. Queste ultime, infatti, ebbero effetti opposti a quelli desiderati, favorendo la radicalizzazione delle politiche autarchiche di Germania, Italia e Giappone e aggravando la spirale di insicurezza che precedette lo scoppio del conflitto mondiale. Tuttavia, Mulder dimostra che la guerra economica contro le potenze dell’Asse ha costituito uno dei cardini del nuovo ordine postbellico. Dal 1939 in avanti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Stati Uniti, che fino ad allora erano stati scettici sull’uso delle sanzioni, unirono i loro sforzi nella guerra contro l’Asse, facendo valere la forza delle proprie economie. Inoltre, le sanzioni non si limitarono a ostacolare l’afflusso di risorse e merci, ma si tradussero anche in piani di cooperazione massiccia a livello militare ed economico. Questo sforzo formidabile spinse gli Alleati a includere le sanzioni nell’architettura del nuovo ordine postbellico (come dimostra la loro presenza nella Carta dell’Onu), sancendone il trionfo definitivo.

Quando le sanzioni vennero codificate alla fine della Prima guerra mondiale, l’intento dei loro maggiori sostenitori era di dotare la Società delle Nazioni di un efficace strumento di deterrenza da attuare in tempo di pace. Escludere un paese aggressore dal consesso internazionale, isolandolo sul piano commerciale e finanziario, era «something more tremendous than war» (p. 1), come disse il presidente americano Wilson. Si trattava di una soluzione ingegnosa per le forze liberali e democratiche. Le sanzioni, e soprattutto la minaccia della loro attuazione, sarebbero servite come uno strumento non violento per regolare i rapporti internazionali ed evitare nuovi conflitti. Proprio l’esempio del blocco economico imposto agli Imperi centrali nel 1914-1918, quando nella sola Germania vi furono circa 400 mila vittime per gli effetti della carestia, doveva costituire la lezione per gli stati che avessero destabilizzato l’ordine di Versailles. Eppure, come ben illustra Mulder, su questo punto si consumò uno dei fraintendimenti più clamorosi e, al contempo, gravidi di conseguenze da parte dell’internazionalismo liberale. I vincitori scambiarono gli effetti della guerra economica sulla popolazione tedesca per la prova dell'indubbia efficacia delle sanzioni nella sconfitta degli Imperi centrali, e pertanto i fautori della Società delle Nazioni riposero nelle sanzioni aspettative che non avrebbero tardato a rivelarsi eccessive.

Un altro equivoco che Mulder mette bene in risalto è quello relativo agli obiettivi sottesi all’attuazione delle sanzioni. Significativamente, queste erano state concepite in origine per regolare i rapporti tra stati ed evitare conflitti, non per promuovere la democrazia, destabilizzare regimi autoritari o evitare catastrofi umanitarie. Nondimeno, la sovrapposizione di obiettivi di diversa natura nell’impiego delle sanzioni ha costituito di volta in volta una ragione costante di frustrazione e divisioni, generando ulteriori fraintendimenti tanto nel dibattito pubblico quanto all’interno delle istituzioni.

Se negli anni Venti le sanzioni funzionarono, è negli anni Trenta che queste mostrarono i loro limiti più vistosi e provocarono conseguenze indesiderate, se non drammatiche. In questo senso, il caso dell’Italia fascista è centrale nella ricostruzione dell’autore. Definite come «the greatest experiment in Modern History» (p. 202), nel 1935-1936 le sanzioni contro l’Italia colpirono un paese industrializzato di dimensioni considerevoli, integrato nell’economia internazionale, che era stato tra i vincitori del primo conflitto mondiale ed era membro del consiglio della Società delle Nazioni. Nonostante i danni arrecati all’economia italiana, le sanzioni si rivelarono inefficaci nell’evitare la vittoria fascista in Etiopia. Tuttavia, Mulder sottolinea la centralità che queste rivestirono nella seconda metà degli anni Trenta tanto nel dibattito internazionale quanto nelle scelte degli stati. Malgrado la loro inefficacia, le sanzioni restavano al centro delle preoccupazioni di Germania e Giappone, che promossero politiche autarchiche e concepirono piani di conquiste territoriali per assicurarsi le risorse economiche necessarie in caso di guerra. Il timore del blocco economico analogo a quello del 1914-1918 non fu un deterrente contro il regime nazista, al contrario spronò la dirigenza tedesca a scongiurare quello scenario.

Il saggio di Mulder è un contributo originale e innovativo, che fornisce un prezioso strumento di riflessione per la comprensione della storia tra le due guerre, ma anche un punto di vista storico utile nel dibattito odierno sulla politica internazionale. L’attualità dell’argomento, a seguito delle sanzioni comminate contro la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, non fa dunque che accrescere l’interesse del saggio.

 

[1] Cfr. A. Tooze - T. Fertik, The World Economy and the Great War, «Geschichte und Gesellschaft», 40, 2014, 2, pp. 214-238.

[2] P. Dehne, After the Great War. Economic Warfare and the Promise of Peace in Paris 1919, London - New York, Bloomsbury Academic, 2020.

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