V, 2022/3

Ariane Dröscher

Plants and Politics in Padua During the Age of Revolution, 1820-1848

Review by: Fabio Forgione

Authors: Ariane Dröscher
Title: Plants and Politics in Padua During the Age of Revolution, 1820-1848
Place: London
Publisher: Palgrave Macmillan
Year: 2021
ISBN: 9783030853433
URL: link to the title

Reviewer Fabio Forgione - Università del Piemonte Orientale

Citation
F. Forgione, review of Ariane Dröscher, Plants and Politics in Padua During the Age of Revolution, 1820-1848, London, Palgrave Macmillan, 2021, in: ARO, V, 2022, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2022/3/plants-and-politics-in-padua-during-the-age-of-revolution-1820-1848-fabio-forgione/

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Nell’introduzione al suo studio, Ariane Dröscher promette di raccontarci la storia di una sconfitta: quella dei sogni coltivati dalle élites di Padova nei primi decenni dell’Ottocento. E in effetti, uno dei meriti del volume è quello di immergere il lettore nel milieu culturale di una città gloriosa, anche se ormai periferica, accompagnandolo alla scoperta delle reti e degli ideali di cui era intessuta la sua vita intellettuale e istituzionale.

I temi intorno ai quali ruota la monografia possono essere ricondotti a tre linee fondamentali. Innanzitutto, le vicende personali dei fratelli Andrea e Giuseppe Meneghini, che si guadagnarono posti di rilievo nella vita cittadina e contribuirono al rinnovamento delle discipline alle quali si dedicavano – rispettivamente l’economia politica e la botanica. Seguendo questo filo conduttore, l’autrice affronta poi la questione delle piante, intese sia in un vasto senso simbolico e culturale, sia come fulcro delle ricerche sulla teoria cellulare e l’organizzazione dei viventi. Infine, il terzo snodo tematico incrocia i primi due e indaga i legami, più o meno manifesti, tra pensiero biologico e politico nella Padova asburgica.

La scienza aveva un posto chiave nell’identità della città e, all’inizio del XIX secolo, era la leva sulla quale Padova cercava di costruire la sua influenza su scala regionale. L’Orto botanico rappresentava la visibile eredità di una lunga tradizione, ma era ormai soprattutto l’associazionismo a connettere – al di là dei confini di genere e status – coloro che si interessavano di piante. Dröscher insiste giustamente su questo aspetto e imposta la ricerca su una definizione di botanica aperta e ibrida, che include l’agronomia, la farmacia e la floricoltura, coltivate da figure eterogenee di professionisti e amatori.

I fratelli Meneghini erano pienamente integrati nelle nascenti associazioni, così come negli altri circoli di socialità patavini. Nati in una famiglia emergente, Andrea e Giuseppe aderivano agli ideali liberali moderati, che spesso trovavano espressione nei parchi delle ville, dove intersecavano le inclinazioni scientifiche delle élites. In effetti, i giardini erano forse il luogo principe in cui si materializzava il rapporto tra piante e politica e non a caso l’autrice ne analizza i messaggi simbolici nascosti. Scopriamo così che la prevalenza del disegno all’inglese era segno di un apprezzamento per le forme libere e di un’idea dinamica della natura, che si associava all’opposizione al conservatorismo e ad aspirazioni riformiste.

Andrea e Giuseppe respirarono fin dalla nascita i valori di questa comunità e furono affidati a maestri che li indirizzarono sulla via del metodo scientifico e dello storicismo. Nel progresso della storia ebbe sempre fiducia Andrea, che interpretava la società secondo una categoria di perfezionamento tradotta nel sostegno ai programmi educativi. Un altro versante del suo pensiero rifletteva invece quella che l’autrice definisce la svolta organicistica degli anni Trenta e, pur attribuendo un posto centrale all’individuo, lo considerava parte di un equilibrio cooperativo. L’organicismo si risolveva infatti nella legittimazione di tutte le componenti della società, in dissenso con ogni indirizzo assolutistico. Le analogie tra corpo e Stato – certo non nuove – non puntavano quindi alla gerarchia, bensì alle relazioni collaborative tra le parti e il tutto. Dröscher mette in guardia dai rischi di sovrainterpretazione di un organicismo che restò spesso implicito, ma non rinuncia a rintracciare i suoi legami – latenti, eppure significativi – con l’associazionismo e il solidarismo.

La relazione tra storia e sviluppo e la nozione di collaborazione possono essere considerate il fondamento anche dell’evoluzionismo predarwiniano di Giuseppe Meneghini. In un periodo in cui le piante – con la loro organizzazione decentrata – guidavano i dibattiti sulla costituzione biologica, il giovane studioso elaborò teorie in forte sintonia con quelle sociopolitiche del fratello. Insisteva infatti sull’idea di progresso e vedeva nell’organismo biologico un’associazione di parti libere e uguali, piuttosto che una monarchia dominata da un solo organo.

Dove invece Dröscher rileva una divergenza tra le tesi dei due fratelli è nel campo del dinamismo della natura. A partire dalle idee di Geoffroy Saint-Hilaire e Goethe, nonché dagli studi sulle cellule e gli organismi più semplici, Giuseppe costruì un concetto di metamorfosi che aveva radici nelle fasi precoci della vita delle piante. Tali idee erano del tutto coerenti con la retorica delle riforme e della cooperazione; tuttavia, il suo modello di trasformazione poggiava su cause interne, mentre Andrea, in campo sociale, credeva nel ruolo di fattori esterni come l’istruzione. Ancora una volta, l’assenza di esplicite analogie biopolitiche non toglie nulla al parallelismo, specie se si guarda alla sfera valoriale condivisa da scienziati ed economisti che frequentavano gli stessi circoli.

In effetti, l’ambiente padovano trovava all’epoca nuovi spazi di tessitura tra scienza e ideali in sodalizi come la Società di giardinaggio o quella di incoraggiamento per l’agricoltura. Dröscher si sofferma qui sul duplice significato della «coltivazione» e dunque su un’interfaccia anche semantica tra piante e politica. Per l’élite padovana, infatti, il miglioramento della resa agricola non poteva prescindere da un contestuale miglioramento dell’educazione dei contadini. Nacque così un rapporto paternalistico tra possidenti e sottoposti, dal quale però i due Meneghini si distinsero per una costante attenzione alla dignità delle classi – e degli organismi – inferiori.

Del resto, proprio nell’agricoltura l’autrice individua l’inizio della fine del peculiare intreccio teorico e biografico tra scienza e politica. Come testimoniano le pagine del Tornaconto, il giornale di Andrea Meneghini, alla metà del secolo la scienza si avviò infatti verso l’utilitarismo e la soluzione a problemi concreti. Un esempio in tal senso è offerto dalla patata, che fu sì una gustosa metafora antiaustriaca, ma intorno alla quale si addensarono soprattutto pressanti ricerche scientifiche sulla malattia che la colpiva.

Il piccolo mondo padovano nel quale il volume si addentra non sopravvisse all’effimero «sol novello», per dirla con Tommaseo, delle rivoluzioni del 1848. I Meneghini, compromessi nel governo provvisorio, furono costretti a prendere precipitosamente la strada dell’esilio: in Piemonte per Andrea, in Toscana per Giuseppe. Quest’ultimo abbandonò la botanica, ma non le sue convinzioni e, dalla cattedra pisana di geologia, fu uno dei primi a interessarsi alle teorie di Darwin. Anche Andrea – che nel 1866 diverrà primo sindaco della Padova italiana – continuò a credere nell’inevitabile progresso della storia, nonostante il doloroso inciampo della repressione austriaca. Si deve però concordare con l’autrice, quando osserva che la cesura fu profonda, e riconoscere che i sogni della primavera dei popoli lasciarono rapidamente spazio a un freddo autunno nei giardini e nei circoli padovani. La commistione tra piante e politica svanì, mentre – in un destino comune a larga parte della scienza italiana – l’esilio, la censura e l’isolamento segnarono una battuta d’arresto per la ricerca botanica.

Con questa triplice sconfitta – personale, politica, scientifica – si conclude uno studio coerente e originale, che esplora pagine poco note della vita intellettuale dei primi decenni del XIX secolo. La forza del lavoro di Ariane Dröscher risiede nella capacità di valorizzare i nessi tra grandi dibattiti europei e vicende locali, biologia e politica, individui e associazioni, sorti personali e quadri concettuali. Ne risulta un volume che aggiunge un nuovo tassello alla storia della scienza italiana e, allo stesso tempo, si rivela utile per lo studioso che voglia scandagliare il sostrato culturale delle reti di notabili nel Veneto dell’Ottocento.

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