Reviewer Roberta Mira - Università di Bologna
CitationLeonardo Pompeo D’Alessandro ci presenta la storia del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, istituito dal fascismo nel 1926, letta attraverso le carte prodotte dal Tribunale stesso e dai diversi organismi coinvolti in varia misura nella sua attività: la Presidenza del Consiglio dei ministri, i ministeri della Guerra, della Giustizia e dell’Interno e altre strutture del regime.
Al centro dell’analisi non sono tanto i fascicoli processuali e le sentenze – sebbene D’Alessandro osservi più da vicino alcune vicende particolarmente significative come il processo ai comunisti nei primi anni di attività del Tribunale o la repressione del dissenso al confine orientale – ma i documenti amministrativi e interni del Tribunale speciale. L’intento è, infatti, quello di esaminare la composizione, il funzionamento, gli obiettivi e la posizione assunta all’interno del regime fascista da questo organo di giustizia per sottoporre a verifica le letture consolidate sulla natura e l’attività del «Tribunale di Mussolini».
Ne emerge il quadro di un organismo in cui coesistettero più centri e più catene di comando (ministeri, Presidenza del Consiglio, partito, Gran Consiglio del fascismo, Milizia, giustizia militare e ordinaria), in cui pesarono gli equilibri di potere della poliarchia fascista e in cui si riflessero natura e prassi del regime e del suo stile di governo.
L’autore ricostruisce le tappe della costituzione del Tribunale speciale seguendo il dibattito interno a Partito nazionale fascista, Gran consiglio e governo, nonché quello avvenuto nelle aule parlamentari al momento della discussione e approvazione dei «Provvedimenti per la difesa dello Stato», e mostrando come questi si intrecciarono con la reintroduzione in Italia della pena capitale, con il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e, più in generale, con il processo di riforma del codice penale intrapreso dal guardasigilli Alfredo Rocco.
Nato come organo transitorio per gestire particolari fattispecie di reato in una fase emergenziale ed eccezionale, il Tribunale speciale con la proroga del 1931, e con le successive del 1936 e del 1941, divenne in realtà – questa la tesi principale del volume – un organo stabile e un cardine del sistema giudiziario fascista: punto di incontro fra la giustizia militare e quella ordinaria, anticipatore di norme in seguito inserite nei codici penale e di procedura penale del 1930, sintesi della dottrina penalistica del fascismo.
La Seconda guerra mondiale portò a una estensione delle competenze e a una crescita dell’organico, dell’attività e delle somme stanziate per il funzionamento del Tribunale speciale, segno della volontà di «difendere» la nazione impegnata nel conflitto criminalizzando e reprimendo, mediante una giustizia rapida, speciale ed esemplare, ogni forma di dissenso, progressivamente identificato con il dissenso politico nel quadro della visione totalitaria della società propria del fascismo.
La centralità assunta dal Tribunale speciale porta a riconsiderare le cifre accreditate come bilancio della sua attività. Pur non essendo questo il fine ultimo del lavoro, dal volume emergono nuove valutazioni e nuove stime che dimostrano una maggiore incisività della giustizia speciale rispetto a quanto noto fino ad ora: più di 20.000 denunciati, oltre 9.000 processati per reati politici, valutari, economici, di spionaggio e sabotaggio e per reati comuni in tempo di guerra, oltre 13.500 procedimenti avviati contro uno o più imputati, circa 2.500 sentenze di cui 77 condanne a morte, 62 delle quali eseguite.
Nel suo percorso di analisi all’interno del Tribunale speciale, D’Alessandro ci offre una lettura prosopografica dei profili dei componenti dell’organo – presidenti e vicepresidenti, giudici effettivi, supplenti, relatori e istruttori, procuratori e sostituti – e si spinge a inquadrare i gradi minori, sia pure su un piano quantitativo più che qualitativo. L’autore mette così in evidenza il ruolo giocato dalla magistratura ordinaria, un ruolo a lungo trascurato dalla storiografia che si è occupata delle vicende del Tribunale speciale e della repressione dell’antifascismo negli anni del regime di Mussolini e che ha teso a sottolineare il carattere politico del Tribunale speciale e la preponderanza al suo interno della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e della magistratura militare. Furono invece ben 22 (17 giudici e 5 cancellieri) i membri del Tribunale speciale che provenivano dai ranghi della magistratura ordinaria, un numero contenuto rispetto a quello dei componenti tratti dalla Milizia (77), ma pari a quello dei membri provenienti dalla magistratura militare (16 giudici e 6 cancellieri) e molto più alto di quello dei componenti in arrivo dall’esercito (7).
D’Alessandro conferma il carattere essenzialmente politico del Tribunale, dimostrato dal fatto che gli uomini della Milizia svolsero un ruolo centrale per il Tribunale speciale sin dalla sua nascita e per tutti gli anni del suo operato, andando a ricoprire gli incarichi di maggior peso nel collegio giudicante e nella commissione istruttoria dei procedimenti, ma sostiene che spiccati tratti politici siano riscontrabili nelle figure dei membri provenienti dalla magistratura ordinaria e nel lavoro della procura, generalmente affidato a questi ultimi. Se alla Milizia competevano le decisioni sul rinvio a giudizio e sulla condanna degli imputati, l’attività dei magistrati ordinari nel ruolo di pubblici ministeri appare, infatti, fondamentale, specialmente nei casi più importanti e delicati e in quelli in cui furono emessi giudizi più severi, con il collegio giudicante che raramente si discostava dalle richieste dei PM e se lo faceva andava nel senso di una riduzione della pena e non di un suo aggravio. La magistratura ordinaria non sarebbe pertanto stata indenne da compromissioni con il fascismo, come spesso affermato da protagonisti e studiosi che hanno visto proprio nell’esistenza del Tribunale speciale l’alibi per un’assoluzione dei magistrati ordinari.
Il lavoro ricco e puntuale di D’Alessandro ci restituisce un quadro più preciso del Tribunale speciale e del suo operato. Un quadro che travalica i limiti di letture indirizzate a studiare l’antifascismo politico e la repressione dell’opposizione da parte del fascismo attraverso le sentenze emesse dal Tribunale o l’analisi di singoli fascicoli processuali, e che, addentrandosi nelle dinamiche interne al regime e al Tribunale speciale, dà conto del tentativo del fascismo di «creare un 'nuovo' diritto» (p. 15) propriamente fascista come parte del suo progetto totalitario. Gli esiti di tale tentativo rappresentano un banco di prova dell’esperimento fascista che, secondo l’interpretazione di D’Alessandro, certamente pose anche la giustizia fra gli obiettivi e gli strumenti dell’affermazione della propria visione politica e ideologica, creando un organismo «rispondente alla natura autoritaria e repressiva del regime» (p. 178), senza tuttavia riuscire a centrare pienamente lo scopo di una rivoluzione integrale del diritto e del sistema giudiziario italiani.