Reviewer Andrea Spicciarelli - Ufficio Storico dell'Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini
CitationIl volume ha il pregio di inserirsi – arricchendolo con le sue pregnanti riflessioni – in un settore della storiografia, italiana e internazionale, che solo nell'ultimo decennio ha visto crescere il suo interesse nei confronti del «war volunteering», il volontariato in armi, e della sua capacità di persistenza per oltre due secoli, alimentando così innovative analisi di lungo periodo del fenomeno e non più mere disamine legate esclusivamente a singoli episodi o conflitti. Lo stesso autore d'altronde ha evidenziato che «not enough attention has been paid to the fact that ... many of these volunteers felt they were the last exponents of a tradition of armed volunteering which ... originated in the nineteenth century» (p. 4). I volontari ai quali l'autore qui si riferisce sono gli antifascisti che combatterono nella guerra civile spagnola e quindi nella Resistenza europea al nazifascismo, che si consideravano – molti idealmente, ma alcuni lo erano realmente – eredi di quella peculiare tradizione di «war volunteering» che aveva le sue radici nel lungo Ottocento e che fu incarnata da Giuseppe Garibaldi e dai suoi seguaci fin dal 1849 – una tradizione, quella garibaldina, che al contrario è stata proficuamente indagata da svariate angolazioni nel corso degli ultimi quindici anni. Non è un caso altresì che lo studio prenda le mosse circa settant'anni dopo il limite cronologico prefissato, rimarcando come la ripresa del fenomeno del volontariato internazionale in Siria, nell'ambito del sostegno transnazionale alla causa curda nel cantone di Kobane, sia avvenuta mediante significativi rimandi (ideali, biografici) non solo alle precedenti esperienze del 1936-1945, ma anche ai principi di solidarietà internazionale e autodeterminazione dei popoli che tanto cari furono a Garibaldi.
L'autore si è posto l'obiettivo, felicemente raggiunto, di ricostruire quella tradizione radicale e transnazionale del volontariato in armi che fu l'esperienza in camicia rossa, nonché l'eredità del generale e, soprattutto, degli elementi più 'sovversivi' dei suoi ranghi, alcuni dei quali venivano visti dai più giovani commilitoni come tramite diretto con l'epopea avviata dall'Eroe dei Due Mondi e di essa diretti interpreti e legittimi continuatori: è questo il garibaldinismo già approfonditamente indagato da Eva Cecchinato nel suo ponderoso studio del 2007, e che secondo l'autore «formed a coalition that went beyond the single ideological matrices and political formations of which it was composed» (p. 6).
L'originalità della ricostruzione di Acciai risiede essenzialmente in due aspetti: il focus posto sull'evoluzione più 'radicale' della tradizione garibaldina in armi – in una prospettiva tanto più ampia da comprendervi la stessa parabola biografico-politica di un Bakunin – trasmessa all'interno di famiglie politiche quali la socialista, l'anarchica, la repubblicana da generazioni consecutive di volontari (ognuna delle quali temeva di essere «nata troppo tardi» per indossare la mitologica camicia rossa) che, all'indomani dell'Unità, erano assai scontenti dei risultati moderati raggiunti in Italia nel 1861; l'analisi delle motivazioni alla base della scelta volontaria, che permise i continui e successivi passaggi di testimone – dal 1849 in poi – da una generazione all'altra, ovvero la continuità di questa tradizione che poteva già contare, all'altezza del ritorno di Garibaldi in Italia nel 1848, sull'esperienza dei volontari napoleonici e dei partecipanti ai successivi moti mazziniani, nonché sul ritorno dell'esulato politico (attivo sulle due sponde dell'Atlantico proprio come lo stesso Garibaldi). L'analisi delle motivazioni è qui funzionale a delineare quella continuità che fece del garibaldinismo un fenomeno di lungo periodo, e per ricostruire le connessioni tra le svariate esperienze belliche (e le successive generazioni che vi presero parte) occorse tra il 1861 ed il 1945. Ciò nondimeno, in questo secondo ambito viene inoltre dimostrato lo scivolamento delle motivazioni dalle iniziali cause patriottiche e nazionali del Risorgimento classicamente inteso verso ideologie più marcatamente sovranazionali (anche se «In Europe's long nineteenth century, no cause was more international than that of the nation», p. 24) grazie a quei nuovi legami transnazionali costituitisi fin dalla spedizione dei Mille, i quali, sebbene fossero chiari e lineari per gli stessi protagonisti dell'epoca, non sono stati ancora appieno colti dalla storiografia odierna.
L'autore non manca altresì di sottolineare che la tendenza radicale dell'esperienza garibaldina si presentò nel difficile contesto di smobilitazione e ritorno alla vita civile, ovvero nel passaggio da volontari a veterani, quando svariate camicie rosse aderirono alle ideologie più 'sovversive', assumendo così i tratti peculiari della figura-cardine di questo volume: il «radical Garibaldian», per certi versi anticipata da Cecchinato nel suo saggio del 2006 dedicato alle «Biografie dei Sovversivi». A tal proposito, però, manca forse nell'analisi dell'autore un focus sul più generale ruolo assunto dalla comunità radicale garibaldina nel quarto di secolo successivo alla Comune di Parigi, in particolare per quanto riguarda la germinazione dei partiti socialista e repubblicano, ai quali svariati garibaldini contribuirono fin dalle prime esperienze dei Fasci Operai e Consociazioni regionali – sebbene lo stesso autore rimarchi come molti di questi volontari siano stati politicamente attivi rimanendo nondimeno aderenti al canone garibaldino (si pensi agli episodi del 1874 e 1877). A maggior ragione questa suggestione ci pare valere alla luce della conferma che «Transnationalism is ... about people» (p. 9), con la prosopografia che continuerà quindi a rivestire un ruolo imprescindibile in questo tipo di analisi.
Nella seconda parte del volume l'autore si sofferma doverosamente sul tornante del 1897, delineando la contrapposizione fra due comunità nate dal medesimo ceppo: quella dei nuovi «radical Garibaldians» (ed è illuminante qui lo sviluppo prosopografico del passaggio di consegne, in campo anarchico, tra un Amilcare Cipriani e i giovani adepti Fraternali, Diotallevi e Troya) e la generazione di nuovi Garibaldi (eredi di quella 'dinastia' attentamente delineata dal quartogenito del generale, Ricciotti senior), espressione dell'ala più moderata del garibaldinismo stesso. Fra questi due campi non sarebbero mancati, fin da quell'anno, conflitti e contrasti in nome dell'eredità spirituale del Leone di Caprera, che si sarebbero trascinati almeno fino alla spedizione delle Argonne del 1914-1915.
Il capitolo conclusivo è certamente quello più pregnante e originale. In queste pagine l'autore ripercorre l'opposizione tra i campi fascista e antifascista (già lumeggiata tempo addietro da Mario Isnenghi e Massimo Baioni) che, nel periodo interbellico, si contesero anche la primazia sulla tradizione garibaldina che, infine, fu «restituita all'Italia» – completa del suo lato democratico e radicale – dai volontari di Spagna appartenenti a quelle stesse famiglie politiche che militarono in queste file fin dagli anni Sessanta dell'Ottocento, ormai compiutamente emancipati dalla 'dinastia' (ancora nel secondo dopoguerra alcuni anarchici consideravano Ricciotti junior un traditore per il ruolo da lui giocato nello scandalo delle Avanguardie garibaldine) ma che nondimeno si rifacevano al garibaldinismo ottocentesco come proprio antecedente storico. E proprio i veterani del 1936 favorirono un ennesimo passaggio di testimone generazionale – il più importante – con i partigiani della Resistenza italiana ed europea grazie ad un rinnovato mito garibaldino diffusosi celermente dai campi di prigionia transalpini, dove gli antifascisti di Spagna furono detenuti una volta valicata la frontiera, alle Brigate «Garibaldi» impegnate nella lotta di Liberazione in Italia. Ciò nondimeno, se giustamente l'autore ha sottolineato come il «fascismo garibaldino» fallì nel suo intento di mobilitare una nuova generazione di volontari, la storiografia deve ancora affrontare i casi in campo avverso (significativi sebbene aneddotici), di quei veterani garibaldini del 1897 e 1914 che parteciparono alla campagna d'Etiopia negli stessi anni nei quali fascismo e antifascismo si sfidavano militarmente nella penisola iberica.