Reviewer Matteo Di Tullio - Università di Pavia
CitationComunità umane e risorse idriche, si sa, perdono l’origine della propria relazione nella notte dei tempi. Per irrinunciabile necessità, infatti, gli uomini gravitano attorno all’acqua come un satellite al proprio pianeta. Cercando di cooperarci e conviverci, alcuni ne sono intimoriti, altri ammirati, arrivando addirittura a manifestare una sorta di venerazione. Si tratta, in buona sostanza, di una relazione multivalente, fatta di pretesa superiorità antropica e incontenibile protagonismo naturale, di opere per l’irreggimentazione e di altre per lo scorrimento, di economie che fioriscono e pratiche che scompaiono, di coesistenze anfibie e insediamenti arroccati. Questa composita complessità è la vera protagonista del nuovo libro di Franco Cazzola, dedicato alla relazione tra gli uomini e il Po, con un focus sul basso corso del fiume e sul periodo che corre tra la seconda metà del Quattrocento e i primi decenni del Seicento. Non dobbiamo però farci trarre in inganno da quelli che sono i principali obiettivi del libro. Per la natura dell’oggetto di ricerca e per meglio definire il proprio campo d’indagine, l’autore richiama diverse questioni che attengono a secoli precedenti a quelli appena richiamati e allarga lo sguardo più a monte, risalendo il corso del Po almeno fino alla confluenza del Ticino, «là dove molti pensano che il Po diventi veramente Po» (p. 14).
Il volume si articola in diversi capitoli che offrono al lettore le coordinate geografiche, ambientali, economiche e istituzionali per comprendere la storia idraulica ed agraria della bassa Pianura Padana nella prima età moderna. Fin dal principio risulta evidente come sia necessario tenere insieme diversi livelli istituzionali, ambiti geografici e attori per provare a restituire la complessità della relazione tra le varie società umane e il principale fiume italiano, con la grande quantità di corsi d’acqua e la diversa tipologia di suoli, sedimenti e flora ad esso connessi.
In primis l’autore si concentra sulla definizione dei quadri ambientali della Valle Padana, soffermandosi lungamente sulle contingenze idrogeologiche del corso del Po. É altresì considerata l’incidenza dei cambiamenti climatici connessi al passaggio dall’optimum medievale alla piccola era glaciale sul defluire del grande fiume, così come sulla agricoltura padana. Mutamenti, questi ultimi, che ebbero conseguenze piuttosto significative, in particolare, nel caso del Reno e dei fiumi romagnoli, per loro natura più instabili rispetto ad altri affluenti e corsi d’acqua del bacino del Po e che per questo dovettero essere sottoposti precocemente a un’importante opera di sistemazione.
La testé ricordata instabilità idraulica, si manifestava specificatamente nell’area dei cosiddetti Polesini, dove le acque cariche di detriti incontravano pendenze quasi impercettibili e i sedimenti creavano un paesaggio dominato da dossi e valli entro il quale l’acqua rimaneva intrappolata. In questi luoghi, d’acqua abbondante e stagnante, l’antropizzazione era fortemente limitata, gli insediamenti erano temporanei e le economie si basavano sulla raccolta della flora spontanea o sulla caccia della fauna migrante, spesso sottoposte a forme di sfruttamento collettivo. Solo un imponente lavoro di arginatura e lo sviluppo di una fitta rete di canali di distribuzione e di scolo permisero, più tardi, il diffondersi d’insediamenti stabili e la costruzione di un suolo agrario che, una volta bonificato, si rivelò molto fertile benché poggiasse su un equilibrio precario e spesso mettesse in dubbio i vecchi diritti comunitari d’uso delle risorse locali.
Alla base di queste grandi trasformazioni, infatti, vi erano i capitali di grandi istituzioni religiose, di facoltosi 'borghesi' arricchitisi con le attività commerciali e manifatturiere, o degli Stati regionali, ma altresì – parafrasando Carlo Cattaneo – vi si trovava l’immenso deposito di fatiche dei contadini che, oltre a costruire gli argini, scavare i canali, dissodare terre e movimentare i sedimenti, erano quotidianamente impiegati nella manutenzione delle infrastrutture utili a conservare florido questo paesaggio artificiale, che andava governato e costantemente curato. Nel libro si racconta di come le città e gli Stati regionali abbiano cercato di controllare entrambe le sponde di diversi tratti del fiume, di come abbiano promosso modifiche del suo corso e di quello dei suoi affluenti, spesso creando contrasti con i poteri vicini. Questo fu il caso, ad esempio, dei diversi tentativi della Repubblica di Venezia di deviare il corso di vari fiumi per evitare che i detriti trasportati potessero creare danno alla laguna. A questa preoccupazione, in conseguenza dell’espansione demografica quattro-cinquecentesca, si sommò quella di dotare la Terraferma di nuovi fondi da sfruttare per la produzione cerealicola. In tal senso vanno lette le dispute tra Ferrara e Venezia e tra quest’ultima e lo Stato Pontificio, che allargò sempre più a settentrione il proprio dominio. L’autore si sofferma su queste vicende, narrandole con grande accuratezza di dettagli, sapendo però abilmente combinare la ricchezza di particolari alla chiara definizione di un quadro d’insieme, di cui non si rischia mai di perdere il riferimento.
La cura e l’imponente opera di trasformazione del paesaggio e di controllo delle acque, d’altra parte, erano necessarie pressoché lungo tutto il corso del fiume. In effetti, dove le acque correvano veloci, gli uomini, le istituzioni e i governi dovevano preoccuparsi di controllarne il flusso e di gestirne la capillare distribuzione. Al contrario, come si è ricordato poco sopra, il rallentare della corsa dell’acqua per effetto di terre sempre più basse e ondulate, faceva sì che la principale preoccupazione diventasse quella di allontanarla, evitando che il ristagno sui terreni potesse rendere inospitali quei luoghi. L’alternarsi di terre alte e basse, di acque che correvano rapide da distribuire o lente da allontanare, del resto, può essere considerato una caratteristica peculiare di tutta la valle Padana, tanto del corso del Po, quanto di quello dei suoi affluenti o dei fiumi che gli scorrevano appresso.
Per raccontarci di questo dualismo, l’autore sceglie, tra l’altro, di analizzare gli Statuti delle comunità locali, considerati alla stregua di una cartina al tornasole per comprendere il rapporto delle diverse popolazioni con il fiume. D’altronde, il volume pone chiaramente in evidenza che quello con l’acqua era (ed è) un rapporto sociale, fatto magari di tante individualità che si mettevano all’opera singolarmente ma secondo uno schema condiviso e coordinato da una comunità locale, un grande proprietario, una istituzione o uno Stato. Quest’ultimo aspetto, evidentemente, sottende una specifica relazione con il fiume, che implica di superare l’adattamento degli uomini ai bisogni della natura, per cercare di governare, disciplinare e sfruttare la risorsa idrica in funzione delle diverse attività e necessità umane. In questo caso, come è piuttosto evidente, agire individualmente non portava a nulla e, volenti o nolenti, era necessario adattarsi a collaborare, sotto la direzione di qualche autorità «pubblica» o «privata» o consorziandosi, vale a dire creando una di quelle peculiari istituzioni diffuse in gran parte dell’Italia settentrionale e che, ab antiquo, possono essere considerate la cellula base della gestione, manutenzione e implementazione della sempre più fitta rete idraulica padana.
Entro lo schema interpretativo richiamato, sono diversi altri i temi trattati in questo ricco volume, che sistematizza un percorso di ricerca che ha accompagnato gran parte della carriera del suo autore. Un volume denso, benché agevole, che ha il pregio di sintetizzare, senza banalizzarla, la complessa relazione tra uomini e fiumi nella Pianura Padana, fatta di traiettorie non sempre lineari e mai identiche nei diversi contesti locali e che, lungo i secoli, ha portato alla costruzione di una vasta e fertile campagna. Questo lungo percorso di bonifica utile all’insediamento e allo sfruttamento agricolo della valle del Po è il fil rouge attorno al quale si dipanano i tanti esempi e le tante esperienze di lavoro, governo, disputa e cooperazione raccontate in questo bel volume.