Reviewer Ubaldo Villani Lubelli - Università del Salento
CitationUno dei luoghi storici più suggestivi di Berlino è il Bendlerblock, un grande complesso edilizio nel centro della capitale tedesca. Si tratta di un edificio costruito durante la Prima guerra mondiale per la Marina del Reich e dove, dopo la Grande Guerra, si insediò anche la direzione delle forze armate tedesche. Con queste funzioni restò anche durante il nazionalsocialismo. Fu dunque proprio dal Bendlerblock che Friedrich Olbricht, comandante generale dell’esercito tedesco organizzò il famoso attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Vi partecipò anche Claus Schenk Graf von Stauffenberg, che era Capo di Stato Maggiore del Comando Militare Generale e che depositò l’esplosivo che avrebbe dovuto uccidere il Führer. Dopo il fallimento di quell’attentato, Claus Schenk Graf von Stauffenberg e Friedrich Olbricht, oltre ad Albrecht Ritter Mertz von Quirnheim e Werner von Haeften vennero giustiziati in quello che oggi è il cimitero dei caduti del Bendlerblock.
Si tratta dunque di un luogo simbolo della storia tedesca del Novecento e in particolare della resistenza tedesca. È sempre qui che oggi si può visitare il memoriale della resistenza tedesca al regime nazionalsocialista. La mostra permanente è dedicata agli autori del fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944 ma anche al composito mondo della resistenza tedesca.
Il deutscher Widerstand fu un fenomeno ben più complesso e articolato rispetto a quanto spesso sostenuto da una parte della ricerca scientifica nonché percepito dall’opinione pubblica internazionale. Se in lingua tedesca, ormai da alcuni decenni, sono stati realizzati importanti studi che hanno fatto luce su questa pagina della storia tedesca è altresì vero che proprio in Italia, la consapevolezza della profondità della resistenza tedesca è rimasta molto a lungo sconosciuta e resta ancora oggi solo parzialmente nota[1]. Del resto, la conoscenza della resistenza tedesca in Italia è stata condizionata dalla storia e dalle vicende politiche della resistenza italiana al fascismo.
Al fine di offrire una descrizione articolata e storicamente fedele ai fatti storici, è stata recentemente curata dallo storico Federico Trocini (Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini di Torino) una raccolta di saggi che analizzano dettagliatamente le molteplici sfaccettature della resistenza tedesca, nella convinzione che «l’opinione pubblica tedesca manifestò un crescente grado di dissenso man mano che si avvicinò alla guerra, per poi riallinearsi al momento del suo scoppio vero e proprio» (Introduzione, p. 13). D’altronde, la ricerca storica e politica ha dimostrato da tempo che la guerra fu percepita da molti tedeschi come occasione di riscatto dopo il Trattato di Versailles. Piuttosto che meno rilevante rispetto agli stessi movimenti in Francia o in Italia, la resistenza tedesca si caratterizza per essere, semplicemente, diversa, non coerentemente organizzata e quindi spesso relegata ad atti individuali – il caso più emblematico è certamente quello di Georg Elser, autore di uno storico attentato fallito ad Adolf Hitler nella città di Monaco di Baviera – o settoriali. Essa, in ogni caso, coinvolse parti consistenti della società tedesca, «fu un fenomeno imponente, ma, in quanto largamente frammentato e privo di un vasto sostegno popolare, fu destinato a risultare perlopiù inefficace sul piano strettamente politico» (Introduzione, p. 16). Si tratta di una questione che ha segnato l’intera storia tedesca del Novecento con inevitabili risvolti anche giuridici. Basti pensare alla legge del 1994 sulla Ausgleichsleistung, ovvero la compensazione per quelle famiglie che furono espropriate dopo la Seconda guerra mondiale nella DDR, e che nell’articolo 1, comma 4, fa esplicitamente riferimento alla circostanza secondo cui non hanno diritto a compensazioni coloro i quali avessero appoggiato o sostenuto il regime nazionalsocialista sia nella fase della sua affermazione sia nella sua stabilizzazione politico-istituzionale.
Tedeschi contro Hitler? La società tedesca tra nazionalsocialismo e Widerstand è diviso in cinque parti che analizzano le diverse forme di resistenza al regime nazionalsocialista ma anche alla funzione storica della resistenza nella Germania riunificata. La prima sezione del libro («Forme attive di opposizione e resistenza politica») è costituita da tre contributi che indagano i movimenti operai, gli anarco-sindacalisti e le vicende personali di Franz Lipp e Werner von der Schulenburg. Il primo saggio, scritto da Giuseppe Bonfratello e Bärbel Schindler-Saefkow, prende in considerazione la resistenza degli operai tedeschi, che fu ampia e significativa. Le manifestazioni degli operai ebbero luogo sin dal 1933 e, nonostante la durissima repressione da parte del regime, esse proseguirono all’interno delle fabbriche. Come scrivono gli autori, soltanto nel 1936-1937 ci furono circa duecento scioperi, spesso ufficialmente motivati dai ritmi di produttività imposti. Da segnalare, in questo contesto, l’importanza dell’organizzazione Saefkow-Jacob-Bästlein, che fu una delle più grandi e organizzate nella lotta contro il nazismo. Nell’inverno 1943-1944 la Saefkow-Jacob-Bästlein venne sciolta dopo che una Commissione speciale della Gestapo arruolò una rete di informatori al fine di annientare l’organizzazione di resistenza. In questo ebbe un ruolo non indifferente Ernst Rambow, un ex funzionario comunista che dal 1942 divenne una spia della Gestapo.
Il secondo articolo di questa sezione, il cui autore è David Bernardini, analizza la lotta degli anarco-sindacalisti. Rispetto ai movimenti operai, qui l’attività fu circoscritta nel tempo (1932-1937) e anche la ricerca scientifica su questa forma di resistenza è limitata. Da segnalare, in questo contesto, la rete clandestina transnazionale della FAUD. Essa si sciolse volontariamente dopo l’incendio del Reichstag del 27 febbraio 1933 per evitare di ricevere un divieto ufficiale. La caratteristica di questa rete clandestina è che ebbe un carattere transnazionale.
Il contributo di Jan-Martin Zollitsch è dedicato alle controverse figure di Franz Lipp e Werner von der Schulenburg. Le biografie di queste due figure singolari, il primo un giornalista mentre il secondo un Kulturvermittler tra Italia e Germania e facente parte dell’aristocrazia prussiana, sono utili perché allargano il concetto di resistenza a forme passive e situazionali. Franz Lipp e Werner von der Schulenburg erano certamente coinvolti nelle reti internazionali di resistenza al nazismo. Particolarmente controversa è, però, la figura di Werner von der Schulenburg che aspirava a creare una rete di ispirazione conservatrice, vicina alle posizioni di Franz von Papen, al fine di realizzare una diplomazia parallela e antihitleriana. Entrambi furono affascinati dal fascismo e cercarono di mettere in risalto una differenza tra fascismo e nazismo.
La seconda sezione del libro s’intitola «Forme passive di opposizione e resistenza civile». L’articolo di Sarah Lias Ceide è dedicato alla resistenza all’eutanasia nazista. Vengono presi in considerazione i casi del vescovo di Münster von Galen e del pastore protestante von Bodelschwingh. Come ricorda l’autrice, le pratiche di eutanasia da parte dei nazisti furono condannate dalle due Chiese anche sulla base di ragioni teologiche in quanto «risultava inaccettabile la pretesa di intervenire e modificare i piani divini» (p. 72). Particolarmente delicato è il tema trattato da Manuela Pacillo sulle fonti diaristiche e la resistenza ebraica disarmata. Si tratta di un tema ancora centrale nel dibattito storiografico e che si intreccia, inevitabilmente, con la ghettizzazione degli ebrei e la soluzione finale. La novità del contributo di Pacillo è costituita dalla presa in esame delle fonti diaristiche. Vengono presentati i diari di Mary Berg dal ghetto di Varsavia e il diario di Salmen Gradowski autore di ricordi dal Sonderkommando di Auschwitz.
Il contributo di Alberto Guasco prende in considerazione il ruolo delle Chiese tedesche nella resistenza al nazismo. L’autore si sofferma, in particolare, sull’esperienza di Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano che fece dell’antinazismo un tratto peculiare della propria azione pastorale e che pagò con la prigionia dal 1943 e con l’impiccagione avvenuta il 9 aprile 1945. Non mancano, tuttavia, riferimenti alla Chiesa cattolica, come il caso del vescovo di Rottenburg-Stoccarda Joannes Baptista Sproll, che prese pubblicamente posizione contro l’annessione dell’Austria con la conseguenza che venne espulso dalla Germania. A rafforzare ancora di più l’idea della resistenza dietro all’azione di queste persone, non si può non evidenziare come nella cultura cattolica del tempo non mancarono esponenti che cercarono di piegare una determinata tradizione teologica e religiosa al nazionalsocialismo, come è stato evidenziato recentemente anche dallo storico della filosofia Kurt Flasch (Katholische Wegbereiter des Nationalsozialismus. Michael Schmaus, Jospeh Lorz, Josef Pieper, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 2021). In ogni caso, il contributo di Guasco, così come quello di Pacillo, evidenzia, sebbene non venga preso in considerazione direttamente, uno dei tratti distintivi del ruolo politico delle Chiese in Germania nel Novecento. Esse furono protagoniste di forme di resistenza durante il nazionalsocialismo, ma, successivamente, di appoggio decisivo alla rivoluzione pacifica del 1989 che portò alla caduta del Muro di Berlino.
Gli ultimi due contributi di questa sezione, rispettivamente di Francesco Corniani e Anna Chiarloni, analizzano, il primo, il ruolo dei partigiani tedeschi nella resistenza italiana nonché il ruolo dei disertori tedeschi che si unirono alla resistenza italiana e, il secondo, parimenti, il ruolo dei disertori che rappresentarono una ferma resistenza al nazismo.
La terza parte affronta le forme di resistenza rappresentata da uomini comuni e volenterosi carnefici, ovvero forme di resistenza individuali. In questa sezione, i tre contributi affrontano rispettivamente casi specifici di resistenza al nazionalsocialismo. Anna Veronica Pobbe, Matthias Frese e Rolf Wörsdorfer hanno analizzato, rispettivamente, il caso dei professionisti e dei contabili al servizio del Terzo Reich, dei consigli di fiducia e degli immigrati storici nella Ruhr. Questa sezione, in altri termini, propone un’analisi di forme diverse di adesione al regime nelle quali, tuttavia, si creò «il solo spazio legalmente riconosciuto all’interno del quale dare voce ai propri reclami» (p. 176). A tal proposito ricordo che i consigli di fiducia istituiti nel 1934 in sostituzione dei consigli di fabbrica, avevano l’obiettivo di rafforzare la fiducia reciproca all’interno della comunità di tutti i membri dell’amministrazione e dell’azienda.
In questa sezione, particolarmente interessante è il contributo di Rolf Wörsdörfer sugli immigrati nella Ruhr in quanto pone in evidenza le politiche migratorie e di integrazione che erano correlate all’economia di guerra. Gli immigrati nella Ruhr, ovvero in un bacino industriale fondamentale per la Germania del tempo, «assunsero una crescente importanza agli occhi del regime nazista» (p. 179). Tuttavia, le associazioni nazionali che univano questi lavoratori immigrati (in prevalenza polacchi, ma anche sloveni), e che spesso manifestarono contro il regime, vennero sciolte con l’inizio della Seconda guerra mondiale.
La quarta sezione («L’emigrazione intellettuale. Due casi tra tanti») affronta un tema molto noto nella ricerca storico-politica sulla Germania, ovvero l’emigrazione intellettuale. Non si tratta di un’analisi sistematica ma di due casi specifici. Il primo contributo, scritto da Riccardo Morello, ricostruisce il caso, estremamente noto ma altresì importante, di Jean Amery. Figura complessa e molto ben analizzata da Morello che nel suo saggio ricorda, tra i numerosi profili della vita di Amery, l’elemento peculiare della resistenza come forma di vita (p. 201). Egli fu un rifugiato ma anche combattente della resistenza al nazismo in Belgio. Riuscì a sopravvivere ad Auschwitz ma restò sempre un convinto combattente contro la barbarie, l’ingiustizia e la prevaricazione anche dopo la fine della guerra[2].
Il secondo articolo è di Daniela Nelva ed è dedicato a Stefan Heym, scrittore tedesco di origine ebraica. La sua attività di resistenza si concretizzò prima in alcuni articoli per il «Volksfront», un giornale destinato alla comunità tedesco-americana di Chicago, e, nel 1937, nella fondazione del settimanale antifascista «Deutsches Volksecho» a New York, destinato principalmente alla comunità degli esuli tedeschi negli Stati Uniti. Con l’avvento del maccartismo tornò in Europa e la sua vicenda personale si svolse prevalentemente nella Repubblica Democratica tedesca.
La quinta e ultima sezione («La Germania riunificata di fronte al tema della 'sofferenza tedesca' e allo spettro de nazismo»), mira ad allagare la discussione scientifica e pubblica sul tema della Resistenza con uno sguardo alla Germania contemporanea e all’importanza della memoria storica come elemento di fondazione della Repubblica federale. I due contributi di questa sezione finale sono di Gerhard Friedrich e Gian Enrico Rusconi. Il primo analizza la sofferenza tedesca come mito fondante della Repubblica di Berlino nata dalla riunificazione del 1990. Gerhard Friedrich tematizza, inoltre, la sofferenza dei tedeschi durante la Seconda guerra mondiale come monito e messaggio affinché la barbarie nazionalsocialista non accada mai più. Questa sofferenza comune diviene fattore di coesione ed elemento di identità nazionale, tuttavia, la commemorazione delle vittime tedesche non diventa ovviamente giustificazione di un rancore tedesco contro gli alleati ma «deve approdare al messaggio del 'mai più', ossia a una critica radicale dalla recente storia della Germania» (p. 231).
Il contributo di Gian Enrico Rusconi affronta, con la consueta acutezza, i pericoli di nuove forme di nazionalsocialismo nella società odierna. In particolare vengono presi in considerazione il caso del partito Alternative für Deutschland e alcune analogie storiche con la Repubblica di Weimar. Rusconi sottolinea la messa in discussione della cultura del ricordo e della memoria condivisa da parte di numerosi esponenti di Alternative für Deutschland che tendono a minimizzare gli orrori del regime nazionalsocialista e che, in alcuni casi, presentano anche delle collusioni con le azioni dei movimenti di estrema destra. In questo contesto, il contributo, pur istituendo un confronto storico con la Repubblica di Weimar, evidenzia l’importanza della difesa delle Costituzione, garantita nella Repubblica Federale anche dal Verfassungsschutz, evidentemente non previsto dalla Costituzione di Weimar del 1919.
La propaganda politica di Alternative für Deutschland ha messo in discussione uno dei pilastri dello Stato nazionale in Germania dopo la Seconda guerra mondiale. Del resto, la cosiddetta «Auschwitz-Identität» ha costituito un elemento fondamentale dell’identità nazionale tedesca. Come è stato ricordato dal Presidente della Repubblica Joachim Gauck, in occasione del settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, «Non esiste un’identità tedesca senza Auschwitz. Il ricordo dell’Olocausto resta una componente di tutti i cittadini – non solo tedeschi – che vivono in Germania»[3]. In questo senso, è altresì chiaro che, così come ha evidenziato Norbert Elias, il destino individuale è sempre legato alla comunità alla quale si appartiene, la maledizione del passato della Germania non può essere attribuita alla colpa dei singoli[4]. La questione della colpa, per la Repubblica Federale tedesca è così divenuta un aspetto centrale dell’identità nazionale. «Se si è nati tedeschi si ha a che fare con il destino tedesco e con la colpa tedesca»[5], scriveva Thomas Mann nel 1945 dal suo esilio negli Stati Uniti. Il rapporto tra il tedesco e la storia della Germania, tra l’essere tedesco e le colpe del nazismo, ha richiesto anche una determinazione costituzionale. L’articolo 116 del Grundgesetz della Repubblica Federale afferma che «alle persone già cittadine tedesche che furono private della cittadinanza tra il 30 gennaio 1933 e l’8 maggio 1945, per motivi politici, razziali o religiosi, e ai loro discendenti, deve essere, a richiesta, nuovamente concessa la cittadinanza». Le due date indicano l’inizio e la fine del regime nazista. Si tratta di un articolo di grande importanza perché qui l’essere tedesco, nel senso di appartenenza a una nazione, proprio nella Legge fondamentale, viene legata alla responsabilità collettiva delle discriminazioni e persecuzioni perpetrate durante la dittatura. In questo senso, il contributo di Gian Enrico Rusconi pone in evidenza il rischio strutturale rappresentato dalle posizioni estremiste di Alternative für Deutschland e le conseguenze che il messaggio politico di questo partito può avere su uno dei fondamenti della società tedesca.
[1] Sulla resistenza tedesca la letteratura è molto vasta, cito qui solo: P. Hoffmann, Tedeschi contro il Nazismo. La Resistenza in Germania, Bologna, Il Mulino, 1994. Più di recente sono stati pubblicati, tra gli altri: U. Neumärker - J. Tuchel, Der 20. Juli 1944 im Führerhauptquartier Wolfschanze, Berlin, Lukas Verlag, 2021; E. Klausa, Das wiederwachte Gewissen. Konservative im Widerstand gegen den Nationalsozialismus, Berlin, Lukas Verlag, 2019; A. Knoop-Graf, «Das wird Wellen schlagen ..» Erinnerungen an Sophie Scholl, Beiträge zum Widerstand, 3, 2021, Gedenkstätte Deutscher Widerstand, Berlin 2021 (online: https://www.gdw-berlin.de/fileadmin/bilder/publikationen/Beitraege-NeueFolge/BeitraegezumWiderstandNr.3-2021.pdf).
[2] Sull’esperienza di Amery ad Auschwitz, ricordo J. Amery, Intellettuale a Auschwitz, Torino, Bollati Boringhieri, 1987.
[3] Il discorso di Gauck del 27 gennaio 2015 è disponibile online: https://www.bundespraesident.de/SharedDocs/Reden/DE/Joachim-Gauck/Reden/2015/01/150127-Bundestag-Gedenken.html.
[4] N. Elias, Humana conditio, Bologna, Il Mulino 1987, p. 43.
[5] T. Mann, Deutschland und die Deutschen, in H. Kurzke - S. Stachorski (edd), Essays, 1938-1945, Frankfurt am Main, Fischer, 1996, p. 262