Reviewer Matteo Fadini - Biblioteca Fondazione Bruno Kessler
CitationIl volume in questione è una raccolta di studi pubblicati o in corso di pubblicazione in riviste e volumi, al momento dell’uscita del libro, ma variamente rielaborati, con l'aggiunta di un primo capitolo introduttivo metodologico. Si tratta di una operazione editoriale significativa, perché raccogliendo gli studi di Franco Pierno – full professor di Linguistica italiana presso la University of Toronto – sui rapporti tra Riforma religiosa e coeva riforma linguistica, e tra campo letterario e campo religioso-culturale, presenta organicamente uno sguardo rinnovato su una provincia della nostra storia letteraria e linguistica ancora non appieno conosciuta.
Se da un lato è vero che «il difficile rapporto di linguisti e filologi con le questioni religiose, e a maggior ragione con quelle specifiche della Riforma, aveva ostacolato l’interesse dei ricercatori per i risvolti linguistici che esse comportavano» (p. 9), altrettanto problematica rimane la conoscenza diretta dei testi e degli autori esuli religionis causa.
A partire perlomeno da Dionisotti, «è noto quanto è oggi assai difficile trapassare con sicura competenza dalla storia letteraria del Cinquecento alla storia politica e religiosa, e viceversa. … Non si fa storia della letteratura senza fare anzitutto storia della lingua. Bilingue, latina e volgare, la letteratura italiana era stata fin dalle origini e tuttavia era nel Cinquecento. Ma durante la prima metà del secolo un mutamento si era avuto ... offrendo maggiore spazio alla tradizione volgare. ... Ma non sarà, credo, inutile riavvicinare alle divergenze teologiche e politiche, durante un ventennio prima che quel taglio fosse deciso [durante il Concilio di Trento], altre divergenze, magari linguistiche e letterarie»[1]. Pierno, indagando la lingua italiana impiegata dagli italiani riparati all’estero, e in particolare a Ginevra, a seguito dell’adesione alle idee della Riforma, si concentra su alcuni assi principali: la questione della lingua da impiegare nei testi prodotti dall’esilio religioso italiano, le traduzioni volgari del testo biblico, lo studio linguistico degli Apologi di Bernardino Ochino, l’analisi della lingua di Pietro Paolo Vergerio il Giovane. Su Vergerio, si segnalano due ulteriori interventi di Pierno, usciti dopo La parola in fuga, che idealmente proseguono e approfondiscono la trattazione presente nel volume in questione. Una (doppia) opera, sconosciuta e tardiva, di Pietro Paolo Vergerio il Giovane: Quali sieno gl’articoli suscitati da’ luterani, 1564 (in «La Bibliofilia», 123, 2022, 1, pp. 109-122) e Praga, 30 luglio 1534: un dispaccio inedito del nunzio apostolico Pier Paolo Vergerio il Giovane, in Le diciture della storia: testi e studi offerti ad Angelo Stella dagli allievi, Roma, Salerno Editrice, 2018, pp. 95-108.
Pur nella varietà dei temi trattati nei capitoli, il fil rouge che si rintraccia in tutti i saggi è chiaramente espresso nel capitolo introduttivo: «si può anzi ipotizzare che molte delle opere prodotte nelle terre d’esilio fossero considerate strumenti polivalenti, utilizzabili tanto dalla comunità da cui provenivano quanto da quelle di altre realtà dell’esilio religionis causa o, ancora, dai nicodemiti rimasti nei confini patrii; ... questi testi ... erano adatti a svariati spazi geografici: quello locale, quello italiano, quello internazionale e/o dell’esilio italiano in generale» (p. 13). Le opere analizzate e singoli affondi su questioni puntuali sono quindi caratterizzate da uno sguardo che interroga i testi e gli usi linguistici avendo in mente la pluralità di livelli – linguistici, letterari e culturali – presenti nelle opere dell’esilio religioso italiano.
Nelle singole analisi, Pierno intreccia sempre i diversi piani e approcci, come ad esempio nella trattazione degli Apologi ochiniani: partendo da un inquadramento dell’opera – testo interessantissimo, ma fino ai lavori di Pierno non pienamente noto nel circuito degli studi – il critico passa in disamina la lingua di Ochino sotto i diversi ambiti (la fono-morfologia, lo stile e il lessico) per giungere, in sede di conclusioni, a ricucire l’affondo linguistico e l'analisi storica e storico-letteraria. Non è inutile sottolineare il fatto che Pierno abbia curato una edizione di questo testo, che ha avuto il merito di rimettere in circolo quest’opera (Bernardino Ochino, Apologi, a cura di Franco Pierno, Manziana, Vecchiarelli, 2012).
Un esempio, che valga da cartina di tornasole del modo di procedere di Pierno: «Gli Apologi mantengono una certa fedeltà alle origini idiomatiche del loro autore, il quale, mosso da esigenze di ‘evangelizzazione a distanza’, utilizzava il volgare che più gli sembrava adatto alla comunicazione. ... Le ambizioni di Ochino, in questo caso, sono altre: la parola è utilizzata dall’ex cappuccino nella sua valenza di letteratura scritta, per smascherare i meccanismi generati dalla superstizione e dall’abuso attraverso giochi verbali virtuosi, discorsi disarmanti per la loro logica ferrea o, al contrario, per il non senso creato, riflesso dell’assurdo del sistema eccelsiastico e romano» (p. 134).
In conclusione, si segnala questo volume di Pierno per la capacità di affrontare, partendo dallo studio della lingua, l’arcipelago della diaspora religiosa italiana del XVI secolo, con risultati originali e interessanti non solo per chi coltiva studi linguistici e filologici, ma per studiosi e studiose della storia (religiosa, culturale, linguistica) del Cinquecento.
[1] C. Dionisotti, La letteratura italiana nell’età del Concilio di Trento, in C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1976, pp. 227-254, qui pp. 228, 231-232, 254.