V, 2022/2

Gabriella Gribaudi

La memoria, i traumi, la storia

Review by: Cecilia Nubola

Authors: Gabriella Gribaudi
Title: La memoria, i traumi, la storia. La guerra e le catastrofi nel Novecento
Place: Roma
Publisher: Viella
Year: 2020
ISBN: 9788833133225
URL: link to the title

Reviewer Cecilia Nubola - FBK-ISIG

Citation
C. Nubola, review of Gabriella Gribaudi, La memoria, i traumi, la storia. La guerra e le catastrofi nel Novecento, Roma, Viella, 2020, in: ARO, V, 2022, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2022/2/la-memoria-i-traumi-la-storia-cecilia-nubola/

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Il volume rappresenta la sintesi delle decennali ricerche di Gabriella Gribaudi sulle memorie, orali e scritte, della Seconda guerra mondiale nell’Italia meridionale e, più recentemente, sulle memorie delle catastrofi naturali a partire dai terremoti di Napoli e dell’Irpinia del 1980. Si articola in quattro parti: una prima parte, teorica sui percorsi delle memorie scritte, della storia orale e della storiografia tra memoria e oblio; una seconda e una terza parte dedicate alle memorie dei principali avvenimenti del Novecento in Europa e in Italia: Shoah, guerre civili, violenze e vendette tra guerra e lungo dopoguerra, deportazioni, trasferimenti forzati, evacuazioni di famiglie, gruppi etnici e intere popolazioni. L’ultimo capitolo è dedicato alla memoria delle catastrofi «naturali».

I due concetti chiave che sostengono l’intera struttura del volume sono trauma, da un lato, memoria, dall’altro.

Il concetto di «trauma», mutuato dalla psicologia e dalla psicoanalisi, ha assunto una grande importanza come categoria storica nonostante, in qualche caso, vi sia stata una sua banalizzazione (Sabina Loriga). I Trauma Studies permettono di considerare le conseguenze della guerra non solo sui combattenti ma di estenderle ai civili che subiscono le azioni di guerra (dai bombardamenti, alle violenze e agli stupri, alla visione della morte violenta resa spettacolo con l’esposizione del «corpo del nemico ucciso»).

Il trauma ha un impatto sul corpo, sulla mente, sulla vita sociale ed emotiva degli individui sopravvissuti. Partendo dai Trauma Studies la storia sociale ricontestualizza le esperienze di individui, gruppi, comunità, della guerra e dei dopoguerra, le conseguenze fisiche e mentali, non solo sociali e politiche.

Secondo Gribaudi, che ricorda gli studi di LaCapra (Writing History, Writing Trauma), nella narrazione delle vittime e dei traumi è necessario evitare di assumere un atteggiamento binario: da un lato la sacralizzazione-fissazione della memoria del trauma, dall’altro il suo rifiuto in nome della ricerca storica fattuale. Nello stesso modo l’empathic unsettlement (turbamento empatico) diviene metodo di avvicinamento alle fonti (persone e/o documenti) e regola di scrittura. Lo storico/la storica deve resistere a una totale identificazione con le vittime, ma anche riuscire a catturare la dimensione affettiva delle loro esperienze.

Il secondo tema centrale nella narrazione è quello della memoria, un tema oggetto di grande attenzione tanto da poter parlare di «Memory boom» a partire dagli anni Ottanta del Novecento.

Scrive Gribaudi: «La memoria della guerra si presenta … come un processo senza fine, che muta nelle varie fasi legate ai cicli politici, si trasforma anche con il succedersi delle generazioni fino a influenzare profondamente il mondo attuale». Memorie pubbliche, memorie collettive, memorie individuali sono mezzi potenti per i sopravvissuti per uscire dal paradigma vittimario, esclusivamente negativo e subalterno, e riappropriarsi della propria storia, sia essa individuale, familiare o di gruppo, una storia spesso negata dalle narrazioni politiche ufficiali, sottaciuta, costretta al silenzio.

Di fronte a una storiografia che «aveva in parte confermato le macro narrazioni oscurando soggettività e differenze, sottovalutando l’esperienza delle vittime di violenza», Gribaudi si colloca dalla parte di una storiografia che, al contrario, privilegia gli studi incentrati sulla multidimensionalità della memoria, sul rapporto tra memorie individuali e memorie pubbliche, utilizzando in prevalenza la metodologia della storia orale, e, come fonti primarie, le autobiografie e le memorie.

Se si passa dalle «comunità del ricordo» ai luoghi e riti della memoria, si può notare come negli ultimi decenni i monumenti e i luoghi ufficiali di una memoria patriottica o eroica sembrano perdere d’importanza, a favore di una diversa centralità delle persone, siano esse protagonisti, vittime o sopravvissuti. Nomi, percorsi individuali, «piccole storie» all’interno del dramma collettivo ottengono un’attenzione nuova. I nomi, scrive Gribaudi, «sono anche il modo per attribuire individualità e storia ai numeri delle morti di massa. Un modo di elaborare il lutto, di offrire loro una nuova sepoltura, onorarle con un rituale che mancò alla loro morte», Ne sono esempi le pietre d’inciampo, lo Yad Vashem a Gerusalemme, il muro a Washington per ricordare i caduti in Vietnam, il sacrario dei partigiani a Bologna, la diffusione dei «contro - monumenti».

Il ricordo dei defunti è un tema centrale nei percorsi della memoria, siano essi monumenti oppure tombe in un cimitero.

Esemplare a questo riguardo è il racconto del cimitero delle comunità colpite dal disastro del Vajont. I sopravvissuti si mobilitano contro lo Stato che impone, nel 2003, la chiusura del cimitero, costruito dalla gente subito dopo la tragedia, per sostituirlo con uno nuovo, con tombe e cippi tutti uguali. La protesta fu vivissima. La gente si oppose al provvedimento in nome del rispetto della memoria di coloro che si erano salvati e che, attorno al ricordo dei morti, avevano ricostruito un’identità. Scriveva al sindaco uno dei superstiti: «Quarant’anni fa il cinismo, l’arroganza e la prepotenza dei padroni della diga hanno cancellato un intero paese con i suoi abitanti, ora lei con lo stesso cinismo, l’arroganza e la prepotenza sta cancellando l’ultima memoria».

Questa lettera può essere considerata un esempio paradigmatico di una memoria (che poi diventa storia) che si vuole uniforme, generale, condivisa, pacificata, come quelle tombe e quei cippi che la prepotenza delle istituzioni voleva tutti uguali.

Con il disastro del Vajont siamo passati al quarto capitolo del volume, dedicato alle catastrofi «naturali», un tema trattato in misura minore dalla storiografia, non solo italiana.

Riguardo alla memoria delle catastrofi, Gribaudi si chiede se sia possibile «trattare insieme due famiglie di eventi per certi aspetti incomparabili». La risposta è affermativa e gli elementi comuni sono numerosi. Guerre e catastrofi naturali hanno, infatti, in comune spostamenti di popolazione: deportazioni forzate, fughe, trasferimenti di popolazioni e delocalizzazioni di villaggi. L’abbandono della propria terra, qualunque ne sia la causa, comporta spesso la perdita, se non la cancellazione definitiva, di una cultura, dell’identità, di un’intera comunità.

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