V, 2022/2

Serena Luzzi

Il cacciatore di corte

Review by: Alessandro Paris

Authors: Serena Luzzi
Title: Il cacciatore di corte. Una vita ribelle nell'Europa del Seicento
Place: Bari
Publisher: Laterza
Year: 2021
ISBN: 9788858143865
URL: link to the title

Reviewer Alessandro Paris - FBK-ISIG

Citation
A. Paris, review of Serena Luzzi, Il cacciatore di corte. Una vita ribelle nell'Europa del Seicento, Bari, Laterza, 2021, in: ARO, V, 2022, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2022/2/il-cacciatore-di-corte-alessandro-paris/

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Un aristocratico trentino-tirolese, cadetto di un ramo secondario della casata dei Thun, è il protagonista del volume di Serena Luzzi, Il cacciatore di corte (Laterza, 2021). La storica dell'Università di Trento ricostruisce in dieci capitoli la tumultuosa vicenda biografica del conte Ferdinando Carlo Thun di Croviana (1651-1712), utilizzando un ricco apparato documentario dagli archivi trentini e francesi. Sulle tracce del conte ribelle e bigamo in fuga dai feudi imperiali del Trentino verso Londra, Salisburgo, Venezia e Parigi, Luzzi offre anche ai non specialisti inserti storiografici sul contesto politico europeo tra la seconda metà del XVII secolo e i primi decenni del XVIII secolo, affondi tematici di storia del matrimonio e della sua regolamentazione civile ed ecclesiastica dopo il Concilio di Trento, approfondimenti sul sistema penale e sulle prigioni reali francesi, cenni alla vita di corte, ai circuiti informativi e alle reti di spionaggio europeo durante la Guerra dei Sette Anni.

Esponente di un neonato ramo della potente casata trentino-tirolese, quello di Croviana in Val di Sole, Ferdinando Carlo aveva svolto il suo tirocinio formativo da paggio o gentiluomo di camera presso la corte bavarese di Passau dei cugini Thun. La sua vicenda biografica fu tuttavia segnata dal rapporto sessuale consumato con la contessa Anna Giuditta d'Arsio e dalla sua successiva gravidanza, conclusa con la nascita di una figlia nel 1677, che la madre riuscirà strenuamente a trattenere con sé sino alla maggiore età. Il conte negherà sempre di essersi impegnato in promesse matrimoniali e sosterrà di non essere tenuto ad alcun matrimonio riparatore, cui tuttavia fu costretto poco dopo. Una missione diplomatica al seguito del cugino boemo Franz Sigismund alla corte inglese, gli diede l'occasione per allontanarsi da Croviana all’indomani del matrimonio forzato e trattenersi a Londra per cinque anni. Luzzi lo ritrova poi a Parigi: il conte di Montroyal – così si faceva chiamare in terra francese – a pochi mesi dal suo arrivo, sposò clandestinamente Marie Tuby, la figlia di un esattore regio. Il tutto all’oscuro della famiglia di origine, al punto che nella natìa Croviana lo si credeva ormai morto. La coppia ebbe quattro figli: Carlo Vittorio, Antonio, Ferdinando Giuseppe (morto in tenera età) e Caterina Massenza Genoveffa (che morirà in monastero): tutti battezzati in forma segreta, senza padrini e privi di atti di nascita di stato civile.

Il Thun non nascose le sue origini alla moglie e ai figli: anzi, insegnò loro l'italiano e il tedesco, educandoli nella dedizione agli Asburgo, probabilmente in vista di un ritorno in Trentino e di un loro ingresso tra le fila dell’aristocrazia imperiale. Tuttavia, in cerca di denaro, dopo sette anni di silenzio con i fratelli e la madre, nel 1692 fu costretto a contattare la famiglia d’origine, ricevendo il sostegno dei cugini Thun di Boemia, che gli garantirono lo stipendio da cacciatore maggiore (Oberstjägermeister) alla corte del principe arcivescovo di Salisburgo, Johann Ernst Thun. Visse pertanto lontano da Parigi per ulteriori sette anni, mantenendo un’affettuosa corrispondenza con la moglie Marie: cinque lettere (su duecento stimate da Luzzi), da cui emergono inusuali rafforzativi grafici a forma di cuore, segni di un rapporto d'amore e d'affetto sponsale reale e concreto.

Per nascondere ai parenti trentini e boemi la doppia vita, il Thun arruolò a Venezia un facoltoso mercante di origine tirolese, Giovanni Giorgio Chechel, al quale affidò la gestione camuffata e lo smistamento del suo carteggio con Parigi. Parallelamente cercava di far annullare il primo matrimonio presso la Curia romana, rincorrendo canonicati, esplorando la possibilità di farsi prete (e rendere pertanto Marie una concubina), o cercando di imporre l’entrata in monastero alla contessa d'Arsio.

Alla fine dell’anno 1700, Ferdinando Carlo rimise piede nella natìa Croviana, rivendicando le proprie quote di patrimonio familiare. Ricongiuntosi quindi con Marie a Parigi, il conte regolarizzò l’unione clandestina di ormai quindici anni prima, sposando quest'ultima in chiesa alla presenza del sacerdote, di due testimoni e dei figli ormai adolescenti. Era ora, a tutti gli effetti e in piena consapevolezza, un bigamo.

Ad un solo anno di distanza, Ferdinando Carlo venne arrestato e confinato dapprima alla Bastiglia e quindi nella prigione di Vincennes con l’accusa di spionaggio a favore degli Asburgo d’Austria. La moglie Marie e il figlio Antonio subirono analoga sorte qualche anno dopo, per aver effettivamente stretto legami con alcuni sostenitori dello schieramento filo-asburgico europeo. Soltanto il primogenito Carlo Vittorio, riparato per otto anni a Venezia, sfuggì all’arresto.

Carlo Ferdinando morì in prigione il 2 dicembre 1712, assistito dall’ugonotto francese Jean-Baptiste Farie, divenuto suo corrispondente tra le celle di Vincennes, attraverso lo scambio di messaggi cifrati e incisi sull'ardesia. Nel testamento ammetteva la bigamia senza pentimenti né rimorsi, pretendendo il riconoscimento e il diritto a ereditare per i figli avuti da Marie. Il primogenito Carlo Vittorio giunse così a Croviana per prendere possesso dei feudi paterni, mentre Antonio trovò un impiego come capitano di cavalleria nei reggimenti imperiali. La successiva causa giudiziaria che si aprì presso il tribunale feudale di Trento vide pertanto affrontarsi i «pariggini» contro gli eredi di Croviana, decisi ad impedire a Carlo Vittorio e ai suoi fratelli l’accesso al patrimonio familiare. Carlo Vittorio e Antonio ottennero la protezione imperiale, presentandosi quali «miseri avanzi di una famiglia sventurata», desiderosi di «vivere e morire all’esempio dei nostri antenati», da fedeli sudditi asburgici, potendo così accedere al feudo paterno. Croviana, tuttavia, si rivelò ben presto un’illusione: un patrimonio misero, risorse insufficienti e debiti cospicui. «È come se fossi morto al mondo, tale sono» (p. 136), confessò il primogenito del bigamo in una lettera, annotando comunque di continuare a sognare il padre che gli garantiva cura e protezione.

Marie morì a Croviana nel 1730 da contessa Thun, ma priva del riconoscimento ecclesiastico del matrimonio con l’amato Ferdinando Carlo. Il primogenito Carlo Vittorio si spense l’anno successivo, non prima di aver avviato una ricostruzione genealogica del casato, rispondendo verosimilmente al personale bisogno di collocare se stesso e la vicenda della propria famiglia all'interno di quella dei Thun.

Come risulta evidente da questa breve presentazione, la ricerca di Luzzi è accurata e avvincente e non conferisce alla tormentata vicenda biografica del conte Thun particolari caratteri di eccezionalità storiografica. Nell'intero volume la storica si dimostra particolarmente attenta al quadro politico europeo coevo, alla dimensione sociale dei personaggi e alle ricadute psicologiche dei loro percorsi biografici, chiarendo sempre al lettore le ipotesi di ricerca e le possibili risposte celate tra le pieghe della documentazione. Inoltre, le immagini dei luoghi dove si svolge il racconto consolidano la narrazione anche per i lettori non specialisti.

Da ultimo, l’autrice presenta alcuni importanti elementi di cultura materiale. Spiccano anzitutto il quaderno di stoffe e cera vergato per un triennio in prigione da Marie e custodito oggi negli archivi trentini dei Thun: un centinaio di pagine con spunti autobiografici, testi devozionali, preghiere dedicate ai figli e citazioni da opere di storia, che testimoniano la sua ottima formazione e la sua discreta sensibilità letteraria. In secondo luogo, emerge il ‘vero’ volto del conte Carlo Ferdinando che Serena Luzzi regala al lettore a conclusione del volume. Realizzato nel 1696 quando il conte ancora «pensava di poter trovare la soluzione capace di proteggere la sua famiglia e il suo mondo ribelle», seppur giunto a noi in copia novecentesca, il dipinto ritrae Ferdinando Carlo in veste di capocaccia alla corte di Salisburgo, con uno «sguardo più malinconico che determinato, che le due mogli dovevano avere amato», il quale non fa emergere la sua «faticosa doppia vita» (p. 151) così ben ricostruibile dalle carte di famiglia e dagli archivi parigini.

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