Reviewer Maurizio Cau - FBK-ISIG
CitationNegli anni l’interesse degli storici per il ruolo avuto dal cinema nello sviluppo sociale, culturale e politico delle comunità nazionali è cresciuto significativamente. Un importante contributo all’analisi della funzione propulsiva del cinema nelle società postbelliche viene dal volume curato da Lutz Klinkhammer e Clemens Zimmermann, che si concentra sulla comparazione tra il caso italiano e quello tedesco.
L’esame dei principali temi affrontati dalla produzione cinematografica del tempo, del suo grado di politicità e dell’immagine del passato che essa restituiva, consente di misurare il ruolo determinante che il cinema ha avuto nel discorso pubblico democratico postbellico (Clemens Zimmermann, Introduction: Cinema as a Political Medium – Germany and Italy Compared from 1945 to the 1950s). Il volume permette di evidenziare le traiettorie comuni e le differenze tra le due cinematografie nazionali, segnate dall’emersione di due generi – il neorealismo e il Trümmerfilm – dalle caratteristiche piuttosto diverse. Un esame attento del cosiddetto «film di rovine» tedesco sembra suggerire l’opportunità di rivalutare un genere che, pur non avendo avuto un peso commerciale significativo, svela elementi utili alla comprensione dell’orizzonte culturale tedesco post-nazista. Il tradizionale giudizio liquidatorio espresso sul Trümmerfilm dalla ricerca storica, mutuato dalle posizioni espresse all’inizio degli anni Sessanta dai rappresentanti del Nuovo Cinema Tedesco e dai firmatari del Manifesto di Oberhausen, merita oggi di essere rivisto. Ad uno sguardo più approfondito, film come In jenen Tagen, Berliner Ballade o Film ohne Titel rivelano un approccio assai meno apolitico di quanto si sia tradizionalmente pensato. Peraltro, il paesaggio cinematografico tedesco della ricostruzione, segnato da significativi limiti logistici e finanziari, è variegato e ambivalente; il suo studio non va circoscritto al film di rovine e può essere esaminato guardando in chiave comparata ai paralleli sviluppi del cinema neorealista (Bernhard Groß, Building Figurations of Contingent and Substantial Communities. Differences between Italian and German Post-war Cinema Aesthetics).
Parallelamente, gli studi sulla produzione cinematografica italiana del dopoguerra si sono nel tempo aperti a generi diversi dal neorealismo, lavorando su film meno rilevanti dal punto di vista estetico, ma decisivi nella costruzione dell’immaginario cinematografico della prima Italia repubblicana. Per una valutazione della funzione esercitata dal cinema nella veicolazione di precisi modelli culturali, i film di Mattoli o Freda sono in questo senso tanto rilevanti quanto i film di Rossellini e De Sica (Philip Cooke - Gianluca Fantoni, Where Do We Go from Here? The Moral and Material Reconstruction of Italian Cinema after World War II (1945–1955)).
Uno dei temi messi a fuoco dai contributi riguarda l’elaborazione del passato fascista e nazista promossa nelle due cinematografie. Nel cinema italiano postbellico il fascismo viene dipinto come un fenomeno sostanzialmente estraneo all’identità degli italiani, in un’azione di negazione del passato che ha evidenti relazioni con la mancata rielaborazione dell’esperienza autoritaria operata dalla società italiana negli anni della ricostruzione a guida democristiana. Tra il 1945 e la metà degli anni Cinquanta il cinema propone l'immagine di un'Italia fondamentalmente senza colpa e si dovettero attendere gli anni Sessanta per vedere sullo schermo racconti in cui i fascisti non venivano descritti come una componente residuale della società italiana (Maurizio Zinni,«Italians and not Italians». Fascism and National Identity in Post-war Italian Cinema). Un film emblematico dell’ambiguità con cui il cinema italiano ha guardato alla propria storia è L’ebreo errante di Goffredo Alessandrini, la cui estetica disarticolata, molto lontana da quella neorealista, è oggetto di un’analisi specifica (Robert S. C. Gordon, Production, Myth and Misprision in Early Holocaust Cinema. “L’ebreo errante” (Goffredo Alessandrini, 1948)). La progressiva scomparsa dagli schermi del racconto della Resistenza al nazifascismo è in questo senso interpretabile come una scelta funzionale al reinserimento degli ex-fascisti nella comunità nazionale.
In Germania la scena è dominata, in linea con quanto accadeva sui principali mercati internazionali, dal cinema di evasione, ma non mancarono film in cui venivano proposti riferimenti espliciti alla stagione nazista. È il caso di film come Morituri, di Artur Brauner, e Il processo, di Wilhelm Pabst, in cui il tema dell’Olocausto e dell’antisemitismo viene affrontato apertamente. Si tratta di lavori che fanno del cinema un’aula di tribunale in cui sottoporre a giudizio il passato tedesco (Daniel Jonah Wolpert, Bodies of Evidence, Burdens of Proof. Reason before the Court of Cinema after the Third Reich).
Un secondo livello di riflessione riguarda le immagini dell’altro condensate nei due orizzonti cinematografici. Se l’elemento italiano non appare con frequenza nel cinema tedesco del dopoguerra, i riferimenti al mondo germanico non mancano nei lavori dei registi italiani, rimasti a lungo legati a un’immagine ostile del «barbaro tedesco» e a una visione autoassolutoria del «bravo italiano» (D. Garofalo, Images of Germans in Post-war Italian Cinema). L’immagine dell’altro si apre al racconto della persecuzione ebraica e della tragedia dell’olocausto, oggetto di un’attenzione specifica da parte del racconto cinematografico. Si tratta di un elemento significativo, capace di ridefinire almeno in parte l’idea di un ritardato interesse del cinema per la drammatica esperienza dello sterminio.
In aderenza agli sviluppi più recenti degli studi sui media, il cinema non viene colto nella sua sola dimensione artistica. Uno spazio di rilevo è dato alle politiche produttive e distributive, come pure alle pratiche di censura che intervennero a vario titolo a regolare la creazione e la diffusione di prodotti cinematografici pensati non solo per intrattenere, ma – è il caso delle opere distribuite in entrambi i paesi nei circuiti cinematografici cattolici – per formare i nuovi cittadini (Claudia Dillmann, Film Policies and Cinema Audiences in Germany; Christian Kuchler, Politics, Moral and Cinema. Catholic Film Work in Post-war Germany). Di particolare interesse risulta da questo punto di vista il caso italiano, in cui le forze cattoliche spinsero per una politica di moralizzazione della società particolarmente attenta all’utilizzo del cinema come strumento di sensibilizzazione della mentalità e del costume (Lutz Klinkhammer, Popular and Catholic Cinema in Italy, 1944-1954. What Kind of Lessons about the Past Did the “Morally Sane” and Educating Film Communicate to Italian Audiences?).
Non meno stimolante risulta l’esame degli intrecci tra i due orizzonti cinematografici e dell’inserimento della critica cinematografica in reti culturali di respiro transnazionale, come avvenuto per le riviste «Cinema Nuovo» e Filmkritik (Lukas Schaefer, European Critical Film Culture. Italian and Western German Film Magazines in an International Context).
Il volume conferma in modo convincente l’efficacia di un approccio interdisciplinare e comparato allo studio del ruolo sociale, politico e culturale del cinema, di fatto uno dei più efficaci strumenti di produzione di immaginario che il Novecento abbia conosciuto.