V, 2022/1

Heinrich August Winkler

Deutungskämpfe

Review by: Fernando D'Aniello

Authors: Heinrich August Winkler
Title: Deutungskämpfe. Der Streit um die deutsche Geschichte
Place: München
Publisher: C.H. Beck
Year: 2021
ISBN: 9783406774058
URL: link to the title

Reviewer Fernando D'Aniello

Citation
F. D'Aniello, review of Heinrich August Winkler, Deutungskämpfe. Der Streit um die deutsche Geschichte, München, C.H. Beck, 2021, in: ARO, V, 2022, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2022/1/deutungskampfe-der-streit-um-die-deutsche-geschichte-fernando-daniello/

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Il decano degli storici tedeschi, Heinrich August Winkler, ha mandato in stampa una raccolta di alcuni suoi interventi dagli anni Sessanta sino ai nostri giorni. Il volume ha l’ambizioso titolo Deutungskämpfe. Der Streit um die deutsche Geschichte, vale a dire, più o meno: Controversie sull’interpretazione. La polemica sulla storia tedesca. Si tratta di un titolo programmatico che sembra suggerire come il motivo che ha spinto Winkler a pubblicare la raccolta sia la necessità (e la voglia) di riattualizzare questa diatriba, tanto tempo dopo l’Historikerstreit degli anni Ottanta, quando sembrano ormai lontane persino le polemiche accese a inizio anni Novanta dalla mostra itinerante sui crimini della Wehrmacht.

Il libro si rivela, quindi, una preziosa ‘macchina del tempo’ che ci riporta a dibattitti passati, permettendoci di ripercorrerli e di verificare anche come sia cambiata la società tedesca, che è tornata più volte, come i saggi di Winkler dimostrano, ad affrontare questioni che non possono mai dirsi davvero concluse.

Esemplare è il caso del Sonderweg, che ancora all’inizio degli anni Ottanta animò una nuova polemica tra gli storici. Ebbene, in uno dei saggi più recenti, apparso proprio pochi mesi fa sulla rivista «Merkur» (ad avviso di chi scrive una vera gemma, che meriterebbe una traduzione), Winkler, proprio perché la Germania non cessa mai di rielaborare il passato, se la prendeva con la storica Hedwig Richter, autrice di un libro sulla democrazia come deutsche Affäre e che sembra riabilitare e ‘normalizzare’ la storia della Prussia nel XIX secolo, in particolare tramite numerosi punti di contatto tra la storia costituzionale e istituzionale degli Stati Uniti e quella del Regno prussiano. Questa trattazione non offre spazio sufficiente ad approfondire le tesi di Richter e la critica di Winkler (e di altri storici). Tuttavia, ciò che proprio Winkler non può accettare è una sorta di parodia del Sonderweg realizzata a suo dire da Richter e da altri storici delle nuove generazioni e che, invece, rappresenta un architrave del lavoro dell’emerito della Humboldt. Il quale già in passato si è più volte scagliato contro il «riduzionismo» della storia tedesca come semplice specie del genere rappresentato dallo sviluppo capitalista comune a tutti i grandi paesi industrializzati. Un riduzionismo che all'epoca era riuscito nell’impresa di far lodare dalla parte più conservatrice degli storici tedeschi il giovane storico britannico, dichiaratamente marxista, che lo aveva promosso.

Se si sfoglia l’indice del libro e si fa riferimento ai contributi raccolti, ci si accorge quasi subito che uno dei temi più ricorrenti è il nazionalismo tedesco: quali origini ha avuto e, soprattutto, perché assunse quella forma del regime hitleriano, eccezionale e che non trova riscontri in altri paesi, persino nel fascismo italiano? Qual è il ruolo che l’antisemitismo ha svolto, al di là della mera propaganda, nella definizione della natura del partito nazionalsocialista? Qual è il contributo che la borghesia tedesca – compreso il Bildungsbürgertum – hanno avuto nella crisi della Repubblica di Weimar e quindi nell’avvento del nazionalsocialismo?

In estrema sintesi, la tesi di Winkler è che, se non si comprende il Sonderweg, non si capisce il nazionalsocialismo; e se non si capisce la vera natura e la genesi di quest’ultimo, non si può comprendere nemmeno la necessità del dibattitto costante per l’elaborazione del passato nella Repubblica Federale tedesca, negli anni Sessanta con i processi Eichman e Auschwitz, negli anni Settanta nel rapporto con la Repubblica Democratica tedesca, negli anni Ottanta proprio con lo Historikerstreit. I tentativi di ‘normalizzazione’ della storia tedesca – il senso della polemica con Ernst Nolte negli anni Ottanta era dato proprio dall’impossibilità secondo Winkler e altri di ridurre il nazionalsocialismo come semplice reazione al bolscevismo – suonano sempre problematici, proprio perché rischiano di smarrire la capacità di mettere a fuoco la straordinarietà del nazionalsocialismo che, proprio per il suo carattere eccezionale, non va confinata nell’accidente storico, quanto piuttosto spinge a una costante ricerca sulle ragioni nella società tedesca che possono spiegare quella trasformazione. Con le parole di Winkler: «Non vedere la particolarità dello sviluppo tedesco conduce in errore e, per quanto riguarda il 1933 e le sue conseguenze, alla ripresa, presumibilmente involontaria, della leggenda, apologetica per il nazionalismo, di Hitler come 'incidente di percorso' della storia tedesca» (p. 252, passo del citato saggio apparso su «Merkur»).

E, dunque, senza dover necessariamente condividere gli esiti della ricerca di Winkler sul lungo cammino verso Occidente come pure la scelta di adottare una categoria – certamente complessa – come Westen, il suo invito è quello ad una riflessione profonda (che includa almeno il fallimento del 1848 e del movimento democratico-borghese) e più ampia (ad esempio che indaghi le ragioni, insanabili, del conflitto tra comunisti e socialisti nella Repubblica di Weimar, sul quale Winkler ha offerto valutazioni interessantissime, come pure gli effetti della rivoluzione russa sulla storia della prima democrazia tedesca). Continuando con gli esempi: se non si riconosce la rilevanza della cesura rappresentata dalla guerra tra Prussia e Austria del 1866, difficilmente si coglie il senso dell’operazione ‘nazionale’ di Bismarck ma anche il senso delle proposte di uomini molto diversi, come Friedrich Naumann per una Mitteleuropa e quelle di Hans Kelsen e tanti austromarxisti per un Anschluss dell’Austria alla Germania; queste ultime intese anche nel senso di una riconnessione della questione nazionale a quella politico-sociale, vista la presenza al governo di entrambi i paesi di forze socialdemocratiche.

L’impostazione di Winkler sembra fruttuosa anche per un altro motivo. Si prenda la critica, che Winkler contesta, rivolta ad Habermas e ad altri esponenti dello Historikerstreit. La loro sarebbe una posizione moraleggiante, a proposito della quale si è parlato anche di «moralisierende Fanatiker». Habermas, in sostanza, non farebbe davvero ricerca storia ma pura ‘ideologia’. Quella cioè che usa determinati valori per leggere la storia recente tedesca e per preservare la leggenda di una ‘anormalità’ dei tedeschi. Qui Winkler rovescia l’accusa: non è Habermas a usare criteri morali, sono i suoi avversari che tentano, tra le tante cose, di «togliere dal banco degli imputati la borghesia tedesca».

Credo che questa impostazione sia utile anche nell’attuale polemica – in parte connessa all’elaborazione del passato – sul problema del colonialismo (di ieri) e del razzismo (di oggi). Perché l’accusa spesso rivolta a chi cerca di condurre la ricerca storica e l’analisi politica su quei temi è proprio quella di procedere per via ideologica e di impostare il lavoro a partire da categorie morali. Di voler ‘edulcorare’ la storia. In realtà, al contrario, il punto è esattamente l'opposto: mettere a fuoco la visuale e verificare – già in tanti hanno dato contributi di grande valore – perché mentre l’Occidente, per usare ancora una volta una parola cara a Winkler, proclamava l’uguaglianza e la libertà degli uomini, proseguiva politiche incompatibili con quei proclami.

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