Reviewer Umberto Cecchinato - Istituto Storico Italo Germanico | Fondazione Bruno Kessler
CitationAl giorno d’oggi, pochi storici dovrebbero considerare il Medioevo come un’epoca di ignoranza, superstizione e poca igiene. Ma la progressiva marginalizzazione della materia – almeno in Italia – rischia di rafforzare vecchi stereotipi ancora diffusi nell’immaginario comune, e una teoria che li veicola è ancora ampiamente adottata nonostante le critiche[1]. Policing the Urban Environment in Premodern Europe fa emergere un Medioevo più vicino alle sensibilità moderne di quanto sia comunemente immaginato. La società medievale affrontava alcuni problemi oggi all’ordine del giorno con attenzione pari – e in alcuni casi forse maggiore – a quella di società considerate più civilizzate. Già alla fine del XII secolo ampie parti della popolazione urbana europea avevano interiorizzato i precetti della tradizione medica greco-araba ed erano consapevoli che, per preservare la salute fisica e morale, era necessario controllare le influenze dell’ambiente circostante. Tale diffusa sensibilità favorì lo sviluppo di una sofisticata normativa atta a prevenire l’incidenza di epidemie, inondazioni e incendi, a preservare il decoro degli spazi urbani e a regolare le condizioni degli animali destinati al macello.
I dieci saggi della miscellanea – compresa l’introduzione – analizzano le leggi emanate in diverse città europee ruotando attorno a tre assunti generali: 1) che le leggi sulla sanità pubblica assimilavano i precetti medici tramandati dai Regimina sanitatis; 2) che la sensibilità verso l’igiene e il decoro associava principi medici e morali; 3) che l’applicazione, l’accettazione e il rifiuto delle regole nascevano sempre da un compromesso tra governanti e governati.
Le varie sezioni dialogano bene e si prestano a una lettura tematica. Il saggio di apertura (Weeda) si sofferma sugli ideali di urbanitas e di civitas espressi nella trattatistica degli encomia. Una città sana e pulita era specchio di una comunità gerarchicamente ordinata, dal comportamento pio e caritatevole, e viceversa. Le leggi emanate miravano alla realizzazione pratica di questi ideali. Corti e funzionari preposti alla loro applicazione non si limitavano alla loro imposizione dall’alto, ma mediavano continuamente con una comunità ricettiva e in parte collaborativa, agendo educativamente più che in modo punitivo. Per esempio, le corti leet dell’Inghilterra tardo-medievale – tribunali incaricati di sorvegliare la sanità pubblica – infliggevano soprattutto pene diffamanti al fine di sensibilizzare la popolazione tramite la vergogna (Rawcliffe). I funzionari addetti alla pulizia delle strade di città italiane come Bologna e Lucca lavoravano a stretto contatto con la popolazione, ne monitoravano i comportamenti e stabilivano quali azioni fossero dannose e dovessero essere punite (Gertner). La comunità svolgeva un ruolo attivo nell’applicazione delle regole, come dimostrano le denunce presentate quotidianamente ai tribunali delle città imperiali tedesche (Kinzelbach).
I provvedimenti erano molto sofisticati. Le città olandesi regolavano minuziosamente la vendita di cibo nei mercati. La macellazione degli animali avveniva sotto la supervisione degli ufficiali incaricati. Prima dell’uccisione si verificava l’assenza di noduli sulla pelle o sulla lingua dell’animale. Particolare attenzione era prestata all’equilibrio umorale, perché lo stato alterato avrebbe determinato la tossicità delle carni. Era proibito macellare la vacca che si fosse appena accoppiata, o il maialino in fase di svezzamento. Il toro doveva essere scaldato per evitare che il sangue corrotto irradiasse le carni, pertanto gli si aizzavano contro i cani (Coomans). A Dordrecht la preservazione del decoro cittadino andava di pari passo con la prevenzione delle calamità naturali. Nelle vie pavimentate era vietato il passaggio dei carri; il porto, soggetto a interramento, era ciclicamente fatto scavare per eliminare le acque ristagnanti; le case nelle vie strette erano munite di tetti in coppi per prevenire gli incendi, e non potevano essere costruite troppo vicino ai fiumi, per evitare che dei detriti ne ostruissero il corso provocando allagamenti (Naatgeboren).
Mantenere fluidi e puliti i flussi che rifornivano la città era importante anche per garantire la purezza dell’acqua, uno dei sei non-naturali di Galeno, sempre minacciata dalle industrie che facevano ampio uso delle correnti fluviali per la colorazione dei tessuti, la conciatura delle pelli e la macinazione del grano. Istituzioni come l’Œuvre de la commune clôture di Montpellier, fondata nel 1196, vigilavano sulla pulizia delle correnti e manutenevano le pompe che fornivano l’acqua a pozzi e fontane (Dubé-Dumas). Questi ultimi erano anche luoghi sociali: a Rouen ospitavano di consueto meretrici e lavandaie (Brenner).
Il libro è stimolante e ben curato. Invoglia a proseguire le ricerche in altre direzioni, per esempio approfondendo la regolamentazione del suono – trattata brevemente da Kinzelbach, pp. 252-253 – dato che rumori e musica 'irregolare’ erano considerati nocivi[2]. Oppure esplorando le connessioni tra le norme sanitari e quelle che colpivano il mondo della diversità e della ‘devianza’ – abitato da ebrei, bestemmiatori, giocatori di dadi, meretrici – che muovevano dalle stesse percezioni di contaminazione morale e fisica[3]. Anche il ‘lato oscuro’ delle policies ambientali potrebbe essere approfondito. Una regolamentazione minuziosa è difficile da rispettare e permette di fare cassa con l’applicazione di multe e gabelle. La mancanza di controllo sull’azione dei funzionari solleva dubbi sulla corruzione, che poteva essere favorita dall’usanza, nei Paesi Bassi, di non registrare le pene pecuniarie riscosse (Coomans, p. 132) o celarsi dietro ai «nihil inveni» con i quali terminavano la maggior parte delle ispezioni a Bologna (Geltner, p. 110). Ancora, le denunce quotidianamente sporte in area tedesca (Kinzelbach) potevano costituire rappresaglie legali tra nemici[4].
[1] N. Elias, Il processo di civilizzazione, Bologna, Il Mulino, 1982. In ambito storiografico, numerose critiche a questa impostazione sono state mosse da studiosi delle emozioni e della violenza. Due esempi tra molti sono, rispettivamente, B. Rosenwein, Worrying about Emotions in History, «American Historical Review», 107, 2002, pp. 821-845 e S. Carroll, Violence, Civil Society and European Civilization, in R. Anthony - S. Carroll - C. Dodds Pennock (edd.), The Cambridge World History of Violence, III: 1500-1800, Cambridge - New York, Cambridge University Press, 2020, pp. 660-678.
[2] Il tema è studiato più diffusamente per epoca più tarda da Jan-Friedrich Missfelder, Sound Politics. Sonic Agency and Social Order in Early Modern Zurich, in «Annali/Jahrbuch dell’Istituto Storico Italo-germanico in Trento», 45, 2019, 2, pp. 87-105.
[3] A. Bamji, The Control of the Space. Dealing with Diversity in Early Modern Venice, in «Italian Studies», 62, 2007, 2 pp. 175-188.
[4] Spesso le cause civili erano un modo di continuare i conflitti tra famiglie. Cfr. D. L. Smail, The Consumption of Justice. Emotions, Publicity, and Legal Culture, Ithaca NY, Cornell University Press, 2003.