Reviewer Angela De Benedictis - Università di Bologna
CitationTanto nel classico studio del grande storico Marino Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, pubblicato nel 1965, e poi in ristampa nel 1974 dallo stesso editore Einaudi, quanto nella riproposizione di una orazione cinquecentesca da parte dell’altro grande storico della letteratura e della cultura Carlo Dionisotti, prima nel 1945 (per le Edizioni di Storia e Letteratura) e poi di nuovo nel 1994 (per Adelphi), ovvero la Orazione ai nobili di Lucca di Giovanni Guidiccioni (1500-1541), un ruolo centrale aveva avuto la sollevazione cosiddetta «degli Straccioni», un evento durato complessivamente – nelle sue varie fasi – un anno intero, tra il maggio 1531 e l’aprile 1532.
Alla sollevazione degli Straccioni è ora dedicato il libro di Renzo Sabbatini, che facendo tesoro del libro di Berengo, nonché di un precedente studio di Giampiero Carocci, pubblicato nel 1951 nella «Rivista storica italiana», propone intenzionalmente e programmaticamente una interpretazione della sollevazione lucchese diversa da quelle di Carocci e di Berengo. Nella quarta pagina di copertina tale nuova lettura è così sintetizzata: «Sotto le insegne di un drappo nero, gli artigiani della seta rovesciano l’ordine costituito di Lucca: poteva essere una rivoluzione popolare, o la precoce affermazione del libero mercato. È stato il trionfo dell’economia morale».
In quindici capitoli è articolato il risultato della ricostruzione dell’autore, approfondita rispetto alle precedenti grazie all’accurata analisi di molteplici fonti primarie, che vengono specificamente presentate nel capitolo III (Tra cronaca, memoria e storia, pp. 29-40): cronache manoscritte conservate nella Biblioteca statale, nell’Archivio di Stato e negli archivi gentilizi; resoconti ufficiali del Consiglio generale che rievocano l’anno della sollevazione anche a distanza di secoli; registri delle deliberazioni degli Anziani, delle riformagioni del Consiglio generale, degli Atti della Corte dei Mercanti; documenti conservati nell’Archivo General de Simancas; trascrizioni di eruditi settecenteschi.
Fin dal capitolo I, Per chi suona la campana (pp. 7-18), Sabbatini sottolinea come quella della sollevazione sia tanto «una storia da raccontare al presente, una storia che ancora ci interpella, quella che tiene la piccola Repubblica di Lucca sull’orlo dell’abisso per un intero anno» (p. 7), quanto una «vicenda affascinante» per la ricchezza dei temi. Tumulti e lotta politica «mostrano un intreccio di rivendicazioni corporative e salariali, di proteste per il caro viveri … di richieste di rappresentanza politica, di dissidi interni alla nobiltà, di violenza private, di bisogno di giustizia e di pace sociale, di preoccupazioni per gli equilibri internazionali» (ibidem).
Nel capitolo II, Cantar maggio con armi e drappo nero: scene da una sollevazione popolare (pp. 19-28), l’autore ricostruisce – soprattutto sulla scorta del cronista coevo Giuseppe Civitali – l’andamento degli eventi a partire dall’avvio della sollevazione con una folta riunione di tessitori e altri artigiani della seta non tanto nella sede della loro Scuola, quanto piuttosto nella chiesa di San Francesco, dove avevano un altare dedicato (p. 20).
Nel capitolo III, cui si è già accennato sopra per la presentazione delle fonti utilizzate (Tra cronaca, memoria e storia, pp. 29-40), una particolare attenzione è dedicata al lessico utilizzato nelle fonti coeve e successive per designare l’evento e i protagonisti della parte dei tessitori e artigiani della seta: «sediziosi» questi ultimi; «tumulti», «contumace ribellione», «revolutione» il primo. Con una osservazione finale al riguardo: «Sollevazione, sedizione, tumulto, romore: la vicenda degli Straccioni diventa rivolta nella storiografia novecentesca, a far data dal saggio del 1951 di Giampiero Carocci» (p. 38)
Nel capitolo IV, La seta: produzione locale e mercato "globale" (pp. 41-47), da raffinato ed esperto storico economico quale è, Sabbatini ipotizza prudentemente – in mancanza di dati certi – il numero di tremila telai e di circa seimila persone impegnate nell’attività della tessitura su un complesso di circa diciottomila abitanti di Lucca, per una produzione che per il 90% era venduta sul mercato europeo, nelle fiere di Lione, Bruges, Anversa e anche sulle piazze di Bolzano, Norimberga e Cracovia.
Nel capitolo V è attentamente ricostruita la fondamentale importanza de Gli equilibri internazionali: la Repubblica tra Francia e Impero (pp. 48-56); e nel successivo capitolo VI La struttura istituzionale: famiglie e corporazioni (pp. 57-62), altrettanto decisiva per la storia della sollevazione.
Nel capitolo VII, Una comunità in subbuglio e un’aristocrazia alla prova (pp. 63-75), questione centrale è quella dell'estrazione sociale dei diversi protagonisti della sollevazione, del rapporto tra governo aristocratico e governo popolare a Lucca, dell'identità e della natura del «volgo» e della «plebe», anche in base alle modalità di presentazione delle loro richieste tramite suppliche, della presenza e del ruolo delle donne, delle aspirazioni e rivendicazioni di libertà in entrambe le parti in gioco.
A questo ultimo fondamentale problema è specificamente dedicato il capitolo VIII, «Perché si conservi la dolce libertà»: le riforme istituzionali (pp. 76-83), naturalmente con una ripresa del tema del confronto/scontro tra governo aristocratico e governo popolare in città; mentre dell’apporto degli abitanti del contado richiesto da cittadini lucchiesi per sedare la sollevazione tratta il capitolo IX, Il soccorso del contado: «In Lucca va sottosopra il mondo» (pp. 84-89).
Sulla centralità del ruolo di Carlo V per la storia di Lucca, e specificamente della sollevazione, si concentra il capitolo XI, L’occhio, l’orecchio, il braccio e l’ombra dell’Imperatore (pp. 101-113), grazie a una attenta osservazione delle azioni dei diversi rappresentanti imperiali, nonché della figura di Andrea Doria.
A Lo scontro finale e la repressione è dedicato il capitolo XII (pp. 114-125), a partire dalla riunione straordinaria nel Palazzo dei Signori del 9 aprile 1532, cui parteciparono più di millecinquecento uomini, preti compresi, per esprimere il loro parere sul da farsi affinché Lucca rimanesse nella sua libertà. Da qui, nei giorni e nel periodo successivo, l’indagine per individuare, catturare e processare i maggiori responsabili della sollevazione, le condanne a morte con confisca dei beni e esecuzioni capitali, le condanne a morte in contumacia, le condanne all’esilio perpetuo.
Su questo torna anche il capitolo XIII, La versione dei vincitori e la "comprensione" di Carlo V (pp. 126-134), che si conclude con la diretta presenza dell’imperatore in città, il 6 maggio 1532; con il tentativo, per l’occasione, da parte di alcuni fuorusciti di cercare l’appoggio di Carlo, sulla base della rivendicazione di avere agito a favore della libertà cittadina contro i soprusi nobiliari; con l’istituzione di una apposita deputazione di cittadini da parte del Consiglio, che però attestava la correttezza delle procedure seguite per il processo agli inquisiti e per l’irrogazione delle pene; e con il comando del Granvelle, a nome dell’imperatore, come riportato da una fonte, «che fosse fatto intendere a quella canaglia che non li comparissero più in corte, e che se ne andassero in malora, e non se gli accostassero più alla corte a cento miglia, come seguì. E mai più si sentì parlare di loro» (p. 134).
Il XIV e penultimo capitolo «In questa oscura notte della Repubblica»: l’invettiva di Giovanni Guidiccioni (pp. 135-146) consiste di una attenta rilettura della Orazione ai nobili di Lucca, sulla scorta della edizione di Carlo Dionisotti del 1945, nella intenzione di seguire «passo passo gli snodi dell’articolato pensiero del monsignore», che «ci consente ora di leggere la sua Orazione in maniera meno semplicista di quanto sia stato in genere fatto» (p. 145).
Non vi è dubbio alcuno che Renzo Sabbatini abbia letto la Orazione di Guidiccioni in modo più attento di quanto sia stato generalmente fatto dopo Dionisotti. Ma è proprio questa opportuna e corretta rivendicazione che consente ora, a chi legge il libro di Sabbatini, di avanzare qualche osservazione su ciò che Sabbatini non ha visto a proposito della sollevazione degli Straccioni.
Una prima spia può essere fornita proprio dalla Premessa di Dionisotti alla edizione Adephi del 1994, dove degli Straccioni si annota come fosse stata una «variante cinquecentesca … della fiorentina rivolta dei Ciompi» (p. 9), nonché dalla Introduzione del 1944 riportata nella stessa ultima edizione del 1994 (pp. 21-75), nella quale una marcata attenzione è rivolta all’opera dei giurista lucchese Enrico Boccella, autore di quel Dialogus cui titulus est Religio, stampato a Lucca nel 1539 (quindi ben prima della stampa della Orazione di Guidiccioni, del 1557, ma che si sa composta a ridosso della conclusione della sollevazione lucchese)[1].
È una spia che si può seguire proprio in quanto lo stesso Renzo Sabbatini accenna al testo di Boccella, e ne legge un breve passo, nel capitolo XIV dedicato a Giovanni Guidiccioni (p. 136).
Poiché, fortunatamente, la ormai avanzata digitalizzazione di stampe antiche consente a chi ne sia interessato di leggere online (e scaricare) molte di tali stampe, la lettura diretta del Dialogus di Boccella[2], sulla scorta delle indicazioni di Dionisotti, permette di comprendere ciò che già allora, al tempo degli Straccioni, si intendesse per «sedizione». Nel ripercorrere attentamente vicende di cui era stato diretto testimone, a partire dal ruolo avuto da Guidiccioni, Boccella scriveva che coloro che avevano suscitato il tumulto ed erano poi stati autori della sedizione si erano macchiati del crimine di lesa maestà, solitamente punito con la pena capitale[3].
D’altra parte, lo storico contemporaneo che si occupa di sollevazioni, tumulti, sedizioni, ha a disposizione ormai da non pochi decenni un altro classico della storiografia, indispensabile per comprendere anche – per quanto non solo, certamente – il lessico cui Sabbatini fa riferimento. Si tratta del libro di Mario Sbriccoli, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna (1974), nel quale – elemento di particolare interesse per Sabbatini – alcune pagine sono specificamente dedicate alle «ragioni dell’economia» nelle sedizioni[4].
E, oltre Sbriccoli, la storiografia anche non giuridica quanto meno degli ultimi decenni ha ripetutamente riflettuto, a livello comparativo e transepocale, su problemi che Sabbatini ha trattato esclusivamente in relazione a Lucca. Si pensi alla questione di petizioni e gravamina anche in relazione a rivolte (con i seminari organizzati da Cecilia Nubola e Andreas Würgler, i cui risultati sono stati pubblicati tra il 2002 e il 2007); a come il grido di «Libertà» avesse caratterizzato sollevazioni e tumulti in città italiane ed europee (oltre il tumulto dei Ciompi) nel tardo medioevo[5], e poi anche oltre, nell’Italia secentesca[6].
Molto altro si potrebbe aggiungere, per dire che la sollevazione degli Straccioni, così bene e approfonditamente analizzata per quanto riguarda la storia di Lucca da Renzo Sabbatini, avrebbe potuto stimolare molto più intensamente la nostra riflessione, oggi, se fosse stata inserita in una più ampia visione di analoghe – per quanto diverse – sollevazioni prima e dopo quella lucchese. Per riprendere alcune parole dell’ultimo XV capitolo del libro, Dopo gli straccioni: la lezione dell’economia morale (pp. 147-152), «i problemi, le istanze, gli avvenimenti, i comportamenti dei vari protagonisti, gli esiti della sollevazione» avrebbero più efficacemente continuato a «rappresentare motivi di riflessione» più generali, oltre il caso di studio locale (p. 152); e avrebbero sollecitato ulteriori riflessioni anche per l’oggi.
[1] G. Guidiccioni, Orazione ai nobili di Lucca, a cura di C. Dionisotti, Milano, Adelphi, 1994, pp. 59-67 e nota 34, pp. 96-98.
[2]https://books.google.it/books?id=nAvG8Baf6O4C&printsec=frontcover&source=gbs_atb&redir_esc=y#v=onepage&q&f=false (digitalizzazione dell’esemplare conservato presso la Biblioteca Casanatense), consultato il 28.07.2021.
[3] Unicamente a ragione della peculiare numerazione delle pagine nella stampa del 1539, indico qui che quanto sopra riportato si può leggere nelle immagini 46-47 della digitalizzazione (oltre che ripetuto in altre successive, sulle quali però per motivi di spazio non ci si può soffermare).
[4] M. Sbriccoli, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, Milano, Giuffrè, 1974, pp. 316-318 (ma, più in generale, soprattutto le pp. 255-331).
[5] Penso soprattutto, per quanto non solo, a S.K. Cohn, Lust for Liberty. The Politics of Social Revolt in Medieval Europe, 1200-1425: Italy, France and Flanders, Cambridge MA, Harvard University Press, 2006.
[6] E qui, quantomeno per il solo titolo, il pensiero va a R. Villari, Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero, 1585-1648, Milano, Mondadori, 2012.