Reviewer Camilla Tenaglia - Isig- FBK
CitationIl mito della cattolicità è uno dei più diffusi sul carattere dell’italianità e si è incarnato nel tempo nella città di Roma. Esso ha vissuto uno dei momenti di apice grazie all’attenzione fascista al passato romano, sia a quello imperiale sia a quello cattolico. Proprio il rapporto tra nazione e religione nell’Italia fascista è uno dei fulcri dell’opera di Renato Moro. L’analisi dell’autore non si limita però solamente a tale aspetto della questione, ma analizza anche l’altra faccia della medaglia, ossia la sacralizzazione e l’elevazione religiosa dell’ideologia fascista, solo in parte in contraddizione con il cattolicesimo. Con questo volume l’autore intende fornire una versione completa e organica di ricerche che lo hanno impegnato per lungo tempo e che hanno portato a precedenti riflessioni convegnistiche e pubblicazioni. Ne emerge un lavoro composito, che tratta il mito dell’Italia cattolica in maniera approfondita.
Premessa necessaria è l’approfondimento storiografico del rapporto tra fascismo e cattolicesimo, nonché l’auspicio di una svolta culturale nella storia del cattolicesimo italiano, cui segue una panoramica di lungo periodo che analizza l’avvicinamento cattolico alla patria, ossia la contrapposizione tra religione e religione civile, prepotentemente emersa a seguito della Rivoluzione francese.
Il processo di incorporamento della tradizione cattolica nella religione politica fascista era stato di lungo corso, anche se nessuno dei due fronti coinvolti fece per molto tempo riferimento alla religione come carattere fondamentale dell’identità nazionale italiana. Specialmente nel periodo di consolidamento della dittatura dopo il 1926, i cattolici avevano mosso critiche alla natura «pagana» della statolatria tipica del fascismo.
La sottoscrizione dei Patti lateranensi l’11 febbraio 1929 rappresentò un importante momento di cesura nel rapporto tra regime e Chiesa cattolica, avendo definitivamente fatto cadere i presupposti dell’intransigentismo antistatale. Quegli accordi avevano, come sostenne pochi giorni dopo Pio XI, «ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio» e quindi la religione poteva assumere finalmente un carattere centrale nella definizione dell’italianità (p. 134). A questa narrazione parteciparono allora entrambe le parti con grandi proclami di una ritrovata unità. In realtà i rapporti tra regime e Chiesa cattolica rimasero molto complicati, soprattutto per i dissidi in tema di educazione dei giovani, sulla quale il regime pretendeva un controllo assoluto. Gli scontri con l’Azione cattolica continuarono infatti a riproporsi in tutta Italia anche a successivamente al Concordato.
Questi dissidi, che avrebbero potuto mettere in discussione definitivamente il rapporto tra regime e Santa Sede, vennero risolti con gli accordi del settembre 1931, attraverso i quali alle organizzazioni cattoliche venne permesso di continuare con le proprie attività purché non sconfinassero nel piano politico. Nonostante questa soluzione avesse fatto cadere l’illusione della «cattolicizzazione del fascismo», come l’aveva definita don Luigi Sturzo (p. 174), il mito dell’epoca concordataria era rimasto sostanzialmente integro. Ciò avvenne anche grazie alla promozione patriottica attuata dall’Azione cattolica nel tentativo di provare il proprio lealismo.
All’inizio degli anni Trenta il sodalizio tra fascismo e cattolicesimo dovette confrontarsi con un panorama internazionale che favoriva ulteriormente il consolidamento del mito dell’Italia cattolica. I capitoli VII e VIII sono infatti dedicati all’interpretazione del nazionalsocialismo tedesco come paganesimo e all’attribuzione di caratteri simili anche a un grande nemico del cattolicesimo contemporaneo: il comunismo sovietico. Moro indica inoltre la politica imperiale fascista, in particolare in Etiopia, e lo scoppio della guerra civile spagnola come momenti cruciali a livello internazionale che contribuirono all’avvicinamento della «nazione cattolica» a quella «fascista» (p. 268).
Le difficoltà nei rapporti tra cattolicesimo e fascismo tornarono però a farsi notare nella seconda metà degli anni Trenta. Secondo l’autore le motivazioni di questa nuova contrazione sono da imputarsi principalmente a una condizione religiosa in costante declino. Il capitolo XI è quindi dedicato alla percezione della situazione da parte cattolica e alle attività a favore della moralità sostenute dall’Azione cattolica, tesa tra il sostegno al regime e la necessità di riaffermare i principi religiosi dei quali era portatrice. Allo stesso tempo però l’avvicinamento del regime alla Germania nazista e l’affermarsi dei regimi totalitari, compreso quello comunista in Russia, furono determinanti nel portare alla ricerca di una coscienza sociale religiosa, che sollevava dubbi anche sui benefici concordatari per il cattolicesimo in Italia.
Il regime era riuscito a riappacificare Stato e Chiesa con gli accordi del Laterano e aveva così alimentato il mito dell’Italia cattolica. Allo stesso tempo il cattolicesimo aveva definitivamente assunto una posizione fondamentale nel patriottismo italiano, tanto che anche dopo la caduta del fascismo, proprio il carattere cattolico fu al centro del nuovo ordine politico.
Attraverso un'approfondita analisi del dibattito pubblico, pur mantenendo sempre l’attenzione al contesto sociale e politico europeo, Moro traccia una parabola convincente del rapporto tra fascismo e cattolicesimo, in cui la posizione dei cattolici rispetto al regime emerge come molto più complessa di quanto generalmente non sia stata descritta. Il mito dell’Italia cattolica risulta quindi un efficace strumento per leggere il Ventennio ma anche i primi anni della Repubblica.