Reviewer Laura Di Fabio - Università di Tor Vergata
CitationNon è un caso che Felix Bohr abbia deciso di aprire il suo volume con il drammatico eccidio delle Fosse Ardeatine di Roma, luogo simbolo ed evento periodizzante nella memoria collettiva dei crimini di guerra delle truppe tedesche nell’Italia occupata dal nazionalsocialismo. Il libro è un’attenta disamina della rete di sostegno ai criminali di guerra tedeschi nella Repubblica Federale tedesca al termine del secondo conflitto mondiale e per i decenni successivi. L’autore si concentra, in particolare, sull’atteggiamento del governo, delle Chiese e di ex camerati nei confronti dei cosiddetti «quattro di Breda» (Franz Fischer, Ferdinand aus der Fünten, Willy Lages e Joseph Kotalla) – responsabili della deportazione di centinaia di migliaia di ebrei dai Paesi Bassi ai campi di sterminio tedeschi e polacchi – e del comandante della Gestapo a Roma Herbert Kappler. Molto scalpore destò la fuga di quest'ultimo dall’ospedale del Celio di Roma nel 1977, che aprì una crisi bilaterale senza precedenti tra l’Italia e la Germania Federale, gettando nell’imbarazzo le autorità italiane per non aver saputo piantonare uno dei più temibili criminali di guerra tedeschi detenuti in Italia. È lecito pensare a una rete di copertura dei servizi segreti nella rocambolesca fuga di Kappler, ma la questione centrale alla base del lavoro di Bohr si focalizza in particolare sull’aspetto politico della vicenda e sull’influenza concreta che una rete di attori istituzionali (e non) di diversa provenienza ha esercitato nei governi federali tedeschi, da quello cristiano-conservatore di Konrad Adenuaer fino a quello socialdemocratico di Willy Brandt.
La ricostruzione fa emergere le contraddizioni dei governi democratici di fronte ai propri passati dittatoriali. L’agenda politica della rete di sostegno ai criminali di guerra nazisti, nel corso dei decenni, ha influenzato gli uffici, i ministeri e perfino le ambasciate a Bonn, le quali ricevevano quotidianamente petizioni, lettere di protesta e richieste di rilascio dei colpevoli. L’autore racconta di azioni efficaci anche dal punto di vista mediatico, tra le quali le raccolte firme, le campagne di volantinaggio e addirittura gli scioperi della fame. Forme di pressione, queste, che influenzarono le azioni del governo nel suo impegno per la liberazione dei «Quattro di Breda» e di Kappler. Anche le Chiese tedesche giocarono un ruolo non marginale in queste vicende e l'autore problematizza la questione, provando a esplorare il labile confine tra una missione pastorale motivata da uno spirito cristiano dettato dalla misericordia e dal perdono e un’azione politicamente motivata.
La tesi di fondo dell’autore tende a sfatare il mito di una Erfolgsgeschichte – una storia di successo – della Germania Federale rispetto alla memoria del suo passato nazista e pone in risalto le ombre e le criticità nel processo di elaborazione, accettazione e di superamento della colpa (Vergangenheitsbewältigung) da parte del popolo tedesco. La storia del sostegno dei criminali di guerra nazisti non può tuttavia essere considerata solo come una storia tedesca e porta a riflettere, invece, sul suo carattere transnazionale. Nonostante la prospettiva resti (forse troppo) germanocentrica, la storia dei crimini nazisti viene qui intesa come una storia europea. Bohr, oltre a raccontarci le vicende di alcuni tra i più famosi criminali di guerra nazisti, ha inteso ricostruire le relazioni politiche tra i governi italiano, tedesco e olandese nel loro contesto storico, culturale e giudiziario. La rete transnazionale di sostegno ai criminali nazisti tedeschi getta così nuova luce sulle relazioni internazionali rispetto a temi conflittuali che investono la memoria pubblica di ogni paese in maniera peculiare. Un aspetto, questo, che l’autore riesce a far emergere nella narrazione grazie a un ampio utilizzo di fonti a stampa coeve. Il volume presenta una struttura solida e la suddivisione dei capitoli permette di orientarsi cronologicamente attraverso delle cesure periodizzanti della storia tedesca legate a queste vicende (una su tutte, il processo ad Adolf Eichmann, svoltosi a Gerusalemme nel 1961). Alla base della ricerca vi è stato uno scavo archivistico e bibliografico davvero meritevole. L’autore ha consultato fonti in diversi archivi, tra i quali l’Archivio Federale di Coblenza, gli archivi dei Ministeri esteri tedesco e italiano e l’Archivio storico del Tribunale Militare di Roma.
Nella sua ricostruzione, l’autore affronta il caso italiano, dove «i processi per crimini di guerra sono rimasti una rarità» e molti dei responsabili di crimini efferati sono rimasti impuniti, vivendo il resto dei propri giorni da uomini liberi (si pensi, ad esempio, ai generali Mario Roatta, Mario Robotti o Emilio Grazioli).
Benché siano state pubblicate negli ultimi anni in Italia opere importanti sulla memoria del periodo fascista e sul trattamento dei criminali di guerra italiani (ad esempio i contributi di Davide Conti, Filippo Focardi, Eric Gobetti Amedeo Osti Guerrazzi[1]), sarebbero auspicabili più diffuse trattazioni transnazionali di questo tipo – in grado di analizzare l’aspetto di opportunità politica e del peso della storia nelle relazioni internazionali.
In Italia il nodo storiografico della continuità dello Stato ha costituito l'oggetto di ampie indagini negli ultimi anni, come anche il trattamento dei criminali fascisti italiani e delle loro nefandezze – in particolare nei Paesi occupati e colonizzati dal fascismo. Pregevoli fino a oggi sono stati i lavori dedicati alla «guerra ai civili» da parte dei fascisti, alla repressione delle popolazioni nei Paesi occupati e al conseguente trattamento dei criminali di guerra in Italia nel secondo dopoguerra. L’eredità dei lavori di Enzo Collotti, Angelo Del Boca, Nicola Labanca[2] ha rivoluzionato l’approccio storiografico a queste vicende; tuttavia il nodo dei crimini (e dei criminali) italiani durante il fascismo continua a rappresentare un tema tabù, con uno spazio mediatico dedicato ancora troppo circoscritto. Non incoraggia, infatti, il clima revisionista che continua a permeare la politica e diversi settori dell’opinione pubblica, con la costante rimozione dei crimini (e dei criminali) fascisti dal dibattito pubblico del Paese.
[1] D. Conti, Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana, Torino, Einaudi, 2017; F. Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della Seconda guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 2013; E. Gobetti, Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Roma-Bari, Laterza, 2013; A. Osti Guerrazzi, Gli specialisti dell’odio. Delazioni, arresti, deportazioni di ebrei italiani, Firenze, Giuntina, 2021.
[2] E. Collotti, Fascismo e antifascismo. Rimozioni, revisioni, negazioni, Roma-Bari, Laterza, 2000; A. Del Boca, Italiani brava gente? Un mito duro a morire, Vicenza, Neri Pozza, 2011; N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2007.