IV, 2021/2

Massimo L. Salvadori

Giolitti

Review by: Luigi Giorgi

Authors: Massimo L. Salvadori
Title: Giolitti. Un leader controverso
Place: Roma
Publisher: Donzelli
Year: 2020
ISBN: 9788855220989
URL: link to the title

Reviewer Luigi Giorgi - Istituto Luigi Sturzo

Citation
L. Giorgi, review of Massimo L. Salvadori, Giolitti. Un leader controverso, Roma, Donzelli, 2020, in: ARO, IV, 2021, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2021/2/giolitti-un-leader-controverso-luigi-giorgi/

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L’ultimo libro di Massimo Salvadori ha un titolo esplicativo di un problema ampio e parzialmente attuale, cioè l’esercizio della leadership in politica e i problemi che ciò comporta. Non esiste infatti una attività di e da leader che non lasci, nel suo svolgersi, e per giunta in più campi, scontenti, avversari, critici. Naturalmente tale affermazione è da intendersi nell’ambito democratico e delle libertà fondamentali.

Il ritratto che Salvadori traccia di Giovanni Giolitti, più volte presidente del Consiglio dell’Italia liberale, si muove sostanzialmente su questa linea, nella prospettiva delle difficoltà di gestione introdotte non solo da una leadership individuale, ma dal complesso di una classe dirigente che si trovò a costruire l’Italia. Al di là del motto di D’Azeglio, non pochi erano i problemi in atto e in potenza. Primo fra tutti la necessità di creare cittadinanza di fronte al crescere del protagonismo delle cosiddette masse, delle esigenze popolari di una società fondamentalmente agricola ma che si muoveva verso una prospettiva industriale. Fenomeno che portò, quasi naturalmente, allo stratificarsi fra le maglie sociali, che si allargavano sempre più, di una sorta di coscienza di classe fra i lavoratori. Questo accadde in un movimento non omogeneo, che anche al proprio interno scontava divisioni, lacerazioni e problemi.

La leadership giolittiana non riuscì a livellare (o forse non volle), pur nell’inclusione, frastagliata, del popolo nei meccanismi di partecipazione democratica, le sperequazioni presenti fra i ceti sociali e sui territori, soprattutto fra nord e sud. Oltretutto operò, anche nella sua stagione più 'aperturista' e socialmente qualificata, attraverso la costruzione di una fitta trama di rapporti elettorali, poggiata su funzionari dello Stato e costruita nelle pieghe della macchina dell’amministrazione territoriale. Quest'ultima diventò un architrave di pratica spicciola e di consenso. Egli si definì più volte sia conservatore sia progressista allo stesso tempo: «conservatore perché difensore della istituzioni politiche ed economico-sociali esistenti; progressista e riformatore perché, guardando con realismo e apertura alle rapide trasformazioni della società e dell’economia contemporanee e alle loro implicazioni, pensava che primario problema da affrontare fosse quella che non si stancò di definire l’'irresistibile' ascesa delle masse lavoratrici il cui nucleo dinamico era costituto dagli operai delle fabbriche moderne, prendendo atto che la sua amata democrazia rurale di piccoli proprietari non poteva più costituire il fondamento di una società nella quale il capitalismo industriale e finanziario rappresentava il nucleo propulsore» (pp. 16-17)

Un quadro in chiaroscuro sia politico sia economico-sociale, quello che Salvadori propone, che Giolitti provò a compensare, non solo in modo interessato, ma per una sostanziale convinzione strutturale, con l’apertura dei processi decisionali ed elettorali a una più ampia partecipazione.

Questo di fatto non riuscì, perché non fu sufficiente. Vi era un difetto di lettura, soprattutto dopo la guerra di Libia. L’Italia che si muoveva e che cresceva produttivamente, mantenendo tare difficilmente estirpabili, non ritenne soddisfacente l’azione dello statista di Dronero. Il tentativo di nazionalizzare le masse non riuscì. Giolitti, ricorda l’autore, non fu in grado di sostenere e padroneggiare: «in anni che videro acuirsi fortemente le agitazioni politiche e gli scioperi, l’urto alimentato congiuntamente dall’emergente presenza del Partito socialista delle correnti antiriformistiche, del cattolicesimo di uno Sturzo deciso ad agire in diretto contrasto al sistema giolittiano, delle tendenze aggressive degli imprenditori di fronte al movimento operaio e dei nazionalisti orientati in senso autoritario e imperialistico» (p. 45).

Dopo la Prima guerra mondiale, che lo vide contrario, e che gli costò, scrive Salvadori, una sorta di 'esilio in patria', egli tornò al potere in un paese strutturalmente modificato e in continua mobilitazione: «La democrazia, che Giolitti aveva creduto potesse stingere le parti sociali e politiche in un patto di solidarietà, si rivelò un elemento di scatenamento delle contrapposizioni. Da allora in poi tutti i fattori in gioco si posero contro il piano giolittiano di rinascita nazionale» (p. 53).

Di fatto, come scrisse Gabriele De Rosa, Giolitti vedeva i fascisti ma non il fascismo. Ma con lui altri di una classe dirigente che per una difficoltà generale di 'postura' nei confronti delle masse che ormai reclamavano una più diretta partecipazione, e anche della democrazia come l’avevano conosciuta, non riuscì a trovare rimedi alla violenza fascista e a quella che in generale imperversava nel paese. Pensava che una benevola captatio dei fascisti ne avrebbe depotenziato la carica eversiva e sovversiva. Di questo, scrive l’autore, non si accorsero, fondamentalmente, tranne alcune eccezioni, neppure le altre correnti culturali e politiche del paese. Quasi tutti giudicarono il movimento mussoliniano come transitorio.

Interessante il capitolo nel quale Salvadori indaga la figura di Giolitti attraverso confronti a due con altri leader. Gioliti vs Sturzo, Salvemini, Togliatti, Turati, Albertini, ecc.: quasi a indicare come fattore determinante delle fortune o delle sfortune generali di una stagione politica la capacità di intessere relazioni anche personali, oltre che riflessioni e compatibilità complessive.

Salvadori ci conduce dentro un tema generale: la gestione del potere, con i suoi limiti e pregi, di fronte a una società che muta. Innanzitutto, nella sua pratica amministrativa e di consenso, in seguito di fronte alla complessità di un cambiamento che si struttura economicamente, socialmente e politicamente. E i tentativi di compensarlo, il più possibile, o meno, laddove crei differenze e sperequazioni.

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