IV, 2021/1

Randolph C. Head

Making Archives in Early Modern Europe

Review by: Rossella Ioppi

Authors: Randolph C. Head
Title: Making Archives in Early Modern Europe. Proof, Information, and Political Record-Keeping, 1400-1700
Place: Cambridge
Publisher: Cambridge University Press
Year: 2019
ISBN: 9781108473781
URL: link to the title

Reviewer Rossella Ioppi - FBK-ISIG

Citation
R. Ioppi, review of Randolph C. Head, Making Archives in Early Modern Europe. Proof, Information, and Political Record-Keeping, 1400-1700, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, in: ARO, IV, 2021, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2021/1/making-archives-in-early-modern-europe-rossella-ioppi/

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Il volume di Randolph Conrad Head, professore presso il Dipartimento di Storia dell’Università della California (Riverside), si inserisce, nella storiografia attuale, all’interno di quel filone di studi di History of Archives, che negli ultimi decenni ha visto una progressiva maturazione fornendo nuovi approcci concettuali agli archivi.

Con il nuovo libro, pubblicato dalla Cambridge University Press, l’autore si prefigge lo scopo di esplorare, da una prospettiva comparativa e con un approccio storico, le pratiche di conservazione e di inventariazione della documentazione degli archivi delle cancellerie dell’Europa occidentale e centrale in età premoderna, quando il generalizzato fenomeno dell’incremento esponenziale della documentazione scritta comportò l’emergere di nuove modalità di gestione degli archivi.

Centrale nell’opera è il tema del rapporto tra «probative objects and informational records» (p. 132). La narrazione ripercorre le modalità di organizzazione dei documenti tra XV e XVIII secolo: dalla conservazione delle scritture ad perpetuam rei memoriam in «tesori nascosti», sino alla classificazione delle informazioni, conservate principalmente  «according to its place in the transaction of political business» (p. XII).

La ragione dell’originalità del volume è duplice: per la scelta degli archivi oggetto d’indagine – quelli appunto delle cancellerie politico-amministrative delle autorità sovrane e dei centri urbani –, nonché per l’utilizzo, quali fonti principali della ricerca, non tanto della documentazione come tale, ma dei registri e degli strumenti di descrizione degli archivi (indici, repertori, inventari) – quelli che con una fortunata espressione sono stati altresì definiti «piccoli strumenti del sapere»[1] – elaborati in seno alle cancellerie per raccogliere, organizzare, ordinare quantità crescenti di informazioni e conoscenze. Tale scelta metodologica all’apparenza alquanto circoscritta è comunque bilanciata da un ampio quadro comparativo e cronologico.

Entrando più nel dettaglio, i primi due capitoli, di carattere introduttivo, forniscono chiarimenti su alcuni termini, ampiamente utilizzati nel testo, che necessitano di una definizione preliminare per spiegarne il significato assunto nel contesto di diverse discipline, oppure per risolvere eventuali ambiguità che possono insorgere nel momento in cui si applica una terminologia moderna al passato (cap. 1). Nel capitolo successivo, Head presenta una panoramica della letteratura scientifica sulla storia degli archivi e propone alcune prospettive future di ricerca. Indicando l’opportunità di un approccio comparativo globale agli archivi, che non si limiti quindi all’Europa, egli auspica connessioni più strette in particolare con la storia dell’informazione e della comunicazione, essenziali – a suo dire – per far progredire la comprensione di come i documenti europei – ma non solo quelli – siano stati prodotti, conservati e utilizzati.

Le tematiche trattate nel libro si trovano diffusamente esposte nelle quattro partizioni principali in cui si articola il volume. La prima parte (pp. 41-134, capitoli III-VI) si concentra sugli aspetti relativi all’evoluzione delle modalità di produzione e conservazione documentaria dopo il 1100, con l’attenzione rivolta in particolare alla disamina delle principali modalità di gestione del materiale documentario introdotte dalle cancellerie sovrane dell’Alto e del Tardo Medioevo: i cartulari e i registri di spedizione (cap. 3). Nel collegato capitolo 4 viene presentato un caso di studio: i sofisticati prodotti in forma di libro elaborati dalla Cancelleria dei re del Portogallo all’incirca tra il 1460 e il 1550 (Chancelaria, Leitura Nova) dimostrano – secondo l’autore – che le attività delle cancellerie nel Quattrocento e Cinquecento ruotavano principalmente intorno ai volumi/registri, non alla documentazione sciolta. Infine, nei due successivi capitoli l’attenzione è rivolta al modo in cui le cancellerie accumularono e gestirono gli atti sino al 1500: il codice divenne allora una componente essenziale nella ‘cassetta degli attrezzi’ dei segretari, come si evince nel caso, dettagliatamente illustrato, relativo alla serie dei Kopialbücher della Cancelleria di Innsbruck prodotti nel primo Cinquecento.

La seconda parte (pp. 135-218, capitoli VII-X) è dedicata, in particolare, alla disamina delle tecniche e dei modelli concettuali che le cancellerie adattarono o inventarono per far fronte al crescente flusso di atti in entrata e in uscita. Particolare rilievo è dato ai due principali approcci di descrizione degli accumuli documentari: l’inventariazione, affidata a una nuova classe di funzionari – «the registrator» –, che elaborarono strumenti, per la maggior parte ad uso interno, ideati per soddisfare specifiche esigenze amministrative e la classificazione, applicata guardando al contenuto degli atti. Nei capitoli 8 e 10 vengono proposti al lettore diversi casi che mostrano come il personale delle cancellerie abbia cercato di organizzare il materiale già in suo possesso, o di progettare metodi più performanti di tenuta e tracciamento della documentazione di futura produzione o acquisizione: dai cinquecenteschi repertori degli Schatzarchive di Innsbruck e Vienna redatti da Wilhelm Putsch, alla coeva produzione di Lorenz Fries, responsabile della Registratur e dell’archivio principesco-vescovile di Würzburg, sino ai sistemi di classificazione documentaria in uso nelle cancellerie di due delle maggiori città della Confederazione Svizzera, Lucerna e Zurigo nei secoli XVI-XVIII.

Nella terza parte (pp. 219-266, capitoli 11 e 12) il tema posto al centro dell’attenzione è quello del rapporto che si instaurò a partire dalla fine del XVI secolo tra le aspettative crescenti riguardo agli archivi da parte delle autorità politiche e il progressivo affinamento delle pratiche di gestione documentaria. Nuovi metodi di utilizzo di tecnologie consolidate comparvero nella prima Europa moderna e raggiunsero livelli di sistematicità nelle terre tedesche dopo il 1700, in grado di fornire un agile accesso alla conoscenza e di supportare il processo decisionale amministrativo e politico dei governanti. Su tale specifico tema, due sono i principali casi di studio presentati: quello dell’archivio di Simancas, fondato da Carlo V d’Asburgo, ma pienamente realizzato dopo il 1560 dal figlio Filippo II, e quello dell’archivio berlinese degli Elettori di Brandeburgo riorganizzato negli anni Novanta del XVI secolo.

Infine, la quarta parte (pp. 267-314, capitoli 13-14) ripercorre i cambiamenti nel modo di concepire la conservazione documentaria dopo il 1550 e i dibattiti che emersero tra giuristi e antiquari sul valore e l’autenticità della documentazione scritta. In quest’ultimo caso, l’autore si sofferma, in particolare, sui due approcci teorici che emersero sul finire del XVII secolo: quello filologico di Jean Mabillon e dei bollandisti incentrato sulla valutazione dell’autenticità del documento attraverso l’analisi delle caratteristiche materiali e testuali; quello istituzionale, rappresentato dalla teoria dello ius archivi avanzata da un gruppo di giuristi tedeschi, per i quali la validità legale dei documenti dipendeva soprattutto dalla loro provenienza, vale a dire dalla loro collocazione in archivi per lo più di istituzioni pubbliche titolari di tale diritto (probatio per archivum).

Alle conclusioni è dedicato il quindicesimo e ultimo capitolo. L’analisi condotta da Head, vertente su un sottoinsieme della più ampia accumulazione archivistica generata nel contesto complessivo di più articolati ambiti di attività, intende dimostrare che l’organizzazione degli archivi e le pratiche di conservazione dei documenti politici dell’Europa occidentale «condividono una logica e una continuità che vanno considerate come un unico sistema culturale dal 1400 al 1700» (p. 306).

In conclusione, sebbene nell’opera di Head non paiano essere presenti novità sostanziali sul tema della gestione dei documenti politici dell’Europa tra Quattrocento e Settecento rispetto a quanto non sia già stato pubblicato dall’autore, il libro poggia su un persuasivo impianto teorico e si rivela, per la ricchezza e la rilevanza dei temi trattati, in grado di offrire stimolanti spunti per ulteriori ricerche.

 

[1] P. Becker - W. Clark (edd), Little Tools of Knowledge: Historical Essay on Academic and Bureaucratic Practices, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2001.

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