IV, 2021/1

Oswald Überegger

Im Schatten des Krieges. Geschichte Tirols 1918–1920

Review by: Marco Bellabarba

Authors: Oswald Überegger
Title: Im Schatten des Krieges. Geschichte Tirols 1918–1920
Place: Paderborn
Publisher: Ferdinand Schöningh
Year: 2019
ISBN: 9783506702562
URL: link to the title

Reviewer Marco Bellabarba - Università di Trento

Citation
M. Bellabarba, review of Oswald Überegger, Im Schatten des Krieges. Geschichte Tirols 1918–1920, Paderborn, Ferdinand Schöningh, 2019, in: ARO, IV, 2021, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2021/1/im-schatten-des-krieges-geschichte-tirols-19181920-marco-bellabarba/

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Quando una guerra si avvicina alla fine, i tempi di chi combatte e  quelli di chi vive il conflitto nelle aree lontane dal fronte hanno velocità diverse. Presente e passato, «spazio di esperienza» e «orizzonte di attesa» slittano l’uno sull’altro e sono percepiti in maniera contrastante a seconda dei luoghi nei quali si vive – anche se il contesto politico e istituzionale dovrebbe essere per tutti lo stesso. Da questa mancata concordanza tra tempi della guerra e tempi della vita civile prende avvio il libro di Oswald Überegger che la impiega per scandagliare le vicende tirolesi dell’ultimo, tragico, anno di guerra.

Secondo l’anonimo autore dell’articolo apparso il 1° gennaio 1918 sulla  «Brixner Chronik», nessuno può dubitare che una pace vittoriosa sia ormai vicinissima. Le notizie in arrivo dal fronte orientale e italiano raccontano tutte, senza eccezioni, di un nemico sul punto di cedere all’esercito imperiale e al suo alleato germanico. I tempi della guerra sembrano muoversi rapidamente al ritmo delle vittorie sbandierate dagli uffici di propaganda: ma questa serie di annunci rassicuranti non ha presa nella realtà. Nel giro di poche settimane, la Habsburgermonarchie scopre i tempi della prima grande protesta sociale; scioperi operai, dimostrazioni di piazza e tafferugli con le forze dell’ordine per l’assenza di cibo raccontano nel primo capitolo (Dem Ende entgegen: das letzte Kriegsjahr) di un paese ormai allo stremo delle forze. Sullo sfondo delle difficoltà materiali, anche il tessuto della lealtà politica alla monarchia comincia a disgregarsi. L’incapacità di rispondere alle necessità primarie della popolazione provoca un senso diffuso d’insofferenza nei confronti dell’autorità che è più forte nel segmento meridionale della regione, a ridosso delle aree di guerra con l’Italia, dove si è pagato dal 1915 il prezzo più alto del conflitto. La durissima disciplina imposta dai comandi militari ai tirolesi italiani e l’allontanamento coatto di circa 70.000 tirolesi italiani solo per il vago sospetto di connivenza con il partito irredentista, ritornano adesso sotto forma di un risentimento anti-austriaco diffuso.

Il cedimento definitivo del Südwestfront, dopo l’offensiva italiana del 24 ottobre 1918, non fa che esacerbare questi stati d’animo. Quando la sconfitta assume le proporzioni di un disastro irrimediabile – già alcuni giorni prima dell’attacco italiano, molti reggimenti ungheresi, croati e cechi hanno rifiutato di obbedire ai propri ufficiali – tutta la macchina degli uffici pubblici si arresta. Durante i primi giorni di novembre, le singole province austriache nominano governi provvisori (i cosiddetti Nationalräte) e a Vienna, mentre Carlo I sceglie la via dell’esilio, il 12 del mese viene proclamata la Repubblica. Quest’Austria «improvvisata» – osserva l’autore nel secondo capitolo (Der November 1918 in der Provinz) – soffre fin dall’inizio di un deficit di legittimazione politica. Nata nel pieno del crollo dell’esercito imperiale, con decine di migliaia di militari sbandati e privi di mezzi di trasporto per tornare a casa, è sopraffatta dalle dimensioni del caos. Nell’assenza di direttive da Vienna, sono i governi provvisori provinciali ad assumere un ruolo da protagonisti politici e amministrativi. Un Tiroler Nationalrat si è già costituito il 1° novembre del 1918, nel quale siedono come forza di maggioranza deputati dei vecchi partiti asburgici (i conservatori cattolici e i cristiano-sociali), fusi nella neonata Tiroler Volkspartei, in opposizione a ciò che resta dei socialdemocratici e dei Deutschfreiheitlichen.

Durante le prime settimane di attività legislativa, il Consiglio tirolese produce una serie di «fantasmagorie territoriali» (p. 61) che delineano efficacemente il clima di disorientamento respirato a Innsbruck. Con l’obiettivo primario di salvaguardare l’integrità del Land, i deputati di maggioranza immaginano di creare, uno dopo l’altro, uno Stato tirolese neutrale, una Repubblica autonoma nord-tirolese, un cantone annesso alla Confederazione elvetica, mentre i cattolici più intransigenti propongono di offrire la regione al pontefice e i pangermanisti spingono per una rapida fusione con la Baviera o la Carinzia. Nel gennaio del 1920, il commissario civile Luigi Credaro, ricordando questi progetti, osserverà ironicamente che i sudtirolesi non avevano ancora capito di aver perso la guerra. Ma forse il susseguirsi di queste proposte è più un segno di timore verso il futuro che non di assenza di realismo. L’ingresso dell’esercito italiano a Innsbruck (il 23 novembre del 1918 circa 5000 soldati si stanziano nel capoluogo) e la rapida soppressione di ogni forma di autogoverno a sud del Brennero indicano un chiaro rovesciamento di forze che la leadership tirolese percepisce nettamente.

Sono timori destinati a crescere con l’avvio delle trattative di pace a Versailles. La politica della Tiroler Volkspartei non si discosta dalla difesa a ogni costo dell’autonomia territoriale, riproponendo alcune opzioni – una Repubblica autonoma, l’integrazione di tutto il Tirolo nell’Austria repubblicana, un Land annesso alla Germania –  molto somiglianti alle «fantasmagorie» dei primi mesi di pace. Tuttavia le residue possibilità di non mutare la cornice geografica dell’Alt-Tirol terminano di fatto con la dichiarazione di aprile del presidente statunitense Wilson, che conferma in sostanza gli accordi del Patto di Londra. Da lì in avanti, la Nachkriegspolitik esaminata nel terzo capitolo segna un continuo aprirsi di nuovi fronti di scontro: tra Innsbruck e Vienna, tra Trento e Bolzano, tra esponenti dell’amministrazione civile e militare e i loro referenti a Roma. Alla cautela dei primi governatorati italiani si sostituisce una politica meno comprensiva nei confronti dei cittadini di lingua tedesca, un atteggiamento che, a parti invertite, ricorda quello dei comandi militari austriaci del tempo di guerra. Cambiano gli uomini inviati da Roma, sempre più convinti che la vittoria esiga un tributo di soggezione pagato dagli sconfitti; cambiano, inoltre, i volti di coloro che a Trento ora esprimono la fazione politica al comando, volontari dell’esercito italiano, esuli, fascisti della prima ora, decisi a rigettare qualsiasi limite a un’italianità di mera conquista. Sono le premesse alla riduzione di ogni forma di dissenso e all’insuccesso, a questo punto inevitabile, delle trattative per una forma di autonomia concessa alla parte tedescofona della provincia, che si consumano in snervanti colloqui romani durante l’autunno 1920.

Negli ultimi capitoli, con qualche salto cronologico all’indietro rispetto al filo della narrazione, Überegger mette a fuoco il contesto internazionale della sofferta annessione tirolese allo Stato italiano. Dapprima si sofferma sulle «Verhandlungen in Saint Germain», seguendo il lavorio delle commissioni di esperti americani, inglesi e francesi all’opera per determinare il nuovo confine italo-austriaco; una massa di carte geografiche vagliate in interminabili discussioni a tavolino che alla fine semplicemente confermano – auspice soprattutto il presidente Wilson – la linea stabilita dal Patto di Londra del 1915. Troppo debole la piccola Austria per avere voce in capitolo nelle decisioni, e soprattutto troppo saturo di conflitti il rapporto tra Italia e nuovo Regno jugoslavo per non concedere che venga posto in sicurezza almeno il confine del Brennero. Mentre la diplomazia internazionale smembra a sua discrezione il Tirolo storico, la regione fatica a riprendersi dalle conseguenze della guerra. Benché il Südtirol (poco più tardi Alto Adige) abbia sofferto meno del Trentino e del Nordtirol l’impatto del conflitto, i sintomi della crisi economica, affiorati già nel 1915, non spariscono tanto presto. Ma sono soprattutto le ferite aperte nel corpo sociale a non rimarginarsi in fretta. Il ricordo dell’altissimo numero dei caduti in guerra (33.000 tirolesi e all’incirca 4.800 del Vorarlberg), le migliaia di mutilati, prigionieri e profughi che si aggirano in mezzo a paesaggi devastati dai combattimenti, accompagnano il ritorno a una normalità che non assomiglia in nulla alla pace tanto desiderata. Ad aggravare una vita quotidiana già difficile di per sé – si vedano sia il capitolo (Über)leben nach dem Krieg  sia l'Epilog del libro, nei quali sono condensate le ultime ricerche italiane e austriache sul Weltkrieg – contribuiscono le controversie innescate dalla separazione territoriale. E di fatto, il «Gebietsverlust», o sull’altro fronte la «vittoria patriottica», divengono il solo oggetto di cui parlano intellettuali e politici: la memoria del tempo di guerra sorregge unicamente i due discorsi contrapposti, con il corollario di temi subito assurti a luoghi comuni (ad esempio la Dolchstoß-Legende o il martirio di Cesare Battisti) e la cancellazione di altri, meno spendibili sul piano degli antagonismi patriottici. Nessuno studierà più i Kaiserjäger morti nelle pianure galiziane a causa di una strategia suicida o le donne trentine e tirolesi scese nelle strade a protestare contro la carestia già nella primavera del 1915: come molti altri ricordi bellici ‘disfunzionali’ spariranno avvolti «Im Schatten des Krieges» ed è un merito di questo libro averli riportati alla nostra attenzione.

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