III, 2020/3

Raffaella Sarti, Anna Bellavitis, Manuela Martini (eds.)

What is Work?

Review by: Ida Fazio

Editors: Raffaella Sarti, Anna Bellavitis, Manuela Martini
Title: What is Work?. Gender at the Crossroads of Home, Family, and Business from the Early Modern Era to the Present
Place: New York - Oxford
Publisher: Berghahn Books
Year: 2018
ISBN: 9781785339110
URL: link to the title

Reviewer Ida Fazio - Università di Palermo

Citation
I. Fazio, review of Raffaella Sarti, Anna Bellavitis, Manuela Martini (eds.), What is Work?. Gender at the Crossroads of Home, Family, and Business from the Early Modern Era to the Present, New York - Oxford, Berghahn Books, 2018, in: ARO, III, 2020, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/3/what-is-work-ida-fazio/

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What is Work? Gender at the Crossroads of Home, Family, and Business from the Early Modern Era to the Present, curato da Raffaella Sarti, Anna Bellavitis e Manuela Martini per i tipi di Berghan Books nel 2018 rappresenta una tappa del percorso che le curatrici, insieme a un gruppo internazionale di storiche di diversi provenienze e approcci disciplinari, conducono da tempo intorno a una storia del lavoro che prende le mosse proprio dalla consapevolezza delle variabili di genere, che fungono da leva per una riconsiderazione complessiva dell’oggetto di studio. In questo volume l’interrogativo è radicale: cosa è lavoro, appunto, come recita il titolo. Viene problematizzato il fatto che la definizione di ogni pratica economica come lavoro risenta, nel tempo, delle diverse configurazioni che le relazioni di genere attribuiscono all’intreccio tra domesticità e affari, tra produzione e riproduzione.

Il lungo saggio introduttivo delle curatrici sottolinea come queste configurazioni siano state, nel tempo, dinamiche e plastiche; pertanto l’estendersi della cronologia degli studi pubblicati nella raccolta, che vanno dalla piena età moderna al tempo presente,risulta funzionale proprio a rendere conto di queste trasformazioni. Benché nell’Europa medievale e moderna coesistessero concetti plurali di lavoro, è dal Sette e dall’Ottocento che studiosi come Adam Smith, David Ricardo, Karl Marx elaborano le loro teorie del valore che considerano il lavoro in quanto produttore, per l’appunto, di valore. Tale lavoro è soltanto quello pagato o comunque capace di generare reddito. È questo il momento in cui la polisemicità del termine «lavoro», che designa la fatica e il travaglio – ma anche l’arricchimento – tanto nella produzione quanto nella riproduzione, si riduce a una suddivisione rigida tra sfera domestica, regno dell’oblatività, del linguaggio del  dono e della gratuità, dell’informale, della riproduzione appunto, e sfera pubblica in cui il lavoro è sottomesso alle logiche del mercato, del salario (scambio, vero o fittizio che sia, tra lavoro e moneta), produce identità. Sfere separate, l'una ambito del femminile, l’altra del maschile. Si assiste a una «delaborization» del lavoro riproduttivo, che, come sottolinea Alessandra Pescarolo, «non esiste nell’economia classica».

La storia delle donne, sin dai primi passi della sua esistenza, è intervenuta criticamente su questa separazione arbitraria, o meglio retta da paradigmi di genere. La storia di genere poi – sia quella riguardante le donne (più frequentemente), sia quella che affronta in modo critico la storia del  lavoro maschile – si è dedicata a smantellare e decostruire le sfere separate come costrutto ideologico. Un ricchissimo excursus storiografico – che va dagli studi di Alice Clark sul Seicento e di Ivy Pinchbeck sul Settecento, di Davidoff e Hall sull’Ottocento inglese, dalla «tesi del declino» del lavoro delle donne nell’età moderna al ruolo della cultura e della religione nel mutamento dei modelli proposto da Martha Howell e da Merry Wiesner, fino al dibattito storico economico sulla «Industrious Revolution», categoria proposta da De Vries all’interno della quale si sarebbe inquadrato il maggiore coinvolgimento femminile nelle attività svolte a domicilio per il mercato al fine di procurare alle famiglie le risorse per consumi più articolati, e poi sulla «Consumer’s Revolution», mostra che il cuore del problema sembra essere, in tutti i casi, la produzione a domicilio. Un nodo importante per la ricerca empirica ma soprattutto un nodo teorico, cruciale per definire appunto «what is work?» quando a lavorare sono le donne.

La prima delle sezioni del libro è dedicata alla dimensione critica introdotta dal femminismo nell’analisi dell’allontanamento del lavoro familiare e a domicilio dalle categorie che includono i lavori veri e propri. Le operazioni intellettuali che hanno sostenuto questo processo hanno avuto e hanno tuttora rilevanti ricadute sulle politiche economiche, come mostra Nancy Folbre a proposito dell’Inghilterra, della Francia e degli Stati Uniti dal Settecento a oggi.  Alessandra Pescarolo e Alessandra Gissi, invece, affrontano l’analisi di due dibattiti teorici italiani dalle origini profonde nel tempo ma con ricadute ed evoluzioni attuali, dagli anni Settanta ai Duemila: rispettivamente, quello sulla dicotomia tra lavoro produttivo e riproduttivo e sulla questione del salario al lavoro domestico.

La seconda sezione è dedicata al gender bias nelle fonti, un tipo di distorsione il cui smascheramento e superamento sono cruciali per la costruzione di ogni ricerca sul lavoro (femminile  e maschile, a domicilio, in fabbrica o flessibile). Marija Agren, nel suo saggio sulla Svezia tra Cinque e Settecento che prende in considerazione i compiti domestici maschili e femminili in base allo status maritale basandosi sull’uso della relativa terminologia, mostra come in età moderna il valore economico del lavoro domestico fosse ben riconosciuto, mentre le cose sarebbero cambiate andando verso l’età contemporanea, seguendo logiche che Margareth Lanzinger lega ai contesti di produzione dei documenti. Sono soprattutto i saggi di Cristina Borderías e di Raffaella Sarti a insistere sul nodo più cruciale, quello delle rappresentazioni statistiche che semplificano, irrigidiscono e stereotipizzano ruoli maschili e femminili rendendo problematico un approccio articolato come quello attuale che deve sempre tenere conto della complessità che in realtà presentano i compiti lavorativi. La prima segue questo processo nella Spagna della seconda metà dell’Ottocento per giungere agli anni Trenta del Novecento; la seconda torna con un saggio molto ricco su un tema fondativo della storia della statistica gender-oriented in Italia, e cioè gli scivolamenti impressi dall’ideologia delle sfere separate e del male breadwinner alle categorie statistiche. Un tema affrontato per la prima volta molti anni fa da Silvana Patriarca, che riceve ora da Sarti un ampliamento di contenuti e problemi. Il nesso tra lavoro, cittadinanza e tra costruzione di terminologie e categorie statistiche viene esaminato nell'arco di un periodo che va dall’Unità d’Italia al presente, e alla fine problematizzato ragionando intorno alla figura che più di tutte le altre concentra in sé la complessità delle articolazioni di genere  tra lavoro retribuito, localizzazione a domicilio, diritti e attribuzioni simboliche: quello della domestica.

Nella terza e ultima parte del libro, quindi, questa complessità viene affrontata dal punto di vista del diritto nelle sue relazioni con il lavoro di cura e il lavoro a domicilio non pagato. Un diritto che, dal XVIII secolo in avanti, ha rinforzato la deriva di spostamento del lavoro a domicilio dalla posizione di fonte di identità e di valore economico a quella di regno del dono e dell’oblatività, ristretto alla sfera privata separata da quella pubblica. Questo processo avrebbe contribuito a marginalizzare sempre di più il lavoro le donne. Esemplare (e paradossale) il caso dell’ILO, (International Labour Office) studiato da Eileen Boris, in cui i rappresentanti uomini, fino a tempi recenti, manifestavano notevoli resistenze nei confronti del riconoscimento e della difesa delle attività svolte a domicilio. I saggi di Maria Rosaria Marella, sull’Italia, e di Florence Weber, sulla Francia, analizzano le contraddizioni e le ambiguità delle ricadute giuridiche dell’inserimento del lavoro a domicilio, domestico e di cura nell’ambito della sfera privata, dell’oblatività e infine delle  obbligazioni naturali, come l’obbligo di alimenti, la «pitié filiale» e alcune peculiarità del diritto successorio. Come sintetizza acutamente nel bel saggio conclusivo Laura Lee Downs, il percorso compiuto da questo libro segue la parabola di «come il lavoro produttivo delle donne all’interno della casa si è spostato dall’essere  una normale attività all’essere una perniciosa perversione della vita familiare».

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