III, 2020/3

Filomena Fantarella

Un figlio per nemico

Review by: Michele Cento

Authors: Filomena Fantarella
Title: Un figlio per nemico. Gli affetti di Gaetano Salvemini alla prova dei fascismi
Place: Roma
Publisher: Donzelli
Year: 2018
ISBN: 9788868438081
URL: link to the title

Reviewer Michele Cento - Università degli studi di Bologna

Citation
M. Cento, review of Filomena Fantarella, Un figlio per nemico. Gli affetti di Gaetano Salvemini alla prova dei fascismi, Roma, Donzelli, 2018, in: ARO, III, 2020, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/3/un-figlio-per-nemico-michele-cento/

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Della vita privata di Gaetano Salvemini è nota la tragedia familiare in occasione del terremoto di Messina del 1908. La moglie, la sorella e i suoi cinque figli risultarono dispersi sotto le macerie. Nonostante la sterminata bibliografia sul grande storico pugliese, poco invece si sa della seconda famiglia di Salvemini e, in particolare, dell’intenso e complicato rapporto che lo lega a Jean, figlio della sua nuova compagna, Fernande Dauriac, una intellettuale francese nota per la sua collaborazione con «La Voce» di Giuseppe Prezzolini.

Una lacuna che è stata colmata dal volume di Filomena Fantarella Un figlio per nemico. Gli affetti di Gaetano Salvemini alla prova del fascismo. E si tratta di «una grande lacuna», come l’ha definita Massimo L. Salvadori nella prefazione che accompagna il volume, proprio perché intreccia il piano degli affetti privati con la tragedia politica dell’adesione al nazionalsocialismo di Jean, che verrà ribattezzato «il Führer» della stampa francese durante l’occupazione tedesca, per poi essere arrestato e fucilato nel 1946 come traditore. Si trattò di un colpo durissimo per un uomo come Salvemini che tra i primi aveva dato prova di un intransigente antifascismo, ma che al giovane figlio della seconda moglie era profondamente legato.

Fantarella ripercorre la biografia di Salvemini dalla natia Molfetta a Firenze, passando per i dolorosi giorni messinesi e il ritorno solitario a Firenze. Fu proprio negli ambienti dell’intellettualità fiorentina che Salvemini conobbe la sua futura seconda moglie, allora legata in matrimonio a Julien Luchaire. In una lettera a Giustino Fortunato, Salvemini ammette quanto la famiglia Luchaire alleviasse la sua solitudine fiorentina e, in particolare, il rapporto di affinità elettive con la signora Fernande, alla quale riconosceva una spiccata sensibilità intellettuale e sociale e una comunanza di idee riguardante una delle principali lotte dello storico pugliese: il suffragio universale e il voto alle donne. Si intravede già qui come il filo conduttore della narrazione di Fantarella si snodi tra il piano personale e quello politico, come diventa più evidente quando, dopo il divorzio nel 1914, Fernande Dauriac sposa, nel 1916, Salvemini.

Le pagine che l’autore dedica al legame di Salvemini con Jean – o «Giovannino» come egli lo chiamava affettuosamente – si intrecciano d’altra parte ai fili di numerose altre «parentele spirituali», che lo storico pugliese giudicava più importanti di quelle di sangue, come confidava in una lettera ad Ernesto Rossi. E di figli spirituali in effetti Salvemini ne ebbe parecchi, a partire da Piero Gobetti – che poi però prese le distanze da lui – e dai fratelli Roselli. La parentela spirituale con il figlioccio Jean Luchaire scorre sulla linea di questi rapporti intimi e allo stesso tempo politici: Jean era stato compagno di scuola di Nello, mentre sarebbe stato Carlo a segnalare a Salvemini l’infatuazione del giovane per il nazionalsocialismo, dovuta all’amicizia con Otto Abetz, futuro ambasciatore nazista a Parigi.

L’incontro tra i due avvenne nel 1929, quando il giovane Jean era un convinto sostenitore delle idee di Aristide Briand a favore di un riavvicinamento alla Germania. Si trattava di un riavvicinamento ancora pensato in chiave pacifista. Tuttavia, il legame sempre più solido con Abetz caricò di nuovi significati politici le posizioni di Jean, specie dopo l’ascesa al potere di Hitler e l’ingresso di Abetz nella Gioventù hitleriana. Le aspirazioni di Jean di affermarsi nel mondo del giornalismo e della politica trovarono in Abetz una sponda importante, specie perché quest’ultimo patrocinò il finanziamento dell’attività giornalistica di Jean. Riportando una lettera indirizzata a Carlo Rosselli, l’autore segnala come la notizia innescò nell’animo di Salvemini da un lato un processo di rimozione, ma dall’altro una sorta di indulgenza verso la scelta dissennata di Jean, che egli attribuiva al suo pacifismo. Un’indulgenza che certo Salvemini non aveva mai concesso neanche agli amici di una vita, come all’«apota» Prezzolini. L’autore evidenzia qui come l’intreccio tra il  piano personale e quello politico si trasformò per Salvemini in un dissidio interiore lacerante. Nel corso degli anni Trenta il sostegno di Jean all’appeasement si caricò di toni reazionari, difficilmente derubricabili a idealismi giovanili, tanto che voci non confermate lo ritengono coinvolto nell’assassinio di Carlo e Nello Rosselli.

È comunque nell’ultimo capitolo che il dissidio si tramuta in dramma, proprio perché l’autore ci conduce negli anni dell’occupazione tedesca della Francia. Sono anni difficili per Salvemini: lontano dalla moglie Fernande in cattivo stato di salute e addolorato di ricevere notizie da più fronti che dipingono Jean come un acceso collaborazionista, il direttore di «Nouveaux Temps», simbolo del giornalismo vicino agli occupanti, «le plus hitlérien des journalistes français». L’autore non si sbilancia nell’individuare le ragioni che portarono un giovane cresciuto con solidi valori antifascisti ad abbracciare la causa hitleriana. Che si trattasse di mero opportunismo o di intima convinzione che solo la collaborazione con la Germania avrebbe potuto salvare la Francia certo è che si trattava di una scelta troppo lontana da Salvemini per potere essere oggetto di indulgenza. Non a caso, dopo l’esecuzione di Jean, avrebbe commentato: «i traditori vanno puniti … l’ha voluto lui ed è giusto che abbia pagato». 

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