III, 2020/3

Diego Pirillo

The Refugee-Diplomat

Review by: Marco Zanella

Authors: Diego Pirillo
Title: The Refugee-Diplomat. Venice, England, and the Reformation
Place: Ithaca NY
Publisher: Cornell University Press
Year: 2018
ISBN: 9781501715310
URL: link to the title

Reviewer Marco Zanella - Università di Trento

Citation
M. Zanella, review of Diego Pirillo, The Refugee-Diplomat. Venice, England, and the Reformation, Ithaca NY, Cornell University Press, 2018, in: ARO, III, 2020, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/3/the-refugee-diplomat-marco-zanella/

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La storia diplomatica ha scontato, sin dalla sua nascita, il pesante influsso del paradigma della storia degli Stati. L’influente opera di Garrett Mattingly, Renaissence Diplomacy, fa risalire la nascita della diplomazia occidentale all’istituzione di ambasciate permanenti presso gli Stati italiani nel XV secolo. La figura centrale che ne emerge è quella dell’ambasciatore residente, ritenuto «un agente per la preservazione e l’espansione del suo Stato» (p. 54). Gli studi più recenti hanno tuttavia criticato questa ricostruzione esclusiva, invitando a considerare l’importanza dei canali non ufficiali della diplomazia di età moderna. Proprio in questo ambito si colloca il libro di Diego Pirillo, Refugee-diplomat, Venice, England and the Reformation, vincitore del premio «Aldo and Jeanne Scaglione Prize for Italian Studies» (assegnato dalla Modern Language Association nel 2019), che ricostruisce le vicende della lunga sospensione dei rapporti diplomatici ufficiali tra la Repubblica di Venezia e l’Inghilterra (1559-1603), attraverso diversi casi di studio. L’autore ricostruisce il modo in cui la corte di Londra della regina Elisabetta I conservò i contatti con l’Italia in pieno clima di Controriforma, grazie ad una rete di rifugiati filo-protestanti con base a Venezia. Nel libro viene affrontata anche l’altra faccia della medaglia: gli informatori, i protestanti italiani e i rifugiati per motivi religiosi, mantennero in questo modo i contatti con i riformati di tutta Europa, al fine di diffondere il loro credo il più possibile in Italia.

Il primo capitolo fornisce al lettore una panoramica dei rapporti diplomatici tra la Repubblica di Venezia e l’Inghilterra durante il XVI secolo e in esso è spiegato il motivo per cui la Riforma fu al centro della crisi diplomatica tra i due Stati. Vengono qui illustrate le ragioni per cui lo scambio di ambasciatori residenti fu sospeso per l’intera durata del regno di Elisabetta I (1558 – 1603).

Il secondo capitolo introduce i rapporti non ufficiali tra rifugiati e inglesi a Venezia. La figura centrale per comprendere questo rapporto è quella dell’ambasciatore inglese a Venezia, Edmund Harvel. Dopo la rottura di Enrico VIII con la Chiesa di Roma (1534), il diplomatico si mobilitò per entrare in contatto con i protestanti italiani, al fine di vedere garantito il flusso di notizie riguardanti il resto della penisola. Particolarmente importante è il ruolo che assunse il segretario di Harvel, il riformatore italiano Baldassarre Altieri che aveva relazioni con Martin Lutero e Giovanni Calvino. Attraverso Harvel e Altieri, l’ambasciata inglese a Venezia divenne il centro della propaganda protestante in Italia.

Il terzo capitolo ricostruisce la rete informativa di cui si servì Guido Giannetti, religioso protestante originario di Fano, che durante il periodo tridentino si trovava a Venezia, città ideale per accedere a una vasta gamma di notizie. Lì, grazie alla sua rete di conoscenze, lavorò per la regina Elisabetta I come ambasciatore non ufficiale, trasmettendo un vasto numero di informazioni, in particolare riguardanti il Concilio di Trento.

Il quarto capitolo prende in considerazione le attività dei fratelli Giacomo e Placido Ragazzoni. Esponenti di una importante famiglia di mercanti veneziani, non si convertirono mai pubblicamente, rimanendo formalmente cattolici; i Ragazzoni insomma agivano da perfetti «ambasciatori non ufficiali e da agenti di scambio tra diverse fedi» (p. 87). I due garantivano che le notizie dei rifugiati protestanti, informatori degli inglesi, arrivassero senza sospetti alla corte di Londra attraverso i loro scambi epistolari privati.

Nel quinto e nel sesto capitolo l’autore ricostruisce il modo in cui i rifugiati protestanti italiani in Inghilterra agirono come mediatori culturali (importando e traducendo importanti opere del Rinascimento italiano) e come essi ebbero un ruolo importante nell’influenzare la nascente cultura diplomatica. In particolare nel quinto capitolo, «Reading Tasso», l’autore mette in luce come i fratelli Alberico e Scipione Gentili condizionarono la pratica diplomatica inglese. Attraverso lo studio dei commentari e delle annotazioni alla Gerusalemme liberata di Tasso emergono dati particolarmente interessanti: i due fratelli, guardando attentamente alle «implicazioni giuridiche e letterarie della Liberata» (p. 116), interpretarono i passaggi di Tasso alla luce della contemporanea discussione sulla «guerra giusta» e sulla «legge delle nazioni» (p. 116). Inoltre agli occhi dei due fratelli, la lettura di opere come Il Messaggiero e la Gerusalemme Liberata portava a proporre un comune rispetto per «le diverse ortodossie d’Europa» (p. 117) e non alla celebrazione della Controriforma.

Nel sesto capitolo, «Reading Venetian Relazioni», Pirillo ricostruisce la cultura diplomatica di Giacomo Calstelvetro, rifugiato protestante italiano in Inghilterra, attraverso la sua analisi delle relazioni di fine mandato degli ambasciatori veneziani. Questi testi, particolarmente famosi e diffusi in età moderna, venivano largamente utilizzati come testi sui quali formare un ambasciatore. Ciò che risulta interessante è l’uso che ne fece Castelvetro. Copiando e ricostruendo le relazioni in manoscritti, Castelvetro si appropriò dei testi che stava leggendo, tanto da alternarne, talvolta, perfino il significato.

Il settimo capitolo si spinge oltre la fine del regno di Elisabetta I e più precisamente prende in considerazione i primi anni del regno di Giacomo I e VI Stuart. Durante gli anni della contesa dell’Interdetto a Venezia (1606-1607) i rifugiati protestanti si trovavano ancora ad essere agenti diplomatici fondamentali per gli inglesi, sebbene nel 1604 fosse stata ristabilita l’ambasciata con l’arrivo di Sir Henry Wotton. In quel periodo i rifugiati distribuivano libri proibiti e diffondevano manoscritti propagandistici in favore di una conversione alla Riforma. Tale fase, sebbene molto attiva, fu l’ultima dell’alleanza tra protestanti italiani e diplomazia inglese. Giacomo I sostenne fortemente Venezia durante la contesa dell’Interdetto, dati i comuni sentimenti anti-papali. Ciò diede forza ai protestanti di Venezia, peraltro sostenuti anche dall’ambasciatore Wotton. Le grandi aspettative tuttavia svanirono quando il re d’Inghilterra si rivelò riluttante a sostenere militarmente i protestanti, quasi a voler «far tutto con le parole», come scrisse Paolo Sarpi a Cristoph Von Doha.

Nel complesso questo libro offre un vasto numero di casi di studio utili a riconsiderare la pratica diplomatica di età moderna. L’attenzione posta su fonti inedite mette in luce aspetti che altrimenti sarebbero stati difficilmente osservabili, evidenziando un circuito informativo parallelo a quello ufficiale e una molteplicità di canali sotterranei di comunicazione.

Infine vorrei esprimere una perplessità: a p. 141 l’autore scrive «leggendo e appropriandosi delle relazioni degli ambasciatori veneziani, i rifugiati protestanti italiani …». Ritengo che in questo caso si tenda a forzare la mano nel generalizzare ciò che accade, in particolare attribuendo a tutti i protestanti italiani emigrati in Inghilterra quello che invece è attribuibile soltanto a uno (dei più illustri) di essi.

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