III, 2020/3

Alessandro Cont

La Chiesa dei principi

Review by: Irene Fosi

Authors: Alessandro Cont
Title: La Chiesa dei principi. Le relazioni tra Reichskirche, dinastie sovrane tedesche e Stati italiani (1688-1763)
Place: Trento
Publisher: Provincia Autonoma di Trento. Soprintendenza per i beni culturali. Ufficio beni archivistici, librari e Archivio provinciale
Year: 2018
ISBN: 9788877024541
URL: link to the title

Reviewer Irene Fosi - Università G. D'Annunzio, Chieti - Pescara

Citation
I. Fosi, review of Alessandro Cont, La Chiesa dei principi. Le relazioni tra Reichskirche, dinastie sovrane tedesche e Stati italiani (1688-1763), Trento, Provincia Autonoma di Trento. Soprintendenza per i beni culturali. Ufficio beni archivistici, librari e Archivio provinciale, 2018, in: ARO, III, 2020, 3, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/3/la-chiesa-dei-principi-irene-fosi/

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Lo studio di Alessandro Cont, arricchito dalla presentazione di Mirko Bisesti e Andrea Merlotti e dalla prefazione di Elisabeth Garms-Cornides, affronta, sulla scorta di una ricca documentazione archivistica, in gran parte inesplorata, un tema finora oggetto di ricerche soprattutto da parte della storiografia di lingua tedesca. Solo in rari casi, tuttavia, è stato considerato in una visione complessiva, frammentandosi piuttosto in molteplici studi di carattere ‘locale’, cioè sui singoli stati che formavano la realtà policroma del Sacro Romano Impero e della Reichskirche. Questa peculiarità storiografica emerge chiaramente dalle corpose note che accompagnano il testo. Per quanto riguarda la storiografia italiana, non sono mancate le ricerche sui feudi imperiali in Italia, presenze poco note ma spesso decisive nel quadro politico, negli equilibri territoriali, dinastici che durante la prima età moderna si manifestavano prepotentemente nei periodi di tensioni diplomatiche e di guerre. Altri studi hanno da tempo dedicato la loro attenzione all’esperienza del viaggio di principi e nobili nella penisola nel corso del Seicento e del  Settecento. In tempi più recenti, l’attenzione si è posata soprattutto sul culture transfer connesso al viaggio e al soggiorno nelle città italiane, non solo di principi e nobili, ma di uomini di scienza, letterati, mercanti, studenti, militari e artisti. Uomini, libri, oggetti viaggiarono dall’Italia all’Impero e viceversa superando i confini confessionali, l’attenta vigilanza inquisitoriale e censoria, locale e centrale. Qui l’autore compie subito una essenziale e apprezzabile operazione: nell'Introduzione alla società dei principi ecclesiastici (pp. 1-17) definisce con chiarezza il significato – politico e costituzionale, nonché territoriale – dell’architettura del dominio imperiale in terra tedesca e della Reichskirche, la Chiesa imperiale. Una carta geografica del Sacro Romano Impero dopo il 1648 avrebbe permesso al lettore (e immaginiamone l’utilità anche per eventuali studenti!) una localizzazione più precisa dei domini territoriali, dei rami familiari dei loro signori citati nel corso dello studio. Nel quadro cronologico qui considerato – dall’inizio della guerra della grande Alleanza o dei Nove Anni (1688) alla fine della guerra dei Sette Anni (1763) – il ruolo che la Chiesa imperiale e i suoi principi svolsero non fu sempre lo stesso: variò in relazione ai rapporti con gli imperatori, alla ramificata politica matrimoniale asburgica diretta a consolidare alleanze dinastiche anche, e soprattutto, fuori dei confini tedeschi, alla personalità dei titolari dei vescovati, e in particolare dei vescovi elettori (Colonia, Magonza e Treviri) e alla politica dei pontefici non sempre benevola nei loro riguardi. La struttura della Chiesa imperiale consentiva alle case regnanti cattoliche dell’Impero – in particolare i Wittelsbach di Baviera, i conti palatini e duchi del Palatinato-Neuburg e di Jülich-Clève, così come il ramo degli Asburgo-Lorena – di implementare la propria posizione nel Sacro Romano Impero, ma anche di fronte alle potenze europee, garantendosi canonicati, abbazie, coadiutorie, con le rispettive rendite, come previsto dalle norme canoniche. Questi benefici rappresentavano anche una valvola di sfogo per i cadetti di prolifiche casate tedesche che, al contempo, cercavano di collocare onorevolmente le figlie stringendo parentadi di prestigio anche fuori dell’Impero e, come si sottolinea in questo studio, con alcune case regnanti italiane fra le quali spiccano – non casualmente – i Savoia, i Farnese e i Medici. Il volume si divide in quattro capitoli, ognuno dei quali è arricchito da un’appendice documentaria che illustra in dettaglio passaggi del testo: soprattutto alcune lettere, riportate per esteso, permettono di comprendere non solo la mentalità, la Realpolitik, ma persino le emozioni di chi, talvolta, si trovava a ricoprire una carica divenuta ormai ‘anacronistica’ nel difficile contesto politico-ecclesiastico dei primi decenni del Settecento. La difesa del prestigio e dell’onore legati al ruolo di principe-vescovo, dello stile di vita improntato al lusso, le suggestioni e i modelli della corte di Versailles furono recepiti ampiamente e conferirono un’impronta evidente alle corti tedesche. Come osserva l’autore, non minore fu però l’ascendente della cultura italiana, soprattutto «sulla più meridionale delle corti elettorali dell’Impero Romano-Germanico», cioè la Baviera. Già nella seconda metà del Seicento, decisiva era stata la «rilevante personalità» dell’elettrice bavarese Enrichetta Adelaide di Savoia che avrebbe attratto alla sua corte pittori, musicisti, architetti. La corte bavarese avrebbe rappresentato anche in seguito, grazie alla personalità dell’elettore arcivescovo di Colonia, un centro di attrazione per diverse famiglie dell’aristocrazia italiana, soprattutto nordorientale, che si offrivano di servire l’elettore, guadagnando prestigio, avviando carriere, diventando essi stessi tramiti per introdurre a corte altre compagini italiane ad esse legate. Se il servizio militare per l’imperatore aveva rappresentato, nel Cinquecento e nel Seicento, un percorso di carriera comune a molti esponenti della nobiltà italiana, nel periodo qui considerato, accanto ad alcune esperienze militari compiute da nobili italiani al servizio non solo dell’imperatore, ma anche di principi territoriali tedeschi, appaiono più frequenti altre vie per affermarsi a corte. Agenti, segretari, artisti, paggi sono stati rintracciati dall’autore esaminando gli annuali Hof-Calender, come quello, ad esempio dell’elettore di Colonia Clemente Augusto. È interessante osservare la continuità del servizio svolto dalle stesse famiglie: un esempio è quello di esponenti della famiglia Scarlatti che dal 1678 al 1765 servirono il duca di Baviera come agenti presso la corte pontificia; stessa continuità si riscontra nella famiglia Angelelli, militari e consiglieri di diversi principi tedeschi nel corso del tardo Seicento e nel secolo successivo.

Come ben messo in evidenza, fondamentale fu il ruolo svolto dalla politica matrimoniale nel tessere una solida rete dinastica in Italia che si fondava sulla comune posizione filoasburgica e beneficiava, quindi, del consenso imperiale verso questi matrimoni italiani, resi possibili, bisognerebbe sottolineare, dal consolidarsi di un ‘partito’ imperiale in Italia nel tardo Seicento. Le principesse ebbero tutte un ruolo primario nella politica degli stati italiani: dal matrimonio della palatina Dorotea Sofia con Francesco Farnese, duca di Parma e Piacenza, nel 1696, indicato da Alessandro Cont come una «glorificazione barocca del rinvigorito ruolo dell’imperatore in Italia dopo lo scoppio della Guerra della Grande Alleanza» (p. 108), a Beatrice Violante di Baviera con Ferdinando de’ Medici, che, come governatrice di Siena, mise in atto una serie di decisive riforme. Non mancarono i matrimoni di principesse italiane con sovrani tedeschi, come quello di Anna Maria Luisa de’ Medici, sposa dell’elettore palatino e latrice in quella corte di raffinati gusti musicali e artistici. L’attrazione per le corti italiane non fu soltanto una riserva di possibili candidate per matrimoni; per esponenti di case principesche destinati a regnare o a seguire la carriera ecclesiastica ma costituì una componente essenziale del percorso di formazione culturale sia con gli studi presso università della Penisola sia con il soggiorno presso la corte pontificia. Era qui, infatti, che si potevano tessere fruttuose relazioni: cardinali, nobili, ordini religiosi e gli stessi pontefici, malgrado alcune manifeste ostilità, rappresentavano sempre una risorsa per poter acquisire onori e potere, anche economico, nella Chiesa imperiale. Non è casuale che anche nelle pagine di questo studio, Roma e la corte pontificia diventino snodi centrali di tutta la rete di rapporti tessuti da questi principi tedeschi con gli stati italiani. Risorse che il Papato poteva utilizzare, anche in senso propagandistico, furono in questo periodo, le conversioni al cattolicesimo di alcuni principi. Limitati nell’esercizio del culto in patria, mantennero con la corte romana uno stretto rapporto attraverso la comunicazione affidata ad agenti impegnati spesso a raccogliere e trasmettere notizie, oggetti, antichità, a diversi committenti cattolici. Fu proprio attraverso questi canali che si veicolarono strumenti culturali che conferirono una particolare impronta alla diffusione del neoclassicismo, alla riscoperta della classicità. Nel panorama analizzato, se la perdita di potere politico del Papato era stata evidente dal tardo Seicento, la sua capitale, Roma, poté mantenere una posizione privilegiata ponendosi come «capitale internazionale in grado di sopravanzare ogni altra città italiana come istanza di convergente riferimento religioso e politico-diplomatico per i principi e prelati cattolici dell’Impero» (p. 177). Al di là del trionfalismo e della propaganda confessionale sfruttata da ordini religiosi, giudizi disincantati su conversioni principesche e sui loro possibili effetti positi­vi sul cattolicesimo tedesco, erano già stati formulati da Benedetto XIV nella sua corrispondenza con il vescovo di Augusta Giuseppe Assia-Darmstadt a proposito della conversione, solennizzata dall’elettore di Colonia Clemente Augusto nel 1749, di Federico di Assia-Kassel; le medesime riserve, se non addirittura scetticismo, erano stati avanzati anche da Gaetano Marini, agente del convertito duca Carlo Eugenio del Württemberg. Alla metà del XVIII secolo, anche in seguito alle numerose abiure di principi tedeschi, prive or­mai di conseguenze politiche, la conversione assume, infatti, come ben dimostra il libro, un valore culturale, proponendo­si come veicolo privilegiato di ricezione della cultura italiana.

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