III, 2020/2

Giovanni Bernardini

Parigi 1919

Review by: Jacopo Perazzoli

Authors: Giovanni Bernardini
Title: Parigi 1919. La Conferenza di pace
Place: Bologna
Publisher: Il Mulino
Year: 2019
ISBN: 9788815283177
URL: link to the title

Reviewer Jacopo Perazzoli - Università di Milano

Citation
J. Perazzoli, review of Giovanni Bernardini, Parigi 1919. La Conferenza di pace, Bologna, Il Mulino, 2019, in: ARO, III, 2020, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/2/parigi-1919-jacopo-perazzoli/

PDF

Il dibattito storiografico è ovviamente alimentato dagli anniversari e dalle ricorrenze, specialmente quelli a cifra tonda. Il centenario dallo svolgimento della Conferenza di pace di Parigi del 1919 non ha certo rappresentato un’eccezione, visti gli innumerevoli studi pubblicati su quell’episodio centrale della storia novecentesca.

Il volume di Giovanni Bernardini, Parigi 1919. La Conferenza di pace prende dunque posto all’interno di una schiera piuttosto nutrita.  Essendo l'autore uno studioso dai molteplici interessi di ricerca – la socialdemocrazia europea, le relazioni transatlantiche e la programmazione economica nell’Europa tra il 1945 ed il 1975 –, Parigi 1919 non rappresenta, per lui, un fulmine a ciel sereno: Bernardini ha avuto modo di occuparsi, anche in tempi recenti, del primo dopoguerra, soprattutto con analisi sul caso francese.

Grazie alle sue ampie conoscenze storiografiche, che emergono anche nell’utilissima sezione bibliografica con cui è arricchito il volume, l’autore ha posto al centro delle proprie riflessioni i lavori della Conferenza di pace, organizzata a Parigi nel 1919 dai vincitori della Grande guerra su precisa volontà del capo del governo francese Georges Clemenceau, malgrado lo scetticismo degli inglesi e soprattutto degli statunitensi che, guidati dal presidente Woodrow Wilson, avrebbero come sede preferito la Svizzera «per la sua neutralità» (p. 52).

Il primo capitolo copre l’arco cronologico compreso tra l’armistizio, scoccato all’«undicesima ora dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese» (p. 15) del 1918, e l’avvio dei lavori della Conferenza di Parigi. Dopo aver ricostruito i passaggi che segnarono la fine del conflitto e l’inizio delle trattative di pace (le durissime condizioni poste ai plenipotenziari tedeschi giunti a Compiègne, lo sgretolamento dell’Impero austro-ungarico), Bernardini si sofferma con attenzione sul progetto di pace di Wilson, un tema che sta vivendo una nuova giovinezza storiografica. Nel farlo, l’autore, che abbraccia le posizioni di quel filone di studi capace di valutare pregi e limiti del grand design wilsoniano, afferma a ragione che la forza del messaggio del Presidente statunitense «fu … la radicalità dei propositi di palingenesi sia dell’ordine interno degli sconfitti, sia del sistema delle relazioni internazionali» (p. 28).

L’affresco su Wilson e wilsonismo consente a Bernardini di aprire il ragionamento su altri due aspetti estremamente controversi della fase precedente all’apertura dei lavori della conferenza. Da un lato, i diversi obiettivi dei vincitori: rettifiche territoriali per i francesi, soprattutto per quanto riguardava il confine con l’ex Reich tedesco, ma anche annessioni nei contesti coloniali, proposito cui peraltro miravano anche i britannici; nuovo ordinamento internazionale per gli statunitensi. Dall’altro, gli sconfitti e, soprattutto l’enigma riguardante la Russia bolscevica, non invitata a Parigi e divenuta ben «presto il convitato di pietra di qualsiasi discussione» (p. 49).

Nel secondo capitolo, la narrazione entra nel vivo dell’evoluzione della Conferenza, ponendo l’accento su un primo aspetto organizzativo dietro al quale si celava l’approccio che avrebbe poi caratterizzato l’intero iter del meeting parigino. Pur contemplando la tesi che ha elevato la capitale francese al rango di epicentro del mondo nell’immediato dopoguerra, Bernardini non lascia spazio ad alcun dubbio: malgrado la numerosa presenza di delegazioni provenienti dai contesti coloniali, la «Conferenza riprodusse un ordine gerarchico ereditato dalla guerra che … nessun partecipante osò mettere … in discussione» (p. 54).

Chiarite le modalità di lavoro, l’autore si sofferma sui nodi, individuandone due differenti tipologie. In primo luogo, le organizzazioni sovranazionali: la Società delle Nazioni, voluta principalmente da Wilson, ma in realtà sostenuta con convinzione da tutte le potenze vincitrici, autorità francesi in testa, e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, discussa e approvata a Parigi grazie alle pressioni dei governi italiano, francese e inglese, impegnati a contenere la crescente conflittualità interna. Un’altra tipologia di punti cruciali individuati da Bernardini coincide con le controversie più evidenti: il sistema dei mandati, con l’obiettivo di gestire la decomposizione degli imperi sconfitti, che deluse coloro che speravano in un progresso più rapido, ma mise in moto inconsapevolmente, nel medio e lungo periodo, processi verso l’indipendenza nei contesti coloniali.

Nella parte finale del volume – terzo capitolo e conclusioni – Bernardini ragiona attorno alla natura dei trattati di pace e alle modalità con le quali vennero affrontate la dissoluzione dell’Austria-Ungheria e le tensioni nei Balcani e in Medio Oriente, riflettendo anche sulle conseguenze che la Conferenza di pace ebbe nel prosieguo della storia del XX secolo. È riuscito a farlo, rifuggendo da una forzatura spesso presente nel dibattito pubblico, ovvero evidenziando i risultati negativi della Conferenza di pace che a loro volta produssero l’ascesa dei totalitarismi. Semmai, gli esiti, che pur furono «comunemente giudicati come insoddisfacenti» (p. 156), vengono giustamente posti dall’autore nel quadro più ampio e variegato degli equilibri europei e globali che seguirono al Primo conflitto mondiale. In pratica, la Conferenza non riuscì a ridisegnare il mondo, malgrado le aspirazioni dei vincitori, perché «raccoglieva l’eredità di una guerra scatenata e nutrita dal nazionalismo estremo» (p. 156).

Si tratta, in sostanza, di un libro che riesce appieno, in maniera sintetica, a fare luce sugli aspetti più rilevanti e controversi della Conferenza di Parigi, non rinunciando a proporre chiavi interpretative significative: per esempio, nel valutare gli impatti della Società delle Nazioni, l’autore fa giustamente presente che essa riuscì comunque a produrre «elementi di innovazione nella cooperazione internazionale in materia di sanità …, ricerca scientifica, tutela delle minoranze e lotta ai crimini transnazionali» (p. 157). Aspetti, questi, che godono ancora di estrema rilevanza a più di cent’anni dalla Conferenza del 1919.

Subscribe to our newsletter

Partners