III, 2020/2

Vincenzo Lavenia

Dio in uniforme

Review by: Silvia Mostaccio

Vincitore del Premio Paolo Prodi 2019

Authors: Vincenzo Lavenia
Title: Dio in uniforme. Cappellani, catechesi cattolica e soldati in età moderna
Place: Bologna
Publisher: Il Mulino
Year: 2017
ISBN: 9788815273253
URL: link to the title

Reviewer Silvia Mostaccio - Université catholique de Louvain

Citation
S. Mostaccio, review of Vincenzo Lavenia, Dio in uniforme. Cappellani, catechesi cattolica e soldati in età moderna, Bologna, Il Mulino, 2017, in: ARO, III, 2020, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/2/dio-in-uniforme-silvia-mostaccio/

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Il 2017 ha visto la pubblicazione di due diversi contributi di Vincenzo Lavenia, che mettevano in luce le sue notevoli competenze sull’universo dei cappellani militari cattolici in epoca moderna. Si tratta di due episodi maggiori di un lavoro di ampio respiro, in cui una solida e intelligente ricerca individuale ha saputo entrare in dialogo con il lavoro di altri ricercatori. Oltre a pubblicare nella collana «Studi e ricerche» de Il Mulino il libro che qui si presenta, Lavenia ha infatti coordinato il numero monografico del Journal of «Jesuit Studies» (4, 2017, 4) dedicato ai cappellani militari della Compagnia di Gesù. In entrambi i casi è evidente la centralità della prima età moderna (XVI-XVII secolo), come laboratorio di nuovi modelli per le società cristiane. Modelli che non furono solo religiosi, ma per i quali la religione costituì un elemento essenziale.

Sin dall’introduzione, il filo rosso dispiegato dall’autore appare chiaro; non si tratta né di seguire le evoluzioni teologiche sul tema della guerra e della violenza, né d’interessarsi alle pratiche pastorali messe in atto in contesti diversi dal clero cattolico. L’inchiesta ruota piuttosto intorno al «lessico militare», contenuto in tutta una serie di testi a stampa che circolarono presso gli eserciti – e in misura minore presso la società civile – in Europa occidentale tra il XV e il XIX secolo e che ebbero come oggetto la formazione cattolica dei militari.  Una letteratura del «dover essere», insomma, ma anche testi che riflettono le esperienze di generazioni di chierici impegnati tra accampamenti, trincee, cappelle itineranti e ospedali militari (la performatività di questi scritti sull’identità dei cappellani è peraltro evidente nell’insieme del libro). Tali fonti testimoniano in particolare lo sforzo di creatività pastorale che fu proprio della prima modernità: un tempo di riforma e d’espansione di un cattolicesimo militante, un’epoca caratterizzata da terribili guerre di religione, per le quali gli europei pagarono un tributo elevatissimo in termini di vite umane ma anche di risorse economiche e sociali. Al disordine, alla violenza e alla messa in discussione radicale degli ideali tardo-medievali e umanistici, si accompagnò, lo sappiamo bene, un importante sforzo di disciplinamento delle nuove società confessionali. Un processo lungo e certamente ancora incompiuto nella prima modernità, ma comunque in corso e assolutamente reale. Ha ragione, quindi, l’autore quando sottolinea la miopia storiografica di una minimizzazione sistematica di tale processo di disciplinamento delle società confessionali europee, rispetto al quale sempre più spesso si privilegiano le dinamiche di rivolta, disobbedienza, negoziazione. Non bisogna confondere un processo che si protrasse attraverso la prima modernità nel suo complesso «con la sua effettiva e immediata resa pratica» (p. 22). Con il suo libro Lavenia sceglie dunque di seguire tale processo a partire dal XV secolo, soffermandosi in particolare sulle novità del periodo della guerra degli Ottant’anni nelle Fiandre (1568-1648), per proseguire quindi la sua analisi sino alla fine del XIX secolo, seppure in modo più episodico. In ogni capitolo, agli scritti per i militari si accompagnano fonti a stampa di diversa natura che ne agevolano la comprensione, grazie a un gioco di specchi che permette d’intuire un intero sistema di bisogni e priorità.

I capitoli I (Tra guerra giusta e guerre sante. La crisi del Cinquecento cristiano) e II (I cappellani: la tradizione, la reinvenzione) rendono conto del contesto e dell’attività di sostegno spirituale ai militari all’epoca della spaccatura confessionale e della lotta contro l’espansione turca tra XV e prima metà del XVI secolo. Il primo Cinquecento aveva lasciato agli europei un dubbio più che fondato sulla compatibilità tra cristianesimo e guerra: se Erasmo insistette sull’illegittimità del ricorso alla violenza, Machiavelli denunciò gli effetti della cultura cristiana in relazione all'infiacchimento delle virtù guerresche degli Italiani. Nel suo primo capitolo Lavenia mostra il progressivo allontanamento da queste posizioni, pur così diverse, soprattutto da parte dei sudditi dell’Impero spagnolo: da Juan Ginés Sepúlveda a Iustus Lipsius, il neo-stoicismo permette di riaffermare la liceità della guerra cristiana su basi diverse da quelle di Machiavelli, giustificando il suo impiego in contesti quali le spedizioni militari americane, dove la conquista costituisce premessa alla conversione dei nativi, i primi conflitti confessionali nelle terre tedesche e la lotta contro i Turchi. Ed è proprio nell’ambito dell’opposizione all’espansione ottomana che alcuni esponenti dell’osservanza francescana svilupparono la propria visione del buon soldato cristiano contro gli infedeli che risalivano verso nord attraverso i Balcani e l’Ungheria. La figura di Giovanni da Capestrano, raccontata dal confratello Giovanni da Tagliacozzo, permette a Lavenia di mostrare la violenza dello slancio anti-ottomano del francescano, sottolineando la mancanza di una chiara coscienza della differenza tra violenza e sostegno spirituale. Tale ambiguità non rispondeva alla riflessione teologica e canonica sui religiosi presso gli eserciti, di cui l’autore riassume i momenti fondamentali a partire dal Concilio Laterano IV (1215). Nel pieno XVI secolo, il dilagare delle prime guerre confessionali, la nascita della Compagnia di Gesù (ordine fondato da un ex-militare spagnolo con l’obiettivo di svolgere un’attività missionaria nei contesti più difficili), la nuova consapevolezza da parte di alcuni sovrani – primo fra tutti Carlo V – della necessità di un sostegno spirituale e di un’educazione religiosa per i propri soldati si tradurrà in una presenza ben più numerosa e codificata di cappellani militari. Il capitolo III (Tra Cristo e Marte. La nascita di un genere) permette all’autore di seguire il filo cronologico del racconto ritornando sui risultati di precedenti ricerche sue e di altri, ad esempio quelle di Gianclaudio Civale e Ariane Boltanski. La Francia delle guerre di religione e il Mediterraneo delle imprese anti-ottomane costituiscono le prime palestre di una nuova pastorale che gesuiti come Emond Auger e Antonio Possevino doteranno dei libri necessari alla missione. La centralità dell’esperienza gesuita è ben  sottolineata dal capitolo centrale del libro (IV, Missioni castrensi), dedicato alle attività presso l’esercito spagnolo impegnato nella guerra degli Ottant’anni nelle Fiandre. A ragione Lavenia parla di «laboratorio»: gli esperimenti riguardarono tanto gli aspetti istituzionali quali la creazione delle prime cappellanie generali stabili – un sistema gerarchico specifico ai cappellani militari, con un vescovo al suo vertice – quanto la riflessione sui rapporti tra cappellani e militari e sui contenuti degli insegnamenti adatti a questi ultimi. La produzione di catechismi e libri devoti di Thomas Sailly, primo responsabile della missio castrensis, ne è un esempio eloquente. Mentre il capitolo V (Su un altro fronte. Nuovi modelli di soldato) permette di prendere il polso dei discorsi sul soldato cristiano costruiti in ambito protestante durante il XVII secolo – e questo soprattutto per le isole britanniche – , con il capitolo VI (Prima e dopo Westfalia. Materie di giustizia, diritto e affari di coscienza) l’autore integra al suo racconto lo spartiacque costituito dalla guerra dei Trent’anni: come in un puzzle, paragrafo dopo paragrafo, si ritrovano gli scritti e il linguaggio dei cappellani operanti presso le diverse potenze cattoliche: dalla declinante Spagna, alla Francia, alla Prussia con le sue minoranze cattoliche in un esercito essenzialmente luterano. Particolarmente interessanti risultano le pagine dedicate alle variazioni della teologia morale che proprio negli anni di questo conflitto cominciarono a interessarsi ai dubia conscientiae e più in generale alla casuistica in contesto militare. Se il capitolo VII (Il Settecento) analizza le forme di una pastorale militare che dovette trovare un proprio linguaggio tra le provocazioni di sistemi laici di pensiero politico e sociale e l’affermarsi di nuovi contesti di vita militare – pensiamo alle caserme, l’ultimo capitolo – (VIII, Morire per Dio, morire per la patria) fornisce un’antologia di testi che tradussero la grande sfida di una conciliazione tra cattolicesimo e patriottismo in nazioni dai profili molto diversificati quanto alle relazioni tra Stato e Chiesa: alla reciproca diffidenza in ambito francese e piemontese  fece da contrappunto, ad esempio, la loro sostanziale alleanza in Belgio o in Austria. Anche se Lavenia non fa riferimento al lungo XIX secolo – categoria qui più che pertinente –, nelle sue conclusioni insiste sul fatto che fu proprio nell’Ottocento che il clero cattolico, e in particolare quello impegnato a fianco dei soldati, pose le basi per il «coinvolgimento nella bolgia di nazionalismo e patriottismo» (p. 268) che sfociò nel Primo conflitto mondiale. È qui che comincia a prendere corpo la retorica del servizio alla patria-nazione, che si sostituirà progressivamente alla guerra per il trionfo della Chiesa e della vera fede.

Con questo libro Lavenia propone dunque alla comunità scientifica un lavoro interessante per più di una ragione. Essenziale è innanzitutto l’impressionante lavoro euristico svolto per riunire l’insieme di manuali, catechismi e racconti di vario genere, attraverso i quali seguire i cambiamenti del lessico per il militare cattolico. A questo sforzo di raccolta e di presentazione si accompagna inoltre la volontà di contestualizzare tali scritti, almeno in rapporto con gli ordini religiosi maggioritariamente impegnati nella cura castrense. Data la massa di testi analizzati, questo secondo aspetto non è approfondito in modo sistematico, ma quando l’esercizio è compiuto, il risultato è interessante e Lavenia dimostra la sua fibra di storico. Particolarmente efficace appare la trattazione dedicata ai casi delle missioni balcaniche, dell’osservanza francescana e delle missioni militari gesuitiche nelle Fiandre. Per quanto riguarda l’Ottocento, qualche approfondimento in più che integrasse i risultati più rilevanti di diversi studi pubblicati nel 2014 a proposito delle relazioni tra Compagnia di Gesù restaurata, Chiesa e società civile, sarebbe stato benvenuto, come pure il riferimento alle riflessioni di Hervé Drévillon sull’identità del soldato europeo tra Rivoluzioni e Restaurazioni (non sono solo i cappellani in quanto ecclesiastici a cambiare in quel periodo!). In ogni caso, nell'articolazione complessiva del volume, l’attenzione comparativa ha permesso a Lavenia di sottolineare l’evoluzione dei generi letterari ai quali si fece ricorso per la pastorale presso i soldati: dalle esortazioni ai capitani del periodo rinascimentale, ai catechismi e ai manuali devoti per soldati della prima modernità, sino ai romanzi storici e agli pseudo-diari dei militari ottocenteschi. Evidentemente, gli autori di questi testi cambiarono nel loro modo di rapportarsi ai militari, ma anche rispetto alla violenza che li circondava; e di questi cambiamenti di fondo si ritrovano nel libro diversi esempi che potranno essere sviluppati in ricerche future.

È evidente che la scelta di un percorso plurisecolare si dimostra particolarmente felice in relazione a certi mutamenti di fondo, come ad esempio quello dei rapporti tra Chiesa e Stato, analizzati qui a partire dalla pastorale militare: «la storia dei cappellani cattolici in epoca moderna in qualche modo si può considerare come una sequenza di forzature canoniche che, con piccoli strappi, aprirono un varco nella rete parrocchiale e diocesana tridentina per regolare il rapporto tra i pastori d’anime e una particolare classe di fedeli necessariamente svincolata da un territorio» (p. 204). Tali «strappi» del sistema diocesano tridentino si tradussero nella fattispecie in strutture di fatto interdiocesane (le cappellanie maggiori), che tra XVIII e XIX secolo saranno recuperate dallo Stato, dando origine alle cappellanie nazionali.

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