III, 2020/2

Sergio Botta

Dagli sciamani allo sciamanesimo

Review by: Claudio Ferlan

Authors: Sergio Botta
Title: Dagli sciamani allo sciamanesimo. Discorsi, credenze, pratiche
Place: Roma
Publisher: Carocci
Year: 2019
ISBN: 9788843090839
URL: link to the title

Reviewer Claudio Ferlan - FBK-ISIG

Citation
C. Ferlan, review of Sergio Botta, Dagli sciamani allo sciamanesimo. Discorsi, credenze, pratiche, Roma, Carocci, 2019, in: ARO, III, 2020, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/2/dagli-sciamani-allo-sciamanesimo-claudio-ferlan/

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È un libro ordinato, Dagli sciamani allo sciamanesimo, un libro nel quale Sergio Botta procede attraverso un percorso evidentemente a lui molto chiaro, ma ben identificabile anche per il lettore. Leggiamo una storia del concetto di sciamanesimo che parte da premesse ben definite e si sviluppa attraverso un percorso non sempre facile ma riconoscibile. La difficoltà è data dalla materia stessa, dal numero dei riferimenti alla letteratura scientifica e divulgativa, talvolta da un linguaggio non immediato che suggerisce una lettura meditata. L’autore è ben consapevole di tale complessità, tanto da dichiarare nelle conclusioni come essa stessa sia una caratteristica essenziale dello sciamanesimo, «attrattore di istanze spirituali e religiose anche profondamente eterogenee, una categoria capace di agglutinare desideri e bisogni, individuali e collettivi, in contesti tra loro molto diversi» (p. 149). L’ordine invece emerge dal menzionato fluire coerente della ricostruzione e dalla possibilità di riconoscere costantemente le domande di ricerca e il percorso necessario a trovare le risposte o forse, scritto con maggiore precisione, gli elementi sui quali è possibile costruire un’idea fondata sugli oggetti di studio.

Un buon punto di partenza per una recensione è il sottotitolo – Discorsi, credenze, pratiche – un complemento molto utile a svelare attraverso quali concetti si guardi agli sciamani e allo sciamanesimo. La ricerca di una definizione dell’oggetto di studio passa infatti attraverso l’analisi proprio dei tre concetti scelti per specificare il titolo. Fin dalle prime pagine si rivela un altro dei punti di forza del libro: la capacità di ragionare tra le discipline, evitando di costruire inutili barriere tra storia e antropologia, per esempio, e attingendo alla letteratura scientifica senza sottovalutare i «prodotti 'di confine'» (p. 18), tenendo così ben presenti i racconti di campo, le speculazioni e una notevole quantità di proposte interpretative. L’approccio interdisciplinare, presente in ogni pagina, è particolarmente vivace nel capitolo 6, Arcaicizzazione e idealizzazione. Ci sono dunque i discorsi, le credenze e le pratiche. E c’è anche, nella penultima pagina del libro, un’indicazione personale sulla meta da prediligere al termine della strada della ricostruzione: l’unica possibilità di definire lo sciamanesimo, scrive Botta, è riconoscerlo quale «proiezione, sempre mutevole e plastica, dello sguardo occidentale che ha prima assimilato fenomeni locali e li ha poi ripensati e gettati in una dimensione globale» (p. 149), facendone una sorta di religione globale. Molto più difficile invece proporre un’idea di sciamano, ma, lo sappiamo, è assai più arduo definire i confini di una persona (di un tipo) di quanto non sia farlo per un concetto. Rimane comunque affascinante, rispetto al soggetto, il discorso sulla controcultura statunitense e sugli antropologi sciamani, sviluppato nel capitolo 7 (Il neosciamanesimo come individualizzazione e istituzionalizzazione), dove viene preso in esame anche il complicato tema del peso delle sostanze psicotrope in certa narrazione sciamanica.

Facciamo un passo indietro e torniamo al capitolo introduttivo (il primo, Definire lo sciamanesimo), che segna quale punto di partenza del discorso la complessa ricerca di una definizione di «sciamano» e «sciamanesimo», termini che molte pieghe differenti hanno preso dopo la divulgazione fuori dal territorio di origine del vocabolo etnico šamān, con il quale in Siberia i Tungusi definivano gli operatori rituali. Già la scelta di un termine tra tanti è specchio di una impasse concettuale: l’osservatore estraneo descrive il fenomeno presente ai suoi occhi, consapevolmente o meno, attraverso una riduzione della complessità che invece nella rappresentazione linguistica dei suoi protagonisti è assolutamente presente. Si usano insomma termini altrui, scegliendoli sulla base di una conoscenza limitata, per descrivere cerimonie, rituali, rappresentazioni, partecipazioni, ruoli e molto altro con un solo šamān. Per essere chiari, l’introduzione della parola nel lessico europeo prima e nordamericano poi ha comportato semplificazione, imposizione di una categoria ideologicamente determinata e normalizzazione drastica (pp. 50-51). Siamo dunque giunti al punto di definire con una parola presa in prestito in maniera forse casuale da una cultura fenomeni tra loro molto diversi nello spazio e nel tempo, radicati geograficamente in culture e luoghi tra loro lontanissimi, solo talvolta capaci di comunicare: pregnante a questo proposito è il discorso sulla ricerca degli antecedenti dello sciamanesimo, posto al principio del capitolo 2 (La scoperta degli sciamani).

La chiave interpretativa attraverso la quale Botta pare lavorare con maggiore frequenza è quella di invenzione, scelta per il titolo del capitolo 3 (L'invenzione dello sciamanesimo) ma particolarmente efficace anche nello sviluppo del capitolo 4 (La diffusione nelle Americhe) dove si esaminano tra le altre cose la «comparabilità tra gli ambienti artici americani e asiatici» (p. 72) e i tentativi «di dimostrare l’esistenza di un 'complesso sciamanico'» (p. 73). L’autore mette qui in evidenza come nella storia del concetto di sciamanesimo sia centrale il momento in cui esso viene declinato quale aspetto di una sorta di religione primordiale capace di unire i cosiddetti popoli primitivi. Una rappresentazione, questa, che mi pare alla base anche di molte rivisitazioni attuali, poste a fondamento di progetti caratterizzati non di rado da un respiro prevalentemente commerciale, ammiccanti a certo turismo e non esenti dal rischio di cadere in logiche neocoloniali o consumistiche, come puntualmente annotato nell’ultima parte del libro (in particolare, ma non solo, nel capitolo 8: Il ritorno nei contesti indigeni). A questa nuova considerazione delle (sempre cosiddette) culture primitive contribuisce in maniera rilevante la loro rivalutazione attraverso il superamento di un paradigma interpretativo declinato in chiave medico-patologica di certi comportamenti e atteggiamenti dello sciamano: non più malato ma, al contrario, guaritore messo al servizio del proprio gruppo sociale. Si tratta di un percorso ricostruito nel capitolo 5 (Psicopatologia, medicalizzazione, de-medicalizzazione, cura).

Ho letto un libro da affrontare senza fretta, ripeto, arricchito da una bibliografia conclusiva scelta con cura ed essenzialità, capace di suscitare curiosità e di invogliare a non fermarsi qui.

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