III, 2020/2

Paolo Savoia

Cosmesi e chirurgia

Review by: Donatella Bartolini

Authors: Paolo Savoia
Title: Cosmesi e chirurgia. Bellezza, dolore e medicina nell'Italia moderna
Place: Milano
Publisher: Editrice Bibliografica
Year: 2017
ISBN: 8870759822
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Reviewer Donatella Bartolini

Citation
D. Bartolini, review of Paolo Savoia, Cosmesi e chirurgia. Bellezza, dolore e medicina nell'Italia moderna, Milano, Editrice Bibliografica, 2017, in: ARO, III, 2020, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/2/cosmesi-e-chirurgia-donatella-bartolini/

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Il libro è un interessante esempio di microstoria culturale. L’autore si è occupato di un’opera edita a Venezia nel 1597, il De curtorum chirurgia per insitionem, del medico bolognese Gaspare Tagliacozzi, da considerarsi la prima esposizione a stampa della tecnica con la quale venivano ricostruiti, in particolare, i nasi mutilati. Un lembo di pelle nella regione superiore del braccio veniva tagliato e fatto aderire alla parte sfregiata. Braccio e viso rimanevano collegati dal lembo di pelle per almeno tre settimane, alla fine delle quali, esso veniva reciso e modellato per dare forma al naso. La tecnica, che presentava inconvenienti dovuti al dolore e alla scomodità, è paragonabile a quella dell’innesto conosciuta e praticata in agricoltura.   

Savoia dichiara fin da subito di aver voluto riflettere sul «perché il medico … desiderava così tanto essere ricordato come 'chirurgo plastico' e sul «modo in cui la scienza medica ha mediato questo desiderio con quello dei suoi pazienti di avere il proprio volto restaurato nella sua bellezza e dignità» (p. 9). La ricerca si snoda attraverso sei capitoli e una conclusione tesi a illustrare «ciò che era rimasto fuori» (ibidem) dal De curtorum: il contesto, ma anche le ragioni inespresse dell’autore.

Il libro di Tagliacozzi, il cui posto nella storia della rinoplastica è riconosciuto da tempo, diviene oggetto di studio non per la sua valenza nell’ambito dello sviluppo delle tecniche ricostruttive, né all'interno di un’encomiastica biografia dell’inventore del «metodo Tagliacozzi». Il focus è qui posto sull’opera in quanto prodotto individuale, testimonianza dell’aspirazione del suo autore a lasciare traccia di sé in campo scientifico e, al contempo, mezzo per la costruzione di una carriera «spettacolare» (p. 47). Il libro si rivolgeva a un pubblico fatto di specialisti (si compone di due volumi, in latino, con un’impostazione in parte erudita, che spazia dai classici della medicina, alla fisiognomica, alla cosmesi), ma doveva avere delle ricadute anche in termini di prestigio sociale. Savoia si sofferma sulla biografia di Tagliacozzi quel tanto che basta per ricordarci della sua ascesa da figlio di un artigiano della seta a professore universitario e medico di Vincenzo Gonzaga. Le ragioni inespresse, quindi, hanno a che fare con le relazioni tra un professionista della salute che pratica la chirurgia e i suoi pazienti, in prevalenza membri del patriziato, e con l’ambiente universitario in grado di cooptare uomini di origini diverse, dal figlio di un artigiano al rampollo di una famiglia di medici collegiati. Il medico e i suoi pazienti sono due fattori complementari di una storia che si riflette nel libro e che Savoia (attraverso un approfondimento critico delle fonti disponibili sui casi trattati con questa tecnica) chiarisce nel primo capitolo: si tratta di uomini, aristocratici, mutilati in duello, in guerra o nel corso di una rissa. Uomini la cui immagine pubblica andava tutelata, a costo anche di un’operazione dolorosa. Nel secondo capitolo, Savoia torna a mostrarci la complementarietà dei due attori del libro attraverso il valore, non solo simbolico, degli strumenti da taglio: la spada dell'aristocratico e il rasoio del chirurgo. La metà del Cinquecento vide il fiorire della letteratura sul duello (condannata a Trento e messa all’Indice solo a partire dalla fine del secolo), trattati e scuole di scherma, e in genere riflessioni sull'onore, tema nel quale confluirono quelli della virtù, dell’idea di nobiltà e della rimodulazione dei valori cavallereschi. A prendersi cura delle ferite era uno spettro di figure professionali legate alla chirurgia (Savoia ne individua almeno cinque), con percorsi di formazione molto diversi, dall’empirico al barbiere-chirurgo, al chirurgo non laureato fino al medico che praticava la chirurgia, come Tagliacozzi, prodotto di una formazione umanistica e di un apprendistato manuale.

II De curtorum va anche inteso alla luce degli elementi che, come spiega Savoia nel terzo capitolo, costituivano nel XVI secolo «una cultura del volto»: fisiognomica, tradizione filosofica e medica, ritrattistica, letteratura, normativa penale, teologia, medicina legale, fino alla percezione popolare e sociale. Qual era il ruolo assegnato al viso nell’ambito dei rapporti sociali e di genere, nonché nel cammino di elaborazione del concetto di identità personale? E altrettanto essenziali sono i concetti di salute e politezza disaminati nel quarto capitolo, per spiegare il percorso intellettuale che porta Tagliacozzi a motivare, legittimandola, un’operazione di medicina cosmetica il cui fine principale «non è la restaurazione della bellezza originaria del volto, ma la riabilitazione delle sue funzioni» (pp. 115-116). Bellezza e funzionalità significano, riprendendo Galeno, salute, lo scopo di qualsiasi intervento medico.

Il libro in questione, però, è anche la sintesi di una tradizione collettiva fatta di sperimentazioni e tecniche esercitate da diversi «artigiani del corpo» (le famiglie dei siciliani Branca e dei calabresi Vianeo, per citare gli esempi più conosciuti) e passate attraverso la trasmissione orale di «segreti». Anche Tagliacozzi partecipa di questa tradizione e fissa nel suo lavoro ciò che si è sedimentato in quella «zona di scambio» (p. 118) di tecniche e abilità tra barbieri, chirurghi dotti e altre figure artigianali. Savoia dedica il quinto capitolo alla diffusione delle tecniche di innesto nel campo della botanica e della medicina, dando rilievo alle categorie di naturale e artificiale e al ruolo ad esse attribuito nell’ambito della cosiddetta «rivoluzione scientifica». Passando attraverso trattati di agronomia (Columella sopra tutti) e medicina, Tagliacozzi cerca di individuare «le implicazioni filosofiche delle sue operazioni» (p. 140) in un quadro concettuale, quello aristotelico-galenico, che non sempre soddisfa questa esigenza. È qui che il chirurgo bolognese, sostenendo l’importanza della tecnica a supporto del lavoro della natura, diviene emblema di un processo di cambiamento che portò, anche grazie al lavoro sommerso di tanti suoi colleghi, al superamento della fisiologia umorale prima del meccanicismo seicentesco.

Il sesto capitolo indaga l’atteggiamento dei chirurghi di età moderna nei confronti del dolore, elemento che accompagnava qualsiasi intervento, modulava i rapporti con il paziente e in qualche modo poteva costituire un deterrente all’esecuzione dell’intervento stesso. La posizione di Tagliacozzi all’interno dell’economia morale del dolore (con riferimento dunque alla ragione per cui sopportarlo) era legata all’etica stoica e alla volontà di tutela dell’onore di quegli uomini sfigurati, esponenti di classi sociali elevate, inseriti in una vita pubblica. La fortuna del libro è ricostruita in un capitolo finale nel quale è ribadito il carattere di unicità dell’opera, a metà tra trattato erudito e manuale pratico, che riflette le due anime del suo autore. Il volume presenta anche numerose immagini nel testo e tavole a colori, una ricca bibliografia e un indice dei nomi.

Il lavoro di Savoia offre un originale punto di vista sui rapporti tra scienza medica e società nel Cinquecento, valorizzando l’intreccio di motivi culturali, antropologici e intellettuali, questioni di genere, pratiche e teorie connesse al tema del volto. Esso guarda però anche all’oggi, ricordandoci con quali problematiche si misuri e quali sfide affronti la chirurgia ricostruttiva contemporanea nel suo prendersi cura di uno degli elementi fondamentali dell’identità individuale.

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