Reviewer Francesco Tacchi - Università di Venezia
CitationIl volume, dal taglio al contempo storico e sociologico, pone al centro il profilo del germanista Guido Manacorda (1879-1965), professore all’Università di Firenze dal 1925, studioso – noto soprattutto per la sua traduzione italiana delle opere di Wagner – in grado d’influenzare la percezione della Germania presso il pubblico colto della penisola fra le due guerre, nonché figura di spicco all’interno di un milieu intellettuale, quello dei “cattolici fascisti”, di cui Ostermann intende indagare minuziosamente i tratti socio-culturali e le ragioni alla base del suo convinto sostegno al regime mussoliniano.
All’illustrazione della biografia di Manacorda e di alcune personalità a lui idealmente vicine, ossia riconducibili alla medesima Weltanschauung (è il caso soprattutto di Piero Bargellini, Giovanni Papini, Auro d’Alba, Pasquale Pennisi, Paolo Bonatelli), è dedicata la prima parte dell’opera (pp. 25-110), che si preoccupa inoltre di ricostruire la genesi del Denkstil cattolico-fascista – il concetto, ripreso dal sociologo Karl Mannheim, è un elemento ricorrente lungo tutto il volume. La seconda parte (pp. 111-254) si focalizza invece sulla funzione para-diplomatica svolta da Manacorda durante gli anni Trenta, quando egli ebbe occasione di essere ricevuto ventidue volte in udienza da Mussolini e quattro da Hitler; la terza e ultima parte (pp. 255-375), infine, che l’autore etichetta significativamente come "wissensoziologischer und institutionenanalytischer Teil", ha per oggetto gli elementi costitutivi dell’‘ideologia’ cattolico-fascista, non trascurando al contempo di descrivere i rapporti concreti fra i suoi rappresentanti e il regime.
Ostermann individua nel 1929, e più precisamente nei Patti Lateranensi, il momento chiave che avrebbe dato il via al definirsi di un compiuto Denksystem cattolico-fascista, ad opera di intellettuali che da tempo coltivavano l’idea di una ricattolicizzazione della cultura e della società italiana nel suo insieme. Solo pochi mesi dopo il Concordato essi trovarono un canale privilegiato per esprimere il proprio punto di vista ne "Il Frontespizio", rivista diretta fra il 1930 e il 1938 da Piero Bargellini. La Conciliazione fra Stato e Chiesa, insomma, oltre a ricomporre la frattura generata dalla Breccia di Porta Pia, avrebbe alimentato in Manacorda e in altri come lui la speranza di una sintesi fra cattolicesimo e fascismo, tra pensiero cattolico e fascista, se non addirittura tra fede religiosa e fede fascista. Le energie di questi intellettuali si indirizzarono verso la legittimazione del regime da una prospettiva cattolica, con la conseguenza di contribuire alla sua stabilizzazione interna.
Manacorda, d’altra parte, ebbe modo d’interessare personalmente Mussolini alle sue concezioni cattolico-fasciste, nei colloqui che i due intrattennero soprattutto fra l’autunno del 1935 e i primi mesi del 1937, periodo in cui l’azione para-diplomatica del germanista conobbe il proprio culmine. Tale azione – priva per l’appunto di ogni carattere d’ufficialità – è un elemento noto da tempo alla storiografia: nel proprio volume Ostermann ricostruisce i vari momenti della funzione ricoperta da Manacorda, analizzandola fra l’altro alla luce del prisma mentale del professore fiorentino. Agendo di fatto come intermediario tra Mussolini e Hitler in una fase molto delicata sul versante diplomatico, egli incise sul processo di avvicinamento fra Germania e Italia culminato nell’Asse Roma-Berlino dell’ottobre 1936. L’apporto di Manacorda al superamento delle tensioni italo-tedesche dopo la Conferenza di Stresa, e quindi al delinearsi di una possibile intesa fra le due potenze in concomitanza con la guerra d’Etiopia, non sarebbe certamente da sopravvalutare, ma non vi è dubbio che egli abbia giocato un qualche ruolo, potendo attingere alla sua profonda conoscenza della lingua e della cultura tedesche.
Il profilo di Manacorda attore sulla scena internazionale è ricostruito da Ostermann anche in un’altra direzione: a ragione, infatti, l’autore evidenzia come l’attività ufficiosa svolta dallo studioso si collocasse all’interno di un triangolo i cui vertici coincidevano con Mussolini e il Führer, ma anche con il Vaticano di Pio XI. A partire dal 1936 il germanista si convinse di poter trovare una soluzione alla crisi ormai manifesta fra Stato e Chiesa cattolica in Germania: in un’udienza dell’ottobre di quell’anno egli discusse dell’argomento con lo stesso pontefice. I successi conseguiti presso i due dittatori, ad ogni modo, non si ripeterono in questo caso: il tentativo di Manacorda di giungere a un rasserenamento dei rapporti fra il Reich e la Chiesa, motivato in fondo dalle sue convinzioni religiose, non ebbe esito positivo. L’enciclica Mit brennender Sorge del marzo 1937 rappresentò in questo senso un duro colpo alle sue speranze.
La fase in cui Manacorda poté godere di un accesso privilegiato alle stanze di Mussolini e Hitler, come pure del contatto con altre personalità di spicco dei regimi di Italia e Germania, fu di breve durata. Ostermann nota come all’inizio del 1939 i due dittatori ritenessero ormai esaurita la funzione dello studioso e che la sua utilità, in altre parole, fosse venuta meno. Ciò comunque non ebbe particolari ripercussioni sull’atteggiamento di Manacorda, che come gli altri cattolici-fascisti era arrivato a interpretare il fascismo nei termini di una religione politica e a riconoscere in Mussolini un inviato della stessa Provvidenza divina. Proprio la figura del Duce, per certi versi trasfigurata nei suoi contorni, avrebbe costituito il perno della costruzione ideologica di Manacorda e degli intellettuali a lui vicini: non sorprende, di conseguenza, che il 25 luglio 1943 dovesse segnare in qualche modo la fine del cattolicesimo fascista inteso come Denkmodell.