Reviewer Massimo Zaccaria - Università degli Studi di Pavia
CitationA celebrazioni ormai concluse, si può concordare che uno dei tratti caratteristici delle ricerche prodotte in questi anni sulla Prima guerra mondiale sia stata la crescente consapevolezza della sua dimensione globale; si è passati da una storiografia dominata dalla storia politica e militare e tutta centrata sul fronte occidentale, a una visione sensibile alla dimensione sociale e culturale della guerra, entusiasticamente proiettata lontano dall’Europa. Si tratta di un risultato importante, frutto di un percorso lungo, condotto da singoli studiosi così come da gruppi di ricerca e scandito da conferenze, pubblicazioni e dibattiti. Inizialmente sono state la storia culturale e sociale ad insidiare il primato di quella militare e politica, che per decenni hanno rappresentato l’approccio quasi esclusivo alla Grande guerra. A partire dal nuovo millennio, un ulteriore contributo è arrivato dalla storia globale e transnazionale e dagli studi d’area. Partendo dalla constatazione che circa quattro milioni di non europei furono coinvolti nella guerra – come soldati o come forza lavoro – molti studiosi hanno iniziato a esplorare la ricaduta globale del conflitto, mettendo in evidenza come furono davvero pochi i paesi risparmiati dal conflitto.
In questa importante svolta, uno dei centri più attivi e stimolanti è stato indubbiamente il Zentrum Moderner Orient di Berlino (ZMO), a partire dalla pubblicazione, nel 2010, di un corposo volume apparso per Brill che può essere considerato un vero e proprio manifesto degli studi sulla Prima guerra mondiale attraverso la prospettiva della storia globale e transnazionale [1]. Tre anni dopo lo ZMO ha organizzato il convegno “The World During the First World War: Perceptions, Experiences, and Consequences” (Hannover 28-30 ottobre 2013), promosso in collaborazione con la Volkswagen Foundation che lo ha inserito all’interno dei suoi prestigiosi Herrenhausen Symposien. Poi, a distanza di quattro anni, gli stessi protagonisti hanno organizzato un nuovo Herrenhausen Symposium, questa volta dedicato a problematizzare la classica cronologia applicata alla Grande guerra, convenzionalmente racchiusa tra il giugno 1914 e il trattato di Versailles del 1919 (“The Long End of the First World War: Ruptures and Memories”, Hannover 8-10 maggio 2017). Tra la quarantina di partecipanti che si sono ritrovati ad Hannover figurano alcuni dei principali studiosi che in questi anni si sono distinti nella ricerca sulla Prima guerra mondiale e la sua dimensione transnazionale [2]. Il volume The Long End of the First World War. Ruptures, Continuities and Memoirs raccoglie dodici saggi presentati in tale occasione, organizzati in due sezioni principali: “New Approaches, Methodologies and Sources”, e poi “Historiographies and Remembrances”. Come si ricorda nell'agile introduzione, tre sono gli obiettivi che i curatori del volume si sono posti: problematizzare una cronologia della Grande guerra per molti aspetti troppo eurocentrica; valutare l'apporto che nuove fonti – fotografie, fonti sonore, cultura materiale, ecc. – possono fornire alla ricerca e, infine, proporre una riflessione su storiografia e politiche della memoria.
Il titolo del volume lascia presagire una certa enfasi sul fattore cronologico, anche se, in effetti, un solo contributo si confronta direttamente con questo aspetto: nel capitolo di apertura, Radhika Desaia indaga se la Prima guerra mondiale rappresenti l’inizio della crisi del sistema imperiale. Sempre nella prima parte, seguono contributi all’insegna della più recente storiografia sulla Grande guerra: la storia dell’ambiente (Iftekhar Iqbal), la storia della medicina (Chris Gratien), quella del commercio delle armi in Africa orientale (Felix Brahm) e delle migrazioni (Christopher Rominger). In questa prima parte, la questione della periodizzazione finisce ben presto per scomparire dall’orizzonte del lettore, ma i saggi riescono comunque a fornire utili esempi di come l’utilizzo di nuove fonti apra interessanti prospettive di ricerca.
La seconda parte, leggermente più lunga della precedente, è tutta dedicata alle storiografie e alle politiche del ricordo. Uno dei contributi più originali è quello a firma di tre dei quattro curatori del volume (Bromber, Lange e Liebau), dedicato alla commemorazione della Grande guerra nel Sud Globale. Nel capitolo vengono presentate alcune delle principali iniziative dedicate alla Grande guerra in Asia, Africa e America Latina, evidenziando come grazie a questi lavori si sia ulteriormente rafforzata la lettura della guerra come fenomeno globale. Leggermente difformi per natura e dimensioni, i saggi raccolti in questa sezione affrontano la politica espositiva sulla Prima guerra mondiale in Russia (Oksana Nagornaya), un prezioso esperimento di museologia (Franziska Dunkel), il rapporto fra identità nazionali e i cimiteri di guerra imperiali (Hanna Smyth), un’analisi comparata su come i testi scolastici di diciassette paesi presentino la Grande guerra (Barbara Christophe, Kerstin Schwedes), la rappresentazione del conflitto nella storiografia accademica turca fra gli anni Trenta e Cinquanta (Veronika Hager), e poi la contaminazione fra arte e storia ispirata dalla vicenda dei prigionieri internati nel “campo della mezzaluna”, a Wünsdorf (a sud di Berlino).
Dato alle stampe un anno dopo il Symposium, questo volume presenta sia i pregi sia i difetti di gran parte dei volumi collettanei. La pluralità di voci, l’originalità di buona parte delle ricerche proposte, l’indubbia esperienza dei curatori, riescono a mitigare in modo particolare le disparità fra alcuni contributi, sia per lunghezza sia per qualità: nel volume, ad esempio, accanto a capitoli molto strutturati e con un buon respiro, abbiamo la veloce presentazione di un progetto di dottorato che, tolte le immagini, non supera le sei pagine di testo. Nel suo non volere includere la storia militare e quella politica, questo lavoro si allinea ad un trend consolidato, in parte in reazione all’egemonia che le due discipline hanno esercitato in passato. Ma, più che isolare la storia politica e militare, bisognerebbe forse sollecitare una loro maggiore partecipazione alle nuove esperienze di ricerca sulla Grande guerra. È singolare, ad esempio, che un volume sulla lunga fine della Prima guerra mondiale, non riservi praticamente alcuno spazio alla Conferenza della Pace di Parigi, un avvenimento che si presta bene ad una rilettura in chiave di “Global Studies”. Forse il titolo del volume risulta fuorviante, ma per chi volesse farsi un’idea sulle più recenti tendenze in merito alla dimensione globale della Grande guerra, questa è una lettura consigliata.
[1] H. Liebau - K. Bromber - K. Lange - D. Hamzah and R. Ahuja (edd.), The World in World Wars. Experiences, Perceptions and Perspectives from Africa and Asia, Leiden, Brill, 2010
[2] Per chi fosse interessato, è possibile visionare le varie sessioni dello Herrenhausen Symposium in questione all’indirizzo: https://lisa.gerda-henkel-stiftung.de/conference_opening_the_long_end_of_the_first_world_war?nav_id=7040