III, 2020/1

Leonard V. Smith

Sovereignty at the Paris Peace Conference of 1919

Review by: Giovanni Bernardini

Authors: Leonard V. Smith
Title: Sovereignty at the Paris Peace Conference of 1919
Place: Oxford
Publisher: Oxford University Press
Year: 2018
ISBN: 9780199677177
URL: link to the title

Reviewer Giovanni Bernardini - FBK-ISIG e European University Institute

Citation
G. Bernardini, review of Leonard V. Smith, Sovereignty at the Paris Peace Conference of 1919, Oxford, Oxford University Press, 2018, in: ARO, III, 2020, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/1/sovereignty-at-the-paris-peace-conference-of-1919-giovanni-bernardini/

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Il centenario della Conferenza di Pace di Parigi è stato prodigo di lavori dedicati tanto alla ricostruzione dei suoi complessi negoziati, quanto alle conseguenze delle sue risoluzioni per il corso del XX secolo. Tra questi, certamente il volume di Leonard Smith si è guadagnato con merito una posizione di assoluta rilevanza per più ragioni, a cominciare dal coraggio dimostrato dall’autore. Noto principalmente per le sue molte e originali pubblicazioni riguardanti la storia politica, sociale, culturale e militare della Francia durante la Prima guerra mondiale, Smith espone sin dalla prefazione (tra le più eleganti che sia dato leggere) l’obiettivo programmatico di confrontarsi con una nuova duplice sfida: non soltanto spingere lo sguardo verso il dopoguerra, ma farlo superando una narrazione meramente cronologica della Conferenza per sviscerare, scomporre e sottoporre il suo corso a un’analisi concettuale che dialoghi con le più note teorie delle relazioni internazionali. A tale scopo Smith individua il nodo centrale della propria disamina nel tema – quanto mai attuale – della sovranità, di cui l’assise di Parigi fu un laboratorio a ogni livello. Sovranità esclusiva era innanzitutto quella che si attribuirono i principali vincitori della guerra nel farsi (come Smith ripete spesso) “governo provvisorio del mondo”; nello stabilire i criteri sui quali fondare l’ordine postbellico e nell’autorizzare le tante eccezioni; nel prendere decisioni di enorme portata per il futuro ordinamento europeo e globale, legittimando la creazione di nuove frontiere o di nuovi Stati, decretando l’appartenenza nazionale delle popolazioni o persino deliberando il loro spostamento. Ma la questione della sovranità e della sua ridefinizione riguardava anche i criteri e le modalità di una giustizia internazionale che mettesse alla sbarra o meno i responsabili della carneficina bellica; e più ancora la legittimità interna di vecchi e nuovi governi, nel momento in cui l’esito della guerra era interpretato a posteriori come vittoria delle democrazie contro i regimi autoritari, e in cui ben quattro imperi multinazionali erano crollati. Infine, sulla ricerca di forme di sovranità stabili e universalmente legittime si fondavano le speranze riposte nella Società delle Nazioni, elemento inedito che ereditava dalla Conferenza il compito di impedire in futuro il ritorno all’anarchia, alla violenza e alla legge del più forte dei rapporti tra Stati.

Il primo capitolo del libro è probabilmente anche il più ostico, a causa dei molti riferimenti alla teoria delle relazioni internazionali, con cui lo stesso autore ammette di avere acquisito confidenza in corso d’opera. Tuttavia, se si allarga lo sguardo dal particolare al complesso della narrazione, si intravede già uno dei principali meriti del volume: piuttosto che avventurarsi in analisi ardite e approssimative sulle conseguenze di lungo periodo di quanto fu deciso a Parigi, Smith richiede al lettore tutta la sua attenzione per identificare nel dettaglio gli attori singoli e collettivi della Conferenza, le loro gerarchie determinate dagli eventi e dal peso relativo negli affari internazionali e la struttura che la Conferenza assunse e che ebbe una rilevanza significativa nel determinare suoi risultati. L’esposizione è dunque propedeutica ai capitoli successivi, a cominciare da quello sulla “giustizia”, così come essa fu intesa e applicata a Parigi. Qui Smith espone con grande chiarezza alcuni dei nodi fondamentali della Conferenza, il cui resoconto ha maggiormente influenzato la storia successiva: il tema delle “colpe” e delle “responsabilità” per il conflitto, e soprattutto le differenze tutt’altro che trascurabili tra le due categorie; nonché le riparazioni a carico degli sconfitti che ne conseguirono. Ma sono soprattutto i due capitoli dedicati alla risistemazione dei territori e delle popolazioni (“unmixing” è il termine usato da Smith) che il lettore troverà particolarmente illuminanti nel  loro dare conto di molti aspetti spesso sottostimati dalla storiografia precedente. A risaltare sono soprattutto due elementi di tensione che più di altri hanno condizionato i lavori della Conferenza e ne hanno pregiudicato i risultati, soprattutto in rapporto alle enormi attese: quello tra l’universalità dei principi proclamati, in particolar dai “quattordici punti” enunciati dal Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, e l’irriducibile complessità delle situazioni particolari che dovevano essere oggetto della loro applicazione. L’altro paradosso fondamentale è quello  che si determina  tra la pretesa di legittimità delle potenze vincitrici nell’imporre le proprie decisioni in qualunque parte del globo e la reale estensione, piuttosto limitata nello spazio e nel tempo, del loro potere effettivo: questo aspetto divenne ben presto evidente ai margini dell’Europa, come nel caso della Turchia, o al di fuori di esso con l’impossibile sistemazione del Medio Oriente. Il capitolo successivo è dedicato alla “gestione della Rivoluzione” nelle molteplici accezioni che il termine aveva assunto ancora prima della fine della guerra: certamente quella bolscevica, che si andò consolidando proprio nel periodo della Conferenza, ma anche le altre rivoluzioni politiche, sociali e nazionali, più o meno effimere, esplose nei paesi originatisi dalla dissoluzione degli ex imperi multinazionali; infine, il rischio della rivoluzione sociale percepito anche nei paesi vincitori, e quello della rivoluzione anticoloniale nel “sud del mondo”, entrambi prodotti dal malcontento e dalla presa di coscienza collettiva provocata dalla guerra. Ad aprire lo sguardo verso gli anni Venti e le conseguenze di più lungo periodo della Conferenza è infine l’ultimo capitolo, dedicato alla travagliata storia della Società delle Nazioni, creatura prediletta di Wilson che tuttavia – come è noto – gli Stati Uniti abbandonarono prima ancora della sua nascita.

Per la profondità analitica, per l’attenzione ai particolari senza perdere di vista i dibattiti di principio, per la capacità di considerare insieme elementi apparentemente eterogenei, il volume di Leonard Smith è certamente una lettura non facile, che pretende dal lettore un’attenzione costante e uno sforzo di sintesi non comune. Nondimeno, le stesse ragioni ne fanno una lettura imprescindibile per chi voglia comprendere pienamente il significato storico della Conferenza di Pace del 1919 ben oltre la narrazione manualistica e lontano da anacronismi e semplificazioni.

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