III, 2020/1

Bruno Pomara Saverino

Rifugiati

Review by: Irene Fosi

Authors: Bruno Pomara Saverino
Title: Rifugiati. I moriscos e l’Italia
Place: Firenze
Publisher: Firenze University Press
Year: 2017
ISBN: 9788864534534
URL: link to the title

Reviewer Irene Fosi - Università G. D'Annunzio, Chieti - Pescara

Citation
I. Fosi, review of Bruno Pomara Saverino, Rifugiati. I moriscos e l’Italia, Firenze, Firenze University Press, 2017, in: ARO, III, 2020, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/1/rifugiati-fosi-irene/

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L’attenzione alla presenza di minoranze etniche e religiose nello spazio mediterraneo, ai passaggi, agli insediamenti, temporanei o definitivi, non solo nelle città italiane, rappresenta senza dubbio il tema, declinato in modi diversi, di una recente e corposa storiografia. Già dieci anni fa, in una rassegna, critica Mercedes García Arenal osservava come la crescita di interesse per il tema moresco fosse influenzata anche dalla "current and controversial presence of Muslims in Europe today" (Religious Dissent and Minorities: The Morisco Age, in “The Journal of Modern History”, 81, 2009, pp. 888-920, qui p. 891). La studiosa asseriva però che l’attenzione alle minoranze non fosse compensata dall’osservazione delle esperienze individuali, delle strategie di sopravvivenza adottate per sé e per le proprie famiglie. Si trattava quindi di comprendere l’influenza del contesto storico sulle decisioni individuali, decifrandone così cambiamenti e adattamenti. Con tutti i limiti e i pericoli ben noti, le fonti giudiziarie e i processi avrebbero aiutato a colmare questo vuoto. Da allora il panorama storiografico si è ulteriormente arricchito. Non c’è dubbio che, insieme a una ormai collaudata ricerca sul tema – vago, mal posto o addirittura distorto da interessi contingenti – dell’identità, il fenomeno, spesso drammatico, delle migrazioni contemporanee abbia suscitato interessi nuovi, aperto originali percorsi di ricerca su fonti inesplorate e riletto, da un’angolatura diversa, documenti che ci parlano degli “stranieri fra noi”. Temi, dunque, scivolosi perché facilmente preda di manipolazioni e usi impropri. Attenzione, dunque, anche alle parole: stranieri, migranti, religious minorities, rifugiati. Ognuno di questi termini assume una pluralità semantica se non collocato e analizzato nel proprio, più ampio contesto storico. Sfugge a questi inganni il volume di Bruno Pomara Saverino: l’autore, pur ammettendo il non trascurabile influsso di vicende e problemi contemporanei nell’analisi di una polimorfa realtà che segnò la prima età moderna, riesce a coglierne le dinamiche proprio nel più ampio contesto politico, religioso culturale della Spagna e dell’area mediterranea del Cinque e Seicento. Giustifica così anche l’apparente anacronismo del titolo: "rifugiati" era già stato usato in Francia e in Inghilterra (refugés/refugees) per indicare gli ugonotti costretti a fuggire dopo la revoca dell’editto di Nantes (p. 17). Articolato in cinque capitoli, corredato da un’appendice documentaria e da una ricca bibliografia, il libro si apre con l’introduzione in cui l’autore ripercorre la storiografia sulla questione morisca per poi riassumere, nel primo capitolo, gli avvenimenti ("Dal battesimo alla deportazione. Breve compendio dei moriscos", pp. 29-37). L’autore pone l’accento sull’opera di Fernand Braudel che ha avuto "il merito di scorgere la pluralità di ‘problemi morischi’", ma sottolinea che, a distanza di decenni "molti studiosi non hanno ancora metabolizzato, ignorando la sua lezione» (p. 13). Civiltà e imperi fu pubblicato nel 1949, settant'anni fa, ma la storiografia che continua ad indagare su un Mediterraneo talvolta inventato sembra non aver prestato molta attenzione a questo anniversario. È proprio dalla constatazione della pluralità dei problemi legati ai moriscos, alla loro espulsione, al destierro, che Pomara ha condotto un’indagine ricca, originale, fondata su una vasta e solida documentazione archivistica finora inesplorata. Certo, non sono mancati recenti studi sulla posizione della Chiesa in merito all’espulsione: basti ricordare quanto ha scritto S. Pastore in un contributo pubblicato in un volume collettaneo in cui, significativamente, manca un saggio sui moriscos e l’Italia (S. Pastore, Rome and the Expulsion, in The Expulsion of the Moriscos from Spain, ed. by M. García Arenal - G. Wiegers, Leiden-Boston, Brill, 2014, pp. 132-155). Gli attriti fra Paolo V e Filippo III, la produzione di opere coeve di autori come Giovanni Botero, Antonio Quintini, Damián Fonseca sono qui considerate come la necessaria premessa per capire il diverso e spesso contraddittorio atteggiamento dei sovrani italiani di fronte all’ondata migratoria moriscos e alla possibilità di accoglierli nei loro domini, di consentirne almeno il passaggio. Ma come reagirono gli stati italiani di fronte alla prospettiva di accogliere o rifiutare chi era stato cacciato dalla propria terra? I moriscos erano cristiani, ma questa non era una condizione sufficiente per accoglierli; un’aura di sospetto accompagnava la loro presenza. Potevano essere elementi di contaminazione, non solo della religione cristiana, ma di riti, cerimonie, pratiche quotidiane. Meglio evitarli, insomma. La posizione degli stati italiani non fu, tuttavia, sempre improntata a un così netto rifiuto  e la loro linea di condotta dipese dai rispettivi rapporti con la Monarqía. Se infatti Genova adottò una inequivocabile chiusura, Venezia, grazie alla consolidata presenza in città di minoranze attive nei commerci e alla scarsa sintonia con la politica spagnola, accolse i moriscos. Altri stati aprirono le porte, ma solo per farli transitare. I Medici videro in questi disperati una possibile risorsa per ripopolare le Maremme e altre zone da bonificare. In questo quadro sfaccettato, analizzato dall’autore con una ricca documentazione che spazia dai bandi, alle lettere dei nunzi, ai carteggi di inquisitori e vescovi, città portuali come Livorno e Napoli (pur in una collocazione geopolitica ben diversa) offrono un panorama sui generis, non solo nei confronti dei moriscos, ma anche di altre minoranze e di stranieri eretici, come inglesi, fiamminghi, tedeschi. Più complessa risulta, invece, la situazione nello Stato Pontificio. L’analisi della posizione di Paolo V nei confronti dei moriscos è centrale in tutto il volume. Papa Borghese non si trovò in sintonia con la decisione di Filippo III – malgrado non pochi volessero far credere il contrario – di espellere i moriscos divenuti, dopo la rivolta delle Alpujarras (1569), il nemico interno da eliminare. Il papa non disapprovava la loro cacciata, ma vedeva nella mancata informazione ‘ufficiale’ da parte del sovrano un’offesa alla potestas pontificia e l’oggetto per una facile manipolazione propagandistica. Inoltre, come ben evidenziato dall'autore, essendo battezzati, i moriscos non erano considerati dalla Chiesa né eretici né infedeli, ma neofiti, pianticelle da educare per far crescere in essi i ‘semi’ della vera fede gettati con il battesimo. La politica di Paolo V non portò tuttavia ad aprire i porti: nuovi documenti hanno infatti permesso a Pomara di individuare ordini di allontanamento dei moriscos dai territori pontifici e di scoprire una "negazione dell’asilo, quando non una misura di espulsione vera e propria per i moriscos riusciti ad insediarsi dentro i territori pontifici" (p. 155). Ma in realtà, come accadeva anche per i ripetuti divieti agli eretici di ingresso nei territori cattolici, le disposizioni emanate non venivano messe in atto o erano facilmente aggirate. E così Roma diventava, per tutti, una meta agognata: chi era arrivato a Civitavecchia, ad Ancona, o attraverso altri percorsi, voleva solo andare a Roma, sperando nella giustizia e misericordia del papa, confidando in una rete caritativa che permetteva di sopravvivere, di vivere e anche di integrarsi. Erano caratteristiche ben note agli stranieri, ai pellegrini, ai poveri. A Roma i moriscos si inseriscono grazie a un’accorta strategia di insediamento nella topografia urbana fortemente segnata dalla presenza spagnola, dove si trovano soluzioni abitative a basso costo, come ad esempio, nel cosiddetto Borghetto dei Pidocchi. Forse la documentazione della parrocchia di S. Maria del Popolo avrebbe potuto aggiungere ulteriori informazioni a questo già ricco panorama documentario. I moriscos si ‘sentivano’ e si presentavano come spagnoli, cristiani, e potevano così contare sulla solidarietà di cristianos viejos; cercando di non esporsi, di guadagnarsi una buona fama nel vicinato, di non creare scandalo. Era una presenza silenziosa che non costituì mai un problema dal punto di vista teologico e dottrinale ma soprattutto, non si presentò né fu percepita come un corpo estraneo in una società che non conobbe mai l’ostilità etnica, non fu ossessionata, come quella iberica, dalla limpieza de sangre. A queste conclusioni giunge l’autore dopo un lungo percorso di indagine condotto su documenti inquisitoriali come i Decreta del Sant’Uffizio, e su alcuni processi criminali. Proprio queste fonti, intrecciate con i documenti parrocchiali, permettono di ricostruire vicende individuali, appassionanti e tragiche, rappresentazioni di sé che parlano di volontà di integrazione, ma anche di un desiderio di nascondersi, di svanire inosservato nei meandri delle città ospiti. Vite che si ricompongono sotto la lente dell’inquisitore che permette di cogliere e, talvolta, di seguire le tracce di un’esistenza, di un passaggio e, molto spesso, del nulla che rimane. Altri, forse i più, non hanno incrociato organismi giudicanti e di essi non sappiamo nulla. Nella consapevolezza di non poter fornire cifre appena sicure, Pomara ha ricomposto un mosaico di esperienze vissute, di emozioni individuali e collettive senza mai perdere di vista il quadro normativo e politico nel quale si consumò l’epopea di sradicamento e di diaspora morisca.

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