III, 2020/1

Simone Paoli

Frontiera sud

Review by: Luciano Tosi

Authors: Simone Paoli
Title: Frontiera sud. L'Italia e la nascita dell'Europa di Schengen
Place: Milano
Publisher: Mondadori - Le Monnier
Year: 2018
ISBN: 9788800747394
URL: link to the title

Reviewer Luciano Tosi - Università degli Studi di Perugia

Citation
L. Tosi, review of Simone Paoli, Frontiera sud. L'Italia e la nascita dell'Europa di Schengen, Milano, Mondadori - Le Monnier, 2018, in: ARO, III, 2020, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/1/frontiera-sud-luciano-tosi/

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L’Italia ha a lungo affrontato il problema dell’emigrazione dal punto di vista di un paese esportatore di manodopera, adoperandosi per cercare sbocchi occupazionali ai propri emigranti e per favorirne la tutela nei paesi di immigrazione. Inoltre, specie in occasione delle due guerre mondiali, l’Italia è stata partecipe di accordi in materia di emigrazione in cui lo Stato interveniva non solo per la tutela degli emigranti ma anche per perseguire più ampi interessi nazionali, specie in materia di pianificazione economica. Non si deve neppure dimenticare  il fatto che il paese sia stato pioniere delle convenzioni multilaterali volte a favorire la liberalizzazione del mercato del lavoro, la sua pianificazione e la legislazione sociale internazionale, incontrando quasi sempre l’opposizione dei paesi più industrializzati. All’indomani del secondo conflitto mondiale le esperienze e le iniziative italiane in materia di emigrazione ebbero la loro naturale prosecuzione nell’azione volta a favorire la libera circolazione dei lavoratori nell’ambito della CECA e della CEE, principio sancito nei Trattati di Roma grazie anche all’impegno italiano al riguardo.

Allorché, negli anni Settanta, l’Italia cominciò a divenire paese di immigrazione, si trovò ad affrontare problemi per essa del tutto nuovi, con i quali invece da decenni si confrontavano i paesi più industrializzati, e reagì con un atteggiamento – culturale prima ancora che politico – improntato all’accoglienza e all’europeismo, come documenta il bel libro di Simone Paoli. Il volume ricostruisce il tormentato iter italiano per entrare nell’area Schengen. Il volume, sulla scorta di un’ampia documentazione archivistica e bibliografica, illustra non solo i negoziati diplomatici, ben inquadrati peraltro nel contesto internazionale, ma anche la dialettica interna italiana tra le forze politiche e sociali in materia di emigrazione. Ben evidenziati sono anche il contrasto tra la maggioritaria vocazione italiana all’accoglienza e la posizione degli altri paesi europei, più propensi in genere a politiche restrittive, e la preferenza di Roma per accordi in ambito comunitario piuttosto che intergovernativi. Opportuno rilievo hanno inoltre i più ampi obiettivi di politica estera dell’Italia e degli altri paesi. Sullo sfondo si affollano i volti di milioni di uomini in cerca di una vita migliore.

Sin dall’inizio del negoziato si manifestarono sia la volontà dell’Italia di partecipare allo stesso, sia le diffidenze degli altri paesi, specie della Francia, per la sua politica di accoglienza degli extracomunitari, che attraverso le frontiere interne aperte avrebbero potuto raggiungere i loro territori, accrescendo i rischi di azioni terroristiche, i traffici di droga ecc. L’Italia restò inizialmente fuori dai negoziati, mentre crebbe la sua apertura per l’emigrazione dal Medio Oriente e dal Nord Africa, anche in funzione delle ambizioni mediterranee allora coltivate dal paese.

Il forte spirito di accoglienza diffuso in Italia fece naufragare vari tentativi legislativi di carattere restrittivo e solo nel 1986 si approvò una prima legge blandamente restrittiva dell’immigrazione irregolare. Nel 1987 iniziarono i negoziati per ammettere l’Italia all’area Schengen, anche se rimanevano ancora forti sia le diffidenze verso il paese, specie da parte francese, sia l’avversione verso Schengen di ampi settori della politica e della società italiane, contrari alla “fortezza Europa”. Paoli ricostruisce l’evoluzione di tale atteggiamento, il parallelo sviluppo dei tentativi di regolamentare l’immigrazione (Legge Martelli) e le divisioni che cominciarono a manifestarsi nel paese tra restrizionisti e aperturisti, specie dopo la caduta del Muro di Berlino, che rese ancora più difficili i negoziati.

Il 19 giugno 1990 Francia, Germania e Benelux firmarono la convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen. Ripresero i negoziati con l’Italia, che, sempre più alle prese con il fenomeno immigratorio, tentò di internazionalizzare la questione investendo la Comunità europea e patrocinando una soluzione mediana tra totale chiusura e totale apertura.  Essa si adeguò, tuttavia, ad una politica restrittiva anche perché, all’inizio di marzo del 1991, si trovò ad affrontare le conseguenze della crisi albanese che in pochi giorni spinse sulle coste italiane 28.000 albanesi. Dopo un iniziale, generoso atteggiamento di accoglienza, cominciarono le preoccupazioni per “l’invasione”; l’Italia avviò quindi i rimpatri e pose in essere l’Operazione Pellicano.

La crescita del fenomeno emigratorio in Europa, conseguente alla grande instabilità nei paesi dell’Europa Orientale e del Medio Oriente, rese difficile il processo di ratifica per l’entrata in vigore degli accordi di Schengen. I contrasti e le difficoltà, presenti nei vari paesi, in Italia erano acuiti dalla crisi del 1992-1993, ma i governi Amato e Ciampi sostennero Schengen e il Parlamento approvò la ratifica degli accordi il 30 settembre 1993. Il nostro paese, tuttavia, rimase per il momento fuori dall’area Schengen a causa delle rigide condizioni poste dalla Francia, sempre più restrittiva e preoccupata per le aperture italiane verso l’emigrazione maghrebina, per possibili infiltrazioni mafiose e per il traffico di droga. Del resto, l’Italia, a causa della crisi politica, non era in grado di assicurare efficienti sistemi di controllo alle proprie frontiere.

Il problema fu ripreso in esame dal governo Dini mentre le frontiere orientali del paese erano sotto assedio a causa della crisi in atto nei Balcani; dall’Italia i profughi passavano in Francia e Germania, che criticavano la permissività del nostro paese e continuavano a negargli la ratifica dell’adesione a Schengen. Solo con il successivo Governo Prodi, animato da una forte volontà di “portare l’Italia in Europa”, si riuscì a varare una riforma organica in materia di emigrazione (legge Turco-Napolitano), superando le divisioni esistenti nel paese al riguardo. Si fronteggiò inoltre con successo nel 1997 la seconda crisi albanese, che comportò una ripresa degli sbarchi in Italia, e, specie con la Missione Alba, si stabilizzò il Paese delle Aquile. Si superano quindi le riserve europee e l’Italia entrò nell’area Schengen il 1° aprile 1998.

Come opportunamente rileva Paoli nelle conclusioni del lavoro, gli accordi di Schengen, anche con la complicità della Commissione europea, più attenta all’obiettivo del mercato unico che non a salvaguardare l’ortodossia comunitaria, non hanno raggiunto il loro duplice obiettivo di favorire la libera circolazione e la sicurezza delle frontiere, tutelando al tempo stesso gli interessi del capitalismo europeo. La globalizzazione, la fine della Guerra fredda e la diffusa coscienza dell’importanza della tutela dei diritti umani hanno reso inoltre difficile il raggiungimento dell’obiettivo dei paesi dell'Europa settentrionale di scaricare sui paesi mediterranei della Comunità gli oneri del controllo delle frontiere. Anche l’Italia non è riuscita a conseguire a pieno i propri obiettivi, come la libera circolazione comunitaria rispettosa dei diritti umani, né a realizzare le proprie ambizioni geopolitiche mediterranee, non disponendo di risorse e di alleanze adeguate. Inoltre, anche per la sua crisi interna, il paese ha dovuto accettare un sistema intergovernativo, non comunitario, che ne ridimensiona il ruolo nella stessa Comunità europea, e subire profonde conseguenze nella sua politica emigratoria tradizionalmente accogliente.

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