III, 2020/1

Daniela Hacke - Paul Musselwhite (ed.)

Empire of the Senses

Review by: Federica Morelli

Editors: Daniela Hacke - Paul Musselwhite
Title: Empire of the Senses. Sensory Practices of Colonialism in Early America
Place: Leiden
Publisher: Brill
Year: 2018
ISBN: 9789004340640
URL: link to the title

Reviewer Federica Morelli - Università di Torino

Citation
F. Morelli, review of Daniela Hacke - Paul Musselwhite (ed.), Empire of the Senses. Sensory Practices of Colonialism in Early America, Leiden, Brill, 2018, in: ARO, III, 2020, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/1/empire-of-the-senses-federica-morelli/

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Questo volume collettaneo propone di studiare la storia dell’imperialismo europeo in America analizzando il ruolo che i cinque sensi ebbero nel determinare le relazioni culturali, il sapere coloniale e le relazioni politiche e sociali degli imperi del Nuovo Mondo. L’espansione e la colonizzazione europea coinvolsero infatti un’ampia serie di esperienze e pratiche sensoriali che contribuirono a giustificare e a costruire le strutture politiche, economiche e culturali imperiali. L’obiettivo dei curatori del volume è duplice: da un lato, decostruire quella visione moderna ed eurocentrica del mondo che ha limitato l’esperienza sensoriale a quella visuale ed essenzialmente scritta; dall’altro, rompere con una storia dei sensi di tipo intellettuale che ha in gran parte dominato il campo di studi fino ad ora. Lo sforzo è quello di recuperare quelle pratiche sensoriali, emerse e sviluppatasi in seguito alla scoperta di nuovi paesaggi, persone, piante, animali, colori e oggetti che caratterizzavano il Nuovo Mondo. 

Il libro è diviso in quattro parti. I saggi della prima parte, intitolata "Cultural Encounters", analizzano le interazioni culturali tra gli europei e gli indigeni, soprattutto attraverso il tatto (Céline Carayon) e l’udito (Jurra Toelle e Micaela Ann Cameron). I contributi della seconda parte ("Colonial Subjectivity") esplorano invece come i colonizzatori concepiscano e interagiscano con l’ambiente americano e come questo influisca sulla costruzione della loro identità (Annika Rapke e Marilía Dos Santos Lopes). Nella terza parte ("Structures of Knowledge"), i saggi di Daniela Hacke, di Megan Baumhammer e Claire Kennedy e quello di Andrew Kettler analizzano come gli europei abbiano cercato di interpretare la nuova esperienza sensoriale, appropriandosene per costruire un nuovo tipo di conoscenza scientifica. Infine, i saggi della quarta parte ("Colonial Projects") esplorano i modi in cui gli scienziati e gli economisti cercarono di manipolare e controllare l’esperienza sensoriale americana proveniente dalle piante (Kate Mulry) e dal mondo sottomarino (Rebecca von Mallinckrodt) al fine di elaborare progetti che miravano a un rafforzamento del controllo dello Stato sulla società coloniale. 

Il volume solleva molteplici spunti di riflessione interessanti, ma, a mio modo di vedere, uno dei più importanti è la sollecitazione a riflettere su come l’esperienza sensoriale sia pervasiva nelle fonti (scritte e visuali) relative alla scoperta e alla colonizzazione del Nuovo Mondo. Queste, anche se prodotte prevalentemente da europei, sono essenzialmente il risultato di un processo di ibridazione culturale che avviene attraverso l’uso dei sensi, ossia di esperienze e percezioni che non restituiscono affatto uno sguardo eurocentrico. Fare una storia del colonialismo a partire dalle percezioni sensoriali implica quindi non solo un nuovo sguardo sulle fonti scritte, ma anche riconsiderare la loro natura eurocentrica. Le fonti scritte e visuali utilizzate dagli autori di questo libro sono infatti da interpretare come uno spazio che racchiude esperienze interculturali e significati già negoziati in precedenza e per questo costituiscono forme narrative eterogenee e non eurocentriche. La prospettiva sensoriale offre quindi un approccio originale per decostruire e interpretare le fonti sulla storia coloniale europea. 

Un secondo punto forte del libro, che emerge dalla lettura di vari contributi, è costituito dall'intento di porre in risalto come la percezione sensoriale non sia solo un modo per conoscere il mondo, ma contribuisca anche all’elaborazione di una sorta di sapere coloniale. Attraverso la percezione sensoriale, molte fonti scritte, come i resoconti dei viaggiatori o delle autorità coloniali, processano la conoscenza locale indigena, rendendola inseparabile dalla narrativa egemonica sulla sua appropriazione, traduzione e ricezione da parte degli europei. Le pratiche sensoriali erano strettamente legate agli obiettivi politici delle spedizioni, così come lo era il fatto di dimostrare agli europei la possibilità di colonizzazione e sottomissione delle terre e delle popolazioni del Nuovo Mondo. È interessante notare, a questo riguardo, come anche il linguaggio sia il risultato di questa pratica sensoriale, in quanto le descrizioni e i resoconti europei includevano spesso termini indigeni, trasposti, in base al suono, nelle lingue europee. 

Uno dei punti più deboli del volume riguarda la prospettiva sensoriale degli indigeni o degli africani. Le fonti utilizzate dal libro sono infatti testi e immagini prodotti esclusivamente da europei che, anche se ci restituiscono una visione transculturale e ibrida dell’esperienza coloniale, difficilmente rivelano la soggettività di questi gruppi. Tale assenza si giustifica in parte con la scarsità di fonti direttamente prodotte da indigeni e africani, soprattutto in alcuni contesti. Probabilmente l’inclusione dell’America spagnola (nel libro sono presenti casi dell’America portoghese, inglese e francese), avrebbe permesso in parte di ovviare a questo problema, data la presenza di molte fonti visuali prodotte dagli indigeni sulla loro percezione della conquista o dell’arrivo degli spagnoli, soprattutto in Messico. L’inclusione dell’esperienza sensoriale degli africani giunti nel Nuovo Mondo attraverso la tratta degli schiavi risulta ancora più difficile; eppure, anche se poche, ci sono fonti che possono rivelarci degli elementi su come la loro esperienza sensoriale si trasforma nel Nuovo Mondo. Ad esempio, il senso di malessere percepito dagli europei nelle isole caraibiche, descritto da Annika Raapke nel suo saggio, potrebbe essere comparato con la descrizione che Olaudah Equiano fa, nella sua famosa bibliografia, sul malessere e dolore fisico percepito nei Caraibi. L’aggiunta di questo tipo di fonti avrebbe permesso al libro di sottolineare meglio non solo come gli imperi erano giustificati e imposti, ma anche le forme di resistenza all’impero da parte dei gruppi subalterni. 

 

 

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