III, 2020/1

Quinto Antonelli

Cento anni di Grande guerra

Review by: Francesco Frizzera

Authors: Quinto Antonelli
Title: Cento anni di Grande guerra. Cerimonie, monumenti, memorie e contromemorie
Place: Roma
Publisher: Donzelli
Year: 2018
ISBN: 9788868437282
URL: link to the title

Reviewer Francesco Frizzera

Citation
F. Frizzera, review of Quinto Antonelli, Cento anni di Grande guerra. Cerimonie, monumenti, memorie e contromemorie, Roma, Donzelli, 2018, in: ARO, III, 2020, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2020/1/cento-anni-di-grande-guerra-francesco-frizzera/

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Il volume di Quinto Antonelli è suddiviso in sei sezioni, cronologicamente e tematicamente distinte. Descrive la lunga durata – e la tenace persistenza, nonostante lo scorrere del tempo – della memoria e del mito del primo conflitto mondiale, secondo scaglioni temporali ben identificati, ma non alternativi l’uno all’altro. La prima sezione del libro è dedicata all’immediato dopoguerra ed è intitolata “Memorie in conflitto. Socialisti, reduci e fascisti nel primo dopoguerra”. La seconda sezione dedica un medaglione specifico e approfondito alle vicende delle “terre redente” nel primo dopoguerra ed è intitolata “Memorie «redente». Trento, Bolzano, Trieste e il culto degli «eroi martiri»”. La terza sezione fornisce uno spaccato non banale di come questa memoria abbia acquisito una fisionomia dai tratti decisi, ma non necessariamente appiattita sui dettami imposti dal regime, nel periodo fascista; essa ha come titolo: “Memorie eroiche. Chiesa, scuola e regime nell’educazione nazionale degli italiani”. La quarta sezione è dedicata al secondo dopoguerra e, in continuità con la chiave di lettura politico-partitica della prima sezione, analizza le “Memorie nazionali. Il patriottismo competitivo di cattolici e comunisti nell’epoca della guerra fredda”, testimoniando la profondità di attecchimento dei discorsi patriottico-nazionali. La quinta sezione si avvicina ad un saggio di storia della storiografia e non sorprendentemente è intitolata “Memoria del dissenso. Pacifismo e nuova storiografia negli anni Sessanta”. Segue una sezione conclusiva, che giunge a riflettere sul presente e sulle tendenze più marcate che hanno caratterizzato la ricerca storica a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso, senza che questo sforzo ermeneutico sia riuscito con costanza a imporsi come paradigma interpretativo diffuso e comunemente accettato; tale sezione è stata intitolata “Memorie soggettive. Tradizioni estenuate e ricerche dal basso”.

La sola scansione delle sezioni in cui è diviso il libro, ulteriormente ripartito in 22 densi capitoli, fornisce il metro della complessità dell’opera, della sua ricchezza, della vastità di letture dell’autore e, non da ultimo, dell’ambizione non certo celata del volume di divenire punto di riferimento ermeneutico per i discorsi sulla memoria del conflitto in Italia, al termine delle ricorrenze del centenario dello stesso. Si può sostenere che l’opera costituisca una summa dei principali discorsi sulla memoria del conflitto che hanno caratterizzato il lungo dipanarsi di questa nel Novecento. Una summa non certo banale o edulcorata e che presenta, per il lettore che si accosti a questi temi, il vantaggio di fornire decine di indicazioni puntuali in nota e una vastità geografica e sociale di approcci non certo scontata: non ci si limita ai discorsi ufficiali dei grandi centri urbani o alle manifestazioni memorialistiche più macroscopiche, ma si dedica attenzione alle aree rurali, marginali, che prima del conflitto si trovavano oltre confine, costruendo una geografia complessa dei discorsi – e dei discorsi potenziali ma precocemente messi a tacere – sul conflitto; si propone una geografia sociale che tiene conto delle parole d’ordine partitiche e delle diverse modalità di interpretare un evento periodizzante, senza tuttavia appiattirsi su questo,  provando a sondare la forza di queste interpretazioni con quanto accade nel mondo scolastico, clericale, antagonista; percorrendo l'onda lunga della memoria e della ricerca storica si fa attenzione a fenomeni di studio che prendono piede al di fuori del mondo accademico e non manca mai l’attenzione a quanto delle elaborazioni legate alla ricerca venga filtrato nei discorsi pubblici e ufficiali.

Le linee rosse che collegano questa enorme mole di informazioni – all’intero della quale il lettore potrebbe anche perdersi, data la dimensione dell’analisi - sono ben chiarite dall’autore nella premessa. Lo scheletro del volume è dato dalla volontà di indicare “chi sono stati nel tempo i custodi, gli amministratori e gli imprenditori, i responsabili delle memorie materiali e monumentali, come di quelle narrative, scritte e orali, pubbliche o ridotte, per censura, a un mormorio sotterraneo”. Il focus è quindi costituito dai produttori e dai creatori di memoria. Ne consegue una spiccata attenzione per i decision makers, gli attori associazionistici e istituzionali, che permea l’intero volume. Il secondo trait d'union del volume è rappresentato dalla tesi di fondo dello stesso, esplicitata fin dalle prime battute: secondo l’autore, “a plasmare la memoria collettiva, ufficiale ed egemone, della Grande guerra non sono (stati) quasi mai gli storici; al contrario, sono (stati) i soggetti politici e istituzionali, le associazioni combattentistiche, gli addetti più vari alle comunicazioni di massa, i giornalisti, gli architetti, i registi cinematografi e giù giù fino ai cappellani militari, ai parroci, ai maestri di scuola, ai redattori dei libri di testo, agli scrittori per l’infanzia”. Questa prospettiva, pur scansionata in sei sezioni solo all’apparenza antitetiche (la storia della “memoria di pietra” e della monumentalizzazione del culto dei caduti, ad esempio, si può seguire solo leggendo più capitoli e più sezioni del libro) narra della sostanziale continuità di ritualità e mitografie a cavallo di Italia liberale, fascismo e Repubblica; continuità resa iconica dal monumento al Milite Ignoto e dalle celebrazioni ricorrenti ai sacrari. In questo quadro, all’apparenza monolitico, il lettore può beneficiare della presentazione di tanto in tanto della vitalità – anche se sotterranea – delle contromemorie o delle memorie non sovrapponibili a quella ufficiale, tra cui spiccano quella socialista, quella delle provincie “redente”, quella dei subalterni, riscoperta mediante il ricorso – tardivo - all’oralità e alle scritture soggettive.

L’affresco che ne emerge è interessantissimo e raccoglie all’apparenza tutto quanto sembra necessario sapere sulle modalità in cui si costruisce, si radica e muta la memoria del conflitto nel contesto italiano. Alcune valutazioni a prima vista brusche, ma giustificate, sulle modalità prevalenti di riproposizione di questa memoria, apparentemente a senso unico, a cento anni di distanza dal conflitto arricchiscono il volume con una riflessione sulla contemporaneità, che tende a perpetuare una liturgia del ricordo estenuata, a far prevalere   pubblicazioni divulgative scarsamente approfondite, a riempire i territori del Nord-Est di una pletora di piccoli musei della Grande guerra, ricchi di “militaria”, ma poveri di capacità interpretativa.

Il volume, data la dimensione dell’argomento, presta inevitabilmente il fianco ad alcune criticità, in parte per ammissione dello stesso autore. Non tratta – o tratta solo en passant – il fenomeno culturalmente rilevante della letteratura di guerra, che soprattutto negli anni Venti e Trenta del secolo scorso ha rappresentato un medium imprescindibile nella costruzione del mito del conflitto. Il focus prevalente dell’analisi è costituito dall’attività e dalle parole d’ordine di associazioni, comitati e partiti politici e, a livello di peso specifico, dall’esperienza di recupero delle storie dal basso e della costruzione di mitografie attraverso lo strumento/agency della scuola: si tratta di una posizione e di una chiave interpretativa ragionevole e condivisibile, soprattutto per un’analisi di tal genere, e per di più in linea con il background dell’autore. Nell’analisi che viene proposta per altri importanti casi nazionali si dimostra tuttavia  la rilevanza di altri fenomeni di costruzione della memoria, al di fuori di questi circuiti. Il volume, in questo passaggio, dimostra una conoscenza didascalica esemplare e un’erudizione minuta su quanto accade nel quadrante italiano, ma presenta scarsi riferimenti alla grande letteratura internazionale sul tema, che pure esiste e nell’ultimo ventennio ha prodotto saggi ineludibili. L’ultimo parziale limite alla fruibilità completa del libro è di responsabilità dell’editore: il volume manca di una bibliografia che possa orientare il lettore nell’enorme mole di opere citate. L’utile indice dei nomi sopperisce in parte a tale mancanza.

Il risultato storiografico, in termini complessivi, è di grande rilievo: il volume si pone per dimensioni e profondità d’analisi come punto di riferimento significativo per comprendere le dinamiche della costruzione della memoria del conflitto, secondo una prospettiva di lungo periodo e beneficiando di un’apertura geografica (“le terre redente”) e sociale (“i subordinati” e gli sconfitti) di fondamentale importanza.

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