II, 2019/2

Kiran Klaus Patel

Projekt Europa

Review by: Gabriele D'Ottavio

Authors: Kiran Klaus Patel
Title: Projekt Europa. Eine kritische Geschichte
Place: München
Publisher: C.H. Beck
Year: 2018
ISBN: 9783406727689
URL: link to the title

Reviewer Gabriele D'Ottavio - Università degli Studi di Trento

Citation
G. D'Ottavio, review of Kiran Klaus Patel, Projekt Europa. Eine kritische Geschichte, München, C.H. Beck, 2018, in: ARO, II, 2019, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2019/2/projekt-europa-gabriele-dottavio/

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Sulla storia dell’integrazione europea esistono ormai numerose trattazioni generali valide. Per la maggior parte, però, queste opere di sintesi faticano a uscire dal regno del descrittivo-narrativo. Con il suo volume Projekt Europa. Eine Kritische Geschichte, Kiran Klaus Patel propone un nuovo approccio al tema, in cui la dimensione interpretativa prevale nettamente su quella ricostruttiva.

Dal punto di vista metodologico, una prima importante novità è data dalla scelta dell’autore di ripercorrere la vicenda storica seguendo un criterio tematico e non cronologico. Più precisamente, gli otto capitoli del volume affrontano, in una prospettiva diacronica, altrettanti nodi tematici che vengono identificati con alcune coppie di concetti: «Europa e integrazione europea» (cap.1), «pace e sicurezza» (cap. 2), «crescita economica e benessere» (cap. 3), «partecipazione e tecnocrazia» (cap. 4), «valori e norme» (cap. 5), «mostro burocratico o strumento nazionale» (cap. 6), «disintegrazione o disfunzionalità» (cap. 7), «la Comunità europea e il suo mondo» (cap. 8). In tal modo Patel prende esplicitamente le distanze da quell’impostazione tradizionale, spesso appiattita su una narrazione istituzionalista e progressiva, che considera la costruzione europea come un «processo» segnato da tappe costituenti intervallate da periodi di crisi o di stasi e da altrettanti «rilanci».

La decostruzione di topoi narrativi consolidati e di alcuni miti storiografici collegati costituisce, quindi, il principale filo conduttore del volume, che viene presentato, già nel sottotitolo, come una «storia critica». Si tratta a tutti gli effetti di una storia critica non solo per l’impostazione esplicitamente anti-teleologica e il taglio fortemente argomentativo adottato nell’esposizione, ma anche e soprattutto per il tentativo dichiarato dell’autore di proporre una rimodulazione, se non una riconcettualizzazione, del discorso storico e storiografico sull’integrazione europea alternativa a quella canonica. Le ricostruzioni convenzionali risultano infatti spesso ancorate all’individuazione delle presunte forze propulsive ovvero di quelle antagoniste dell’integrazione e, dunque, poco adeguate sia per cogliere la complessità della cosiddetta «costruzione europea» nei suoi risvolti materiali e nei meccanismi riflessivi e autoriflessivi che hanno concorso al suo discorso storico, sia per comprenderla come parte della più ampia storia europea del XX secolo. Soprattutto, tali ricostruzioni appaiono poco funzionali per risolvere da un punto di vista cognitivo quella che oggigiorno costituisce un’evidente aporia. Da un lato, osserva Patel, l’immagine dell’odierna Unione europea non potrebbe essere più positiva sullo sfondo di pratiche discorsive e forme di autorappresentazione che ne esaltano il ruolo di pacificazione, il grande contributo dato alla crescita economica e una politica orientata ai valori e allo spirito di «un’Unione sempre più stretta tra i cittadini europei». Dall’altro lato, molti critici tendono invece, e non da oggi, a demonizzare l’UE come un «mostro burocratico» che spreca soldi e risorse, ledendo o addirittura frantumando la sovranità nazionale.

In un dialogo costante con la storiografia internazionale più aggiornata e attraverso l’apporto di nuove fonti documentarie, Patel sottopone a verifica la validità euristica di queste narrazioni, giungendo a risultati importanti sul piano della comprensione ermeneutica. Il primo topos che viene decostruito è la narrazione che proietta nel passato un’accezione contemporanea dell’Unione europea, intesa come attore sui generis della politica internazionale, spesso identificata con il concetto, tanto imprescindibile quanto sfuggente, di Europa. In realtà, ricorda Patel, all’epoca della loro istituzione la Comunità europea del carbone e dell’acciaio e successivamente la Comunità economica europea furono percepite dalle classi dirigenti e dall’opinione pubblica europee solo come due fra le tante forme di collaborazione europea che l’esperienza traumatica della Seconda guerra mondiale e le dinamiche della Guerra fredda avevano reso possibili. L’affermazione della Comunità europea, oggi UE, come soggetto prevalente tra le varie forme di collaborazione europea viene dunque spiegata come il risultato di un graduale, contrastato e tutt’altro che scontato processo di ri-significazione politico-culturale-simbolica del progetto d’integrazione europea.

A partire da questa operazione di storicizzazione dell’odierna idea di Comunità/Unione europea, si comprendono meglio sia la decisione di Patel di attenersi alla cosiddetta «regola dei trent’anni» che normalmente disciplina l’accesso agli archivi e, di conseguenza, di non estendere l’analisi oltre il Trattato di Maastricht del 1992, sia il significato, altrimenti fraintendibile, del titolo del libro, «Progetto Europa». L’idea di una marcata dimensione progettuale nella storia dell’integrazione allude infatti all’esistenza non già di un unico progetto unitario, bensì di un’originaria e perdurante pluralità di visioni di Europa, spesso concorrenti tra loro e successivamente confluite in scenari e soluzioni che erano (e restano ancora oggi) difficilmente prevedibili.

L’approccio storicista invocato da Patel per correggere le distorsioni prospettiche insite nelle narrazioni correnti viene quindi integrato, e al tempo stesso implementato, con un’analisi focalizzata sui risultati e sugli effetti concreti prodotti dall’integrazione europea in determinati momenti storici. Anzitutto, le evidenze empiriche portano l’autore a identificare le principali ragioni che hanno reso possibile l’affermazione dell’immagine della Comunità europea quale attore sui generis, ovvero come un soggetto di azione politica prevalente rispetto agli altri organismi multilaterali di cooperazione europea. In primo luogo, Patel ricorda gli effetti spillover legati alla natura dei Trattati di Roma come accordo quadro; spillover che hanno consentito alle istituzioni comunitarie e ai loro interpreti di estendere la loro capacità di intervento in molti ambiti della politica nazionale inizialmente non previsti dai Trattati. In secondo luogo, l’autore sottolinea la crescente rilevanza di una cultura giuridica europea sostenuta dall’attivismo giurisprudenziale della Corte e, più in generale, dall’operato dei funzionari europei, i quali, nel processo di formazione e implementazione delle politiche comunitarie, hanno dato vita a un complesso intreccio di rapporti inter-istituzionali che filtrano, spesso sovrapponendoli, gli interessi e le politiche degli enti sovranazionali, statuali e sub-statuali. Infine, Patel pone l’accento sulla circostanza che ha visto le Comunità europee beneficiare di una più ampia disponibilità finanziaria rispetto alla maggior parte delle organizzazioni multilaterali europee, arrivando a disporre, a partire degli anni Settanta, di risorse proprie.

È proprio nel corso degli anni Settanta e poi degli anni Ottanta del Novecento che, secondo la ricostruzione di Patel, le acquisizioni materiali dell’integrazione ottenute prevalentemente in ambito economico e giuridico – iniziano a costituire un terreno fertile per la diffusione di pratiche discorsive politico-mediatiche raffiguranti la Comunità europea come un attore sui generis; pratiche e topoi narrativi che, tuttavia, finiscono per ascrivere all’integrazione europea anche risultati e conquiste che in realtà erano stati raggiunti grazie all’intervento di altri attori e/o fattori della storia europea del secondo dopoguerra. Il presunto grande apporto dato dall’integrazione europea alla pace e alla sicurezza negli anni Cinquanta e Sessanta, ad esempio, va riconsiderato, secondo Patel, con maggiore oggettività e, nella fattispecie, ridimensionato alla luce del ruolo fondamentale che in questo contesto ebbero la Guerra fredda e la collaborazione transatlantica sotto la guida degli Stati Uniti. Lo stesso vale per il complesso tema del rapporto tra partecipazione politica e internazionalismo tecnocratico, allorché il secondo fenomeno sarebbe, in fin dei conti, risultato di gran lunga più pervasivo rispetto al primo di quanto si sia soliti ritenere al cospetto dei tentativi, scarsamente efficaci, intrapresi dalle istituzioni comunitarie per ottenere una maggiore legittimazione da parte dei cittadini europei. Molto più sfumata, a tratti ambivalente, risulta anche l’immagine della Comunità europea nel più ampio contesto globale. Il suo modello di comportamento in politica estera corrispose infatti solo in piccola parte, e solo in alcune fasi storicamente circoscritte, a quello della «potenza civile», cioè a quello di una potenza che lavora per civilizzare le relazioni interstatali, ossia per trasformarle seguendo le direttive del multilateralismo, della cooperazione e del diritto internazionale. A tale riguardo, Patel non manca di rimarcare le logiche post-coloniali, protezioniste (soprattutto nel settore della politica agricola) nonché dell’antagonismo geopolitico e ideologico della Guerra fredda che ispirarono l’azione internazionale della Comunità europea.

I tanti volti dell’Europa comunitaria che ci vengono restituiti in questo volume riflettono la sopra ricordata pluralità di concezioni, visioni e declinazioni del «Progetto Europa», che sono in larga parte, anche se non esclusivamente, collegati alla resilienza, ma anche alla dinamica evolutiva degli attori statuali e sub-statuali. Su questo sfondo, assume contorni più chiari anche la seconda importante novità metodologica della «storia critica» di Patel: lo Stato continua a rappresentare il punto di riferimento essenziale per la ricostruzione storica, ma principalmente in una prospettiva interessata a indagare in che modo la storia dell’integrazione e i processi transnazionali che la caratterizzano lo abbiano trasformato. Da questo punto di vista, la «storia critica» di Patel può essere considerata come il tentativo ad oggi più riuscito di una storia dell’integrazione europea filtrata attraverso la lente offerta dal concetto di «europeizzazione», alla cui teorizzazione come categoria di analisi in ambito storiografico lo stesso autore ha contribuito in passato. L’assunto epistemologico sotteso a questo concetto è che anche la storia europea, di cui l’integrazione europea è parte costitutiva, possa essere studiata, sulla base di un approccio costruttivista, come una pluralità di «spazi di esperienze» e «orizzonti di aspettative» - caratterizzati dalla compresenza e dai reciproci condizionamenti tra una serie di processi istituzionali, politici, economici e pratiche sociali e culturali che hanno prodotto diverse forme di autopercezione e autorappresentazione storica, risignificando continuamente l’idea stessa d’Europa. Su questo terreno si intravedono, già da alcuni anni, nuovi promettenti campi d’indagine, soprattutto in un’ottica interessata a tenere insieme filoni che la ricerca ha a lungo considerato separatamente, come la storia politico-diplomatica, la storia economica, la storia sociale e la storia delle idee. L’applicazione di questa impostazione fortemente orientata a valorizzare le sollecitazioni provenienti della più recente ricerca empirica a una trattazione generale sulla storia dell’integrazione europea costituisce, a giudizio di chi scrive, uno dei principali meriti di questo volume.   

Nelle ultime pagine Patel non rinuncia, attraverso un riepilogo dei principali insegnamenti che si possono ricavare dalla propria analisi, a esplicitare la finalità pedagogica di un volume che si pone come obiettivo anche quello di decostruire la percezione diffusa tra i contemporanei secondo cui il «progetto Europa» oggigiorno starebbe attraversando una crisi esistenziale senza precedenti. Si tratta di una scelta velatamente normativo-prescrittiva che si può anche non condividere, ma che nulla toglie all’elevato valore scientifico di un lavoro che, soprattutto quando sarà disponibile l’edizione inglese, appare destinato a occupare uno spazio centrale nella storiografia internazionale sull’integrazione europea.

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