II, 2019/1

Gianni Haver, Jean-François Fayet, Valérie Gorin, Emilia Koustova (eds.)

Le spectacle de la révolution

Review by: Stefano Pisu

Editors: Gianni Haver, Jean-François Fayet, Valérie Gorin, Emilia Koustova
Title: Le spectacle de la révolution. La culture visuelle des commémorations d’Octobre
Place: Lausanne
Publisher: Antipodes
Year: 2017
ISBN: 9782889011353
URL: link to the title

Reviewer Stefano Pisu - Università di Cagliari

Citation
S. Pisu, review of Gianni Haver, Jean-François Fayet, Valérie Gorin, Emilia Koustova (eds.), Le spectacle de la révolution. La culture visuelle des commémorations d’Octobre, Lausanne, Antipodes, 2017, in: ARO, II, 2019, 1, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2019/1/le-spectacle-de-la-revolution-stefano-pisu/

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Il volume raccoglie i contributi di 17 studiose e studiosi che hanno indagato come il regime sovietico ha rappresentato il proprio avvenimento fondatore – la Rivoluzione d’ottobre del 1917 – con una prospettiva diacronica capace di coprire tutta la parabola storica dell’URSS. Nell’introduzione si precisa l’oggetto di ricerca, affermando che «le spectacle de la révolution désigne la choréographie festive ainsi que les multiples autres représentations par lesquelles le pouvoir soviétique se met en scène à l’occasion des commémorations de l’acte fondateur du régime» (p. 12). Questa definizione permette di allargare il campo di ricerca: non solo si investigano contenuti e forme delle commemorazioni annuali della presa del potere, manifestatesi in origine tramite parate militari e popolari, ma si considera altresì la multimodalità con cui le autorità hanno inteso comunicare in patria e non solo quell’atto fondatore. Le commemorazioni – a partire dalla principale, ovvero la manifestazione del 7 novembre – sono scandagliate nella loro evoluzione spettacolare (Koustova, pp. 31-48). In principio ridotta e spontanea, la parata commemorativa trovò una forma stabile e codificata a metà degli anni Venti. Negli anni Trenta questa coreografia assunse toni più rigidi, con la messa in scena di un popolo disciplinato e mobilitato attorno a Stalin, mentre la sfilata delle truppe sulla Piazza Rossa del 7 novembre 1941 inaugurò il rapporto concorrenziale fra la memoria rivoluzionaria e quella bellica, la quale – quest’ultima – avrebbe legittimato il ruolo di potenza militare e geopolitica dell’URSS durante la guerra fredda. Il sottotitolo chiarisce che sotto la lente della ricerca è posta proprio la formazione progressiva e cangiante di una cultura visiva delle commemorazioni dell’Ottobre le quali, con il loro portato di simboli, riti e miti, avrebbero dovuto svolgere la loro funzione primaria di unire, legittimare e mobilitare.

Ma le commemorazioni non si consumano soltanto nell’hic et nunc dell’effimero momento in cui si svolgono le parate. Esse sono anche, e forse soprattutto, rappresentazioni di lunga durata. Tale nozione di commemorazione come rappresentazione interessa diversi ambiti. Innanzitutto, la produzione di immagini, giacché, prendendo rapidamente le distanze dall’iconoclastia rivoluzionaria, la prassi commemorativa in URSS generò una produzione iconografica enorme in quantità e natura: essa va dalle bandierine ai film cosiddetti documentari e cinegiornali a quelli esplicitamente di finzione (Sumpf, pp. 179-195; Gorin, Haver, pp. 197-211; Tcherneva, pp. 213-231), passando per le fotografie, i manifesti, i quadri (Pichon-Bonin, pp. 121-137), le cartoline e i francobolli (Fayet, pp. 89-119), le medaglie fino ad arrivare a oggetti di uso domestico come le stoviglie e porcellane. Inoltre, il volume evidenza le caratteristiche di “cerimoniale mediatico” delle celebrazioni dell’Ottobre in quanto fotografato e filmato, prima per la stampa e per il grande schermo, per essere poi trasmesso per radio e dagli anni Cinquanta in televisione. Mentre inizialmente la parata del 7 novembre fu pensata come un set cinematografico, col passare del tempo si adeguò alle rivoluzioni mediatiche del XX secolo, che ne aumentarono la possibilità di diffusione prima ai paesi satelliti, poi su scala globale (Gorin, pp. 255-271).

Il lavoro dà conto anche delle diverse declinazioni che le commemorazioni hanno preso a seconda dei tipi di supporti utilizzati. Se negli anni Venti – oltre ai manifesti e alla stampa illustrata – la radio svolse un ruolo rilevante, nel decennio successivo alla traccia sonora si aggiunse quella filmica, tramite l’inserto dei cinegiornali prima delle pellicole di fiction. Dagli anni Cinquanta si registra un salto qualitativo grazie alla graduale diffusione di massa degli apparecchi televisivi che fecero entrare la commemorazione in una dimensione ancora più privata. La televisione intervenne nella costruzione stessa del cerimoniale, trasformandosi da semplice mezzo di diffusione ad autentico agente co-organizzatore della pratica commemorativa. Fra le varie declinazioni che concorrono alla rappresentazione delle commemorazioni non vi furono solo le immagini, fisse e in movimento, e i suoni; ciò che si sviluppa dalla fine degli anni Venti è una autentica industria del merchandising commemorativo-rivoluzionario che riguarda una varietà di prodotti tangibili, effimeri o collezionabili, come bandierine, francobolli, cartoline, quadri, porcellane e tessere.

Infine, un altro tema rilevante della ricerca concerne la circolazione internazionale dello spettacolo commemorativo che contribuisce alla sua ulteriore amplificazione. Si tratta, tuttavia, di una circolazione disomogenea: essa può limitarsi a una mera diffusione dei passaggi radiofonici, cinematografici o televisivi; ma può anche tradursi in una riappropriazione creativa dei destinatari, come nel caso delle manifestazioni organizzate in Germania Est e in Ungheria (Gorin, Haver, pp. 84-85) o della stampa e dei manifesti prodotti in Europa occidentale (Haver, pp. 159-177; Ducoulombier, pp. 139-157); può ugualmente essere utilizzata in chiave critica dagli avversari, come nel caso della messa in onda da parte della tv americana delle parate militari sovietiche (Gorin, pp. 255-271).

Nelle conclusioni i curatori insistono su alcuni punti. In primo luogo, la commemorazione costruì un momento sospeso in cui nel presente si celebrava il passato e ci si mobilitava alla lotta futura: «le passé ne constitue pas le seul horizon du spectacle de la Révolution. Celui-ci s’attarde bien volontiers sur le présent et se projette sur l’avenir» (p. 274). Inoltre, ciò che emerge è che il calendario sovietico non si ridusse alla celebrazione della commemorazione nei soli giorni di festa: «Elle s’étend sur l’avant et sur l’après, demandant de longs préparatifs en amont et perdurant bien au-delà du 7 novembre à travers les échos et les traces de taille, de nature et de pérennité variable» (p. 274). Infine, la proliferazione di riferimenti – mediatici e tangibili – all’Ottobre raggiunse il suo punto di saturazione nel 1970, con il centenario della nascita di Lenin, a tre anni soltanto dal cinquantesimo della rivoluzione. Da quel momento si affermò gradualmente una maggiore indifferenza: il momento festivo è sfruttato soprattutto come giorno libero per dedicarsi alla vita privata o per visitare la capitale, se si abita nelle regioni periferiche. Un processo di secolarizzazione della liturgia commemorativa e di desemblematizzazione che nei tardi anni Ottanta arriva, in URSS e nei paesi satelliti, alle estreme conseguenze iconoclaste dell’araldica sovietica e comunista (p. 277).

Al di là dell’interesse per l’oggetto del volume, amplificato dall’appena trascorso centenario della rivoluzione del ’17, i suoi punti di forza sono, innanzitutto, la compresenza di studiosi con formazioni diverse (storici, storici e sociologi dei media, storici dell’arte), giacché solo tramite prospettive e competenze trasversali sarebbe stato possibile affrontare storicamente una materia che è non solo multidisciplinare, ma piuttosto transdisciplinare. Inoltre, non va assolutamente trascurata l’importanza, dal punto di vista editoriale, dell’ottimo apparato iconografico che sostiene i testi in modo efficace e non puramente illustrativo ed estetizzante, nonché di una bibliografia generale finale che testimonia la pluralità di fonti e metodologia utilizzate.

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