I, 2018/2

Lucio Biasiori

Nello scrittoio di Machiavelli

Review by: Paolo Carta

Authors: Lucio Biasiori
Title: Nello scrittoio di Machiavelli. «Il Principe» e la «Ciropedia» di Senofonte
Place: Roma
Publisher: Carocci
Year: 2017
ISBN: 9788843088416
URL: link to the title

Reviewer Paolo Carta - Università di Trento

Citation
P. Carta, review of Lucio Biasiori, Nello scrittoio di Machiavelli. «Il Principe» e la «Ciropedia» di Senofonte, Roma, Carocci, 2017, in: ARO, I, 2018, 2, URL https://aro-isig.fbk.eu/issues/2018/2/scrittoio-macchiavelli-paolo-carta/

PDF

Da più di un secolo, gli studi sulle fonti machiavelliane hanno proliferato senza sosta. Non si può negare, tuttavia, che da un po’ di tempo in qua, tali studi abbiano cominciato a mostrare più di un segno di stanchezza. Interpretando in modo rigido quell’indicazione presentata da Machiavelli in più momenti della sua opera, che distingue tra l’“esperienza delle cose moderne” e “la lezione delle antiche”, si è tentato di ricondurre a quest’ultima, molta parte delle idee più ‘scabrose’ del Segretario fiorentino, affidandosi a classici, dalla poesia alla filosofia, dalla storia al diritto. Si può quasi dire, che l’edizione del Principe pubblicata nel 1891 da Laurence Arthur Burd, con il suo sterminato corredo di allegazioni, non abbia ancora cessato di produrre i suoi effetti. Paradossalmente, rispetto a quel lavoro, appaiono oggi assai lontani gli anni in cui Federico Chabod, reagendo all’atteggiamento di coloro che si ponevano dinanzi all’opera del Fiorentino al modo di Burd, scriveva provocatoriamente, “trovate le ‘fonti’ del Machiavelli: e non avrete ancora neppur un lontano precorrimento del Principe e dei Discorsi[1]. L’incessante lavorio sulle fonti ha in alcuni casi contribuito a una migliore comprensione dei testi di Machiavelli, o quanto meno a porre interrogativi sulla genesi e sull’evoluzione del suo pensiero. Pur alimentando in qualche modo la tentazione di privilegiare la ricerca degli elementi di continuità presenti nei suoi scritti rispetto alla precedente, questo atteggiamento ha però finito per chiarire anche che non tutti coloro che avevano operato nella Cancelleria fiorentina tra Quattrocento e Cinquecento, sarebbero stati capaci di scrivere il Principe e i Discorsi. Se questo libro di Lucio Biasiori fosse nient’altro che uno studio su una fonte di Machiavelli, destinato ad alimentare stancamente tale produzione storiografica, allora non varrebbe la pena di dedicargli più che una breve nota di segnalazione. Si tratta invece di uno dei saggi più luminosi e documentati dedicati a un’opera fondamentale per la comprensione del pensiero di Machiavelli, la Ciropedia di Senofonte, che in qualche modo rimette anche in discussione tutto il complesso di studi dedicato alle fonti del Fiorentino. La novità, infatti, non sta nell’individuazione di una fonte, dato che nessuno ha mai messo in discussione la presenza di Senofonte nell’opera machiavelliana. Ciò che è nuovo in questo studio sono le domande che l’autore pone e che hanno indirizzato la sua ricerca archivistica. L’interesse principale di Biasiori, che così facendo cancella definitivamente gli studi abbozzati in modo superficiale sulla questione, è solo quello di comprendere in che modo Machiavelli leggeva Senofonte. Questo è, infatti, un volume dedicato al Machiavelli lettore. Nel farlo, l’autore dimostra di prendere alla lettera ciò che il Fiorentino scriveva parlando del suo ‘modo’ di lavorare, se, com’è opportuno in questo caso, si vuole evitare il termine ‘metodo’, così carico di modernità. Stando a quanto Machiavelli scrisse, il Principe fu nient’altro che il frutto di una “lunga esperienza delle cose moderne e una continua lezione delle antiche”, così come i Discorsi furono l’esito di “una lunga pratica e continua lezione delle cose del mondo”. Il termine “lezione”, come ci avverte Biasiori, presentando un passo dell’Arte della Guerra, in cui tutto ciò appare più chiaro (“veduto e letto”), non va inteso nel moderno significato di “insegnamento”, ma piuttosto “in quello etimologico di ‘lettura’” (p. 14). In qualche modo si dovrà però aggiungere che all’epoca in cui Machiavelli scriveva, “leggere” e “insegnare” erano due termini perfettamente sovrapponibili. È però giusta la cautela dell’autore, dato che per il lettore contemporaneo le cose non stanno necessariamente così. Se questa è la pista suggerita dallo stesso Machiavelli per ripercorrere la genesi e l’evoluzione del suo pensiero, allora “non basta approfondire il suo debito con questo o quell’altro autore antico ma, prendendo sul serio il termine ‘lezione’ … occorre analizzare la sua fisionomia di lettore” (ibidem). Se da un lato Biasiori non esita a servirsi di tutti gli strumenti necessari per comprendere questo particolare aspetto di Machiavelli, facendo affidamento innanzitutto sulle acquisizioni della storia della lettura, dall’altro evita di cedere alla tentazione di dare all’opera del Fiorentino un carattere sistematico, che essa di fatto non possedeva. Così come del resto non lo aveva il suo vocabolario, dato questo ormai acquisito grazie ai più recenti studi condotti su alcuni termini a lungo considerati come ‘chiavi’ per penetrare il suo universo concettuale (si pensi solo agli usi della parola “stato”). Accostarsi a Machiavelli per il tramite di un classico e della particolare edizione che egli lesse, dunque, può essere un’approssimazione più feconda, come scrive Biasiori, di una ricerca che “ne inchiodi gli scritti al muro della coerenza concettuale e terminologica” (p. 24). Date queste premesse, è apparso immediatamente chiaro che la ricerca in questo caso non dovesse essere condotta genericamente sulla Ciropedia di Senofonte, ma piuttosto volta a identificare innanzitutto quale traduzione Machiavelli poté leggere, per comprendere e rischiarare i suoi pensieri intorno alla figura di un “principe nuovo”. Si tratta infatti dell’autore greco più citato dal Fiorentino e tra gli antichi è secondo al solo Livio (p. 28).

Nella prima parte del volume si ripercorre una storia della circolazione di Senofonte tra fine Trecento e Quattrocento, che giunge fino alle prime traduzioni latine della Ciropedia ad opera di Lorenzo Valla e Poggio Bracciolini. L’esemplare che però più interessa in relazione a Machiavelli è il manoscritto in volgare tradotto nel 1470 da Jacopo Bracciolini, figlio di Poggio, con il titolo Vita di Cyro (che è poi il medesimo con cui Machiavelli cita la Ciropedia). Personalità di grande erudizione e cultura, al pari del padre, ebbe un’esistenza turbolenta, culminata, com’è noto, con l’implicazione nella Congiura dei Pazzi, che gli costò la vita. La Vita di Cyro, però, fu pubblicata solo nel 1521 e doveva essere ancora fresca di stampa quando Guicciardini la ricordò nel Proemio del suo Dialogo del reggimento di Firenze. Machiavelli dunque ebbe modo di leggerla prima della stampa, poiché a quella data, egli aveva già composto sia Il Principe sia i Discorsi. Biasiori dedica un intero capitolo a chiarire in modo convincente, per quali vie Machiavelli poté accedere al manoscritto magliabechiano ora conservato nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze che lo contiene e che proviene direttamente dal lascito di Giovanni Gaddi: figura, come sappiamo, al centro delle prime stampe dei Discorsi e del Principe, tra il 1531 e il 1532. Di più, in continuo dialogo con la storiografia più recente e in particolare con gli studi di Francesco Bausi, l’autore mostra come la dedica della Vita di Cyro, compilata forse dallo stesso Gaddi, debba tanto a quella del Principe: entrambe sono “costruite su uno schema concettuale e lessicale così perfettamente sovrapponibile da rendere lecita la conclusione” che l’autore la scrisse “tenendo sotto gli occhi il manoscritto del Principe”, copiato da Biagio Buonaccorsi (p. 44). Si tratta di acquisizioni interamente nuove, che gettano un’inedita luce sull’effetto procurato dalle opere machiavelliane sulle edizioni e la circolazione a stampa dei classici: la “lezione” del Segretario finì, insomma, ben presto anche per sovrapporsi al testo di Senofonte (p. 82). Ciò del resto è particolarmente evidente nei capitoli finali del libro dedicati all’intreccio della fortuna di Machiavelli e di Senofonte, che si chiudono con una fresca lettura leopardiana. È però il terzo capitolo, rivolto all’analisi testuale a far comprendere al lettore quali siano le novità di questo studio sul Machiavelli lettore di Senofonte. Biasiori ricorda che per Machiavelli la Vita di Cyro non fu tanto un’opera storiografica, ma piuttosto uno scritto sul principato. Si può aggiungere che non dissimile e forse debitrice della “lezione” machiavelliana, fu anche l’interpretazione datane dal suo amico Guicciardini, che ricordò come Senofonte, cittadino ateniese e amatore della patria e della libertà, scrisse del principato “sotto nome di Ciro”. La figura di Ciro, peraltro, era una presenza viva nella Firenze di tardo Quattrocento, dato che rimase a lungo al centro delle prediche di Savonarola: Carlo VIII, ad esempio, era rappresentato come un “novello Ciro”, la cui discesa avrebbe finalmente liberato Firenze e l’intera penisola dalla corruzione politica e religiosa (p. 54). E non è un caso che proprio Ciro, insieme a Mosè, cui lo stesso Savonarola si era spesso paragonato nel ciclo di prediche sull’Esodo, ma anche a Romolo e Teseo, faccia la sua comparsa nel celebre e fondamentale capitolo VI del Principe, come figura esemplare cui contrapporre quella del Frate, un “profeta disarmato”. Un profeta privo di armi, senza alcuna forza per difendere i suoi ordini “nuovi”, ma, vorrei aggiungere, privo anche delle “arme”, dei “segni”, delle “insegne”, che rendono manifesta un’autorità e la sua legittimità, capaci dunque di “far credere” anche nei momenti in cui la “moltitudine” comincia a non “credere”. La storia della lettura machiavelliana del codice Magliabechiano XXIII 60 che il volume propone è sorprendente. Si lascia al lettore la scoperta delle singole citazioni, ma vale la pena di soffermarsi almeno sugli elementi che caratterizzano quel particolare esemplare, su cui Machiavelli lavorò. In particolare colpiscono i notabilia inseriti dal copista: “quanto sia necessaria la relligione”; “difficil cosa è governare bene”; “qual sia offitio di uno principe”; “nella abundantia è da pensare alle necessità”; “in che modo si acquista la benevolentia de’ subditi” o “la principal cosa di richieda a un uomo d’arme è l’ubidienza”. Quest’ultimo “ricordo” fu espressamente rievocato da Machiavelli, proprio con un esplicito riferimento a Ciro in Discorsi, III, 22, ma, come sottolinea Biasiori, sono molti altri i momenti dell’opera del Fiorentino, nei quali è evidente come “la lezione” di Senfonte, includesse anche una rimeditazione sui marginalia di quel particolare codice manoscritto. Come giustamente ricorda l’autore, Machiavelli lesse la Ciropedia ricercando quei consigli e quelle rivelazioni, che Senofonte, come altri autori antichi, aveva scritto “copertamente” e che dunque a lui spettava di decrittare: era questo il suo modo di leggere “sensatamente” gli antichi (p. 79). Si veda a questo proposito tutta la brillante discussione intorno a Chirone (pp. 65-68), condotta seguendo le critiche di Gentillet, che mostra come Machiavelli non esitò a contaminare il De venatione di Senofonte con la Vita di Cyro.

Il libro di Lucio Biasiori è un libro importante, colmo di novità e scoperte, che ci ricorda come la ricerca delle chiavi d’accesso al pensiero di un autore quale Machiavelli debba necessariamente passare per la comprensione del suo particolarissimo modo di leggere i classici. Ci ricorda anche che per cogliere le specificità della sua opera, non è sufficiente il rinvio più o meno generico a fonti circolanti all’epoca in cui egli operò e che poco aiuta la sola ricostruzione dell’atmosfera culturale del suo tempo. Parafrasando Chabod, si può dire che se le fonti di Machiavelli, una volta individuate, non offrono neppure un lontano precorrimento della sua opera, forse scoprire quali edizioni e quali manoscritti tenesse con sé e in che modo li abbia letti, ci aiuta un po’ di più a comprendere la genesi di alcune delle sue singolari “illuminazioni”, dirompenti a tal punto da segnare in modo indelebile la storia del pensiero. Il volume di Lucio Biasiori è un ottimo contributo in questa direzione, che, va detto, non è purtroppo sempre agevole da percorrere, dovendosi spesso accontentare lo studioso di lavorare su quei pochi libri, manoscritti e codici, che dalla “malignità dei tempi non ci sono stati intercetti”.

 

[1] F. Chabod, Lezioni di metodo storico, a cura di L. Firpo, Roma - Bari, Laterza, 1969 (19782), p. 6.

Subscribe to our newsletter

Partners