Reviewer Matteo Fadini - Università di Trento
Citation“Capire i tedeschi fu per Levi un esercizio costante, un’attitudine morale e un pungolo per l’immaginazione … Che i tedeschi abbiano rappresentato un rovello per Primo Levi (uomo, scrittore, testimone, perfino chimico) è un dato di fatto. Come questa relazione difficile … si sia modificata nel tempo, dentro e fuori la sua scrittura, è quanto proverò a indagare” (p. 15). Con queste parole si chiude il primo capitolo (“I tedeschi”) di Primo Levi e i tedeschi, saggio di Martina Mengoni, VIII “Lezione Primo Levi”.
L’indagine di Mengoni, condotta con acribia critica e sicuro metodo filologico, riesce a tenere insieme tre livelli differenti: la lunga durata del rapporto e delle riflessioni di Levi nei confronti dei e con i tedeschi; gli esiti che questo “rovello” ha prodotto nel campo della creazione letteraria di Levi; le modifiche di giudizio e di pensiero di Levi in questo cruciale aspetto. L’interesse della studiosa non è rivolto tanto e solo a Levi in quanto testimone, ma piuttosto al rapporto dialettico tra Levi come individuo, Levi come scrittore e Levi come personaggio.
Nei sei capitoli principali dello studio, Mengoni presenta altrettanti snodi della vicenda analizzata, sfruttando con sicura competenza i fondi archivistici contenenti le lettere tra Levi e suoi interlocutori tedeschi, facendo interagire queste con le opere leviane, lette con acume, e con il mutare del contesto storico-politico.
Nel secondo capitolo – “Il Doppelgänger (1959-61)” – viene presentato il rapporto con Heinz Riedt in occasione del lavoro di traduzione di Se questo è un uomo in tedesco (il volume uscirà nella Germania Ovest nel 1961). Il carteggio tra Levi e il suo traduttore inizia nell’agosto del 1959 ed è il primo momento nel quale l’autore è sollecitato a confrontarsi con il proprio libro e con i dispositivi narrativi messi in campo in Se questo è uomo, dovendo a più riprese chiarire a Riedt dubbi linguistici e interpretativi.
L’uscita di Ist das ein Mensch? coincide con il processo Eichmann a Gerusalemme e nel medesimo anno esce in terra tedesca non solo la traduzione dell’intero libro, ma anche un capitolo dello stesso (L’ultimo) all’interno di un’opera antologica voluta da Hermann Langbein, il quale aveva proposto l’iniziativa di un “libro su Auschwitz” l’anno precedente. L’analisi di questi “due cantieri editoriali con cui Levi sbarca in Germania” (p. 53) occupano le pagine del terzo capitolo, “Mi conoscete adesso?” (1960-62).
La pubblicazione di Se questo è un uomo in Germania innesca una serie di corrispondenze tra i lettori tedeschi e Levi; di questo, la studiosa si occupa nel successivo capitolo – “L’osteria di Brema (1961-65)” –, non senza aver prima chiarito che “si potrà dire ‘i tedeschi’ solo se si avrà la pazienza di collocare di volta in volta questo soggetto nel suo punto di appartenenza rispetto alla storia politica europea, a quella italiana, alla storia personale di Levi e alla sua vicenda di scrittore” (p. 57). Grazie agli scambi con i tedeschi, lettori della sua opera prima, Levi riceve nuovi stimoli e amplia la propria conoscenza anche della letteratura tedesca. In questo contesto, Levi progetta un libro che possa raccogliere queste lettere tedesche, che avevano ai suoi occhi “una dignità editoriale e contenutistica autonoma rispetto al libro che le aveva originate” (p. 77): questo volume non approderà mai alle stampe.
Nel 1966 inizia il rapporto epistolare, che sarà centrale a più riprese, con la coetanea Hety Schmitt-Maass. Nel quinto capitolo viene analizzato questo carteggio, che oltre ad essere un caso a sé è anche il crocevia di altri incontri, dal momento che Schmitt-Mass si fa mediatrice per altri rapporti e interagisce a tre con Levi e alcuni corrispondenti
Nel successivo capitolo (“Trasfigurazione dell’esperienza recente: ‘Vanadio’ – 1974”), Mengoni studia il racconto Vanadio del Sistema periodico facendolo reagire con i documenti epistolari riguardanti i fatti realmente accaduti (lo scambio epistolare tra Levi e il dott. Meyer, chimico civile in forza alla Buna), che hanno fornito il materiale per la trasfigurazione letteraria. La corrispondenza effettivamente scambiata risale al 1967 e prende le mosse da Meyer, che scrive a Levi su sollecitazione di Schmitt-Maass, e si interrompe definitivamente dopo otto mesi, per la morte del tedesco. In Vanadio lo scambio epistolare si origina per ragioni di lavoro (una partita di vernice che non asciuga): è Levi che scrivere alla ditta fornitrice tedesca e che riconosce il chimico della Buna, qui chiamato Müller, sulla base di un errore nel testo. Dopo l’agnizione e un doppio giro di posta, privata e professionale, Levi-personaggio riceve una telefonata che annuncia la morte di Müller. Quello che importa e che correttamente è analizzato da Mengoni è il diverso giudizio che Levi dà di Meyer/Müller: come ricorda l’autrice (pp. 125-126 e note), in una intervista del 1973 Levi afferma di aver scritto Se questo è un uomo convinto che il fascismo fosse finito e non sarebbe più tornato, mentre agli inizi degli anni Settanta scriveva “come se il fascismo fosse ancora presente”. All’altezza del 1974 sono mutate quindi le condizioni politiche e insieme lo sguardo di Levi: ecco quindi che in Vanadio fa la sua comparsa il tema della ‘zona grigia’ (“grigio”, appunto, è il personaggio di Müller), che occuperà le riflessioni e le pagine leviane fino a I sommersi e i salvati.
Completa l’opera uno “Scaffale tedesco”, che elenca i volumi ‘tedeschi’ di cui Levi sente parlare grazie agli scambi epistolari con i suoi interlocutori della Germania. Molto utilmente, Mengoni elenca tutti i 24 titoli ‘tedeschi’ in ordine cronologico rispetto all’attestazione all’interno dell’epistolario, con puntuale riferimento alla lettera, ma soprattutto all’eventuale citazione dello stesso testo nell’opera leviana. Nell’Appendice si trovano, infine, le trascrizioni di cinque lettere di Levi e il testo di Vanadio.